Nelle diverse accezioni che il concetto di “popolo” assumeva nel passaggio tra Otto e Novecento, si rifletteva il misurarsi della cultura politica con le trasformazioni introdotte nel corpo sociale dall'affermarsi di sistemi democratici di partecipazione e rappresentanza: dal protagonismo del movimento operaio europeo organizzato in sindacati e partiti, al suo viceversa essere oggetto di appelli, timori e riflessioni provenienti dalle più diverse parti politiche. Nell’esaminare le posizioni assunte nell’ambito della cultura del tardo positivismo liberale conservatrice – in particolare i contributi, di orientamento liberale conservatore, di Emile Boutmy, Alfred Fouillée, Edmond Demolins – emerge come la singolarizzazione anti-universalistica nella concezione del “popolo” andasse a toccare la riflessione sulla sovranità e la rappresentanza, per convergere nel campo della contro-democrazia. Intesa, come nella proposta di Pierre Rosanvallon, come una prospettiva pessimistica nei confronti della democrazia, sospettosa del potere popolare e del suffragio universale, diffidente rispetto all’autonomia del potere politico consentita dai meccanismi della rappresentanza, timorosa di un ritorno al dispotismo di Ancien Régime. Il concetto di sovranità del popolo veniva sottoposto a una serie di limitazioni, e considerato «un principio negativo e contingente», impossibile da realizzare nella realtà: collocandosi così su sul piano della contro-democrazia correttiva, volta a raddrizzare le storture dell’uguaglianza nata dalla Rivoluzione Una posizione lontana dalle spinte reazionarie, ma proprio per questo particolarmente indicativa di un tessuto medio, improntato alla tiepida diffidenza nei confronti dei sistemi democratici realmente esistenti, valutati con il metro della storia e dell’esperienza “positiva”.

“Popolo”, singolare nazionale.Emile Boutmy, fra ottimismo pedagogico e pessimismo contro-democratico

CERASI, Laura
2012-01-01

Abstract

Nelle diverse accezioni che il concetto di “popolo” assumeva nel passaggio tra Otto e Novecento, si rifletteva il misurarsi della cultura politica con le trasformazioni introdotte nel corpo sociale dall'affermarsi di sistemi democratici di partecipazione e rappresentanza: dal protagonismo del movimento operaio europeo organizzato in sindacati e partiti, al suo viceversa essere oggetto di appelli, timori e riflessioni provenienti dalle più diverse parti politiche. Nell’esaminare le posizioni assunte nell’ambito della cultura del tardo positivismo liberale conservatrice – in particolare i contributi, di orientamento liberale conservatore, di Emile Boutmy, Alfred Fouillée, Edmond Demolins – emerge come la singolarizzazione anti-universalistica nella concezione del “popolo” andasse a toccare la riflessione sulla sovranità e la rappresentanza, per convergere nel campo della contro-democrazia. Intesa, come nella proposta di Pierre Rosanvallon, come una prospettiva pessimistica nei confronti della democrazia, sospettosa del potere popolare e del suffragio universale, diffidente rispetto all’autonomia del potere politico consentita dai meccanismi della rappresentanza, timorosa di un ritorno al dispotismo di Ancien Régime. Il concetto di sovranità del popolo veniva sottoposto a una serie di limitazioni, e considerato «un principio negativo e contingente», impossibile da realizzare nella realtà: collocandosi così su sul piano della contro-democrazia correttiva, volta a raddrizzare le storture dell’uguaglianza nata dalla Rivoluzione Una posizione lontana dalle spinte reazionarie, ma proprio per questo particolarmente indicativa di un tessuto medio, improntato alla tiepida diffidenza nei confronti dei sistemi democratici realmente esistenti, valutati con il metro della storia e dell’esperienza “positiva”.
2012
30
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