Scopo di questo intervento è evidenziare il legame tra l'offerta del palio al patrono e la corsa dei cavalli “scossi” durante il Basso Medioevo. Il termine “palio” deriva dal latino “pallium”, e indica un manto prezioso donato come tributo ad un'importante santo cristiano. A partire dal XIII secolo il palio diventa anche una competizione sportiva, di cui esiste una variante ben precisa: la corsa dei cavalli barberi. Presente negli statuti cittadini di vari Comuni dell'Italia centrale e settentrionale (es: Bologna, Modena, Verona, Vicenza), questa gara vede competere cavalli “scossi” - privi di fantino - per le vie della città, spesso in rappresentanza di due o più fazioni della comunità. Palii simili vengono istituiti in memoria di eventi precisi, quasi sempre la risoluzione di conflitti nella comunità (lotte tra famiglie guelfe e ghibelline, liberazione da Signorie, ecc) ed inseriti tra i festeggiamenti in onore del patrono cittadino. Oltre a questo palio del santo, la stessa corsa viene proposta anche Carnevale, prendendo a modello i ludi romani del Testaccio; questa seconda modalità viene usata sempre dal XIII secolo per umiliare pubblicamente nemici e rivali storici (es: guerre tra Firenze, Pisa e Pistoia) durante gli assedi, oltraggiandoli con una corsa grottesca sotto le proprie mura. Inoltre, le città sconfitte dovevano tributare ogni anno un drappo al santo protettore della città dominatrice, come segno di sottomissione. Attraverso una corsa priva di presenza umana, la società medioevale cerca i segni della grazia divina nelle proprie lotte politiche e militari. Il palio prezioso ipostatizza il favore divino ricevuto dalla comunità, la “protezione” del santo (patronus, appunto) che si manifesta nella sconfitta dei nemici, interni o esterni. Il tributo a cui gli sconfitti sono vincolati è un pubblico riconoscimento del favore nemico e della propria inferiorità.

Venerare il patrono, umiliare il nemico

Nicola Martellozzo
2019-01-01

Abstract

Scopo di questo intervento è evidenziare il legame tra l'offerta del palio al patrono e la corsa dei cavalli “scossi” durante il Basso Medioevo. Il termine “palio” deriva dal latino “pallium”, e indica un manto prezioso donato come tributo ad un'importante santo cristiano. A partire dal XIII secolo il palio diventa anche una competizione sportiva, di cui esiste una variante ben precisa: la corsa dei cavalli barberi. Presente negli statuti cittadini di vari Comuni dell'Italia centrale e settentrionale (es: Bologna, Modena, Verona, Vicenza), questa gara vede competere cavalli “scossi” - privi di fantino - per le vie della città, spesso in rappresentanza di due o più fazioni della comunità. Palii simili vengono istituiti in memoria di eventi precisi, quasi sempre la risoluzione di conflitti nella comunità (lotte tra famiglie guelfe e ghibelline, liberazione da Signorie, ecc) ed inseriti tra i festeggiamenti in onore del patrono cittadino. Oltre a questo palio del santo, la stessa corsa viene proposta anche Carnevale, prendendo a modello i ludi romani del Testaccio; questa seconda modalità viene usata sempre dal XIII secolo per umiliare pubblicamente nemici e rivali storici (es: guerre tra Firenze, Pisa e Pistoia) durante gli assedi, oltraggiandoli con una corsa grottesca sotto le proprie mura. Inoltre, le città sconfitte dovevano tributare ogni anno un drappo al santo protettore della città dominatrice, come segno di sottomissione. Attraverso una corsa priva di presenza umana, la società medioevale cerca i segni della grazia divina nelle proprie lotte politiche e militari. Il palio prezioso ipostatizza il favore divino ricevuto dalla comunità, la “protezione” del santo (patronus, appunto) che si manifesta nella sconfitta dei nemici, interni o esterni. Il tributo a cui gli sconfitti sono vincolati è un pubblico riconoscimento del favore nemico e della propria inferiorità.
2019
V Ciclo di Studi Medievali, Atti del Convegno
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