A Venezia, capitale assoluta della produzione di libri e immagini a stampa, giunse nel 1612 il corredo dei legni originali della Piccola Passione di Albrecht Dürer, già Norimberga 1511. La fortunata circostanza fece sì che le preziose incisioni fossero riprodotte in una nuova edizione, stampata presso i torchi di Daniele Bissuccio per «spesa, fatica, e diligenza» di Donato Rasciotti allo scopo, scrive l’editore nella dedicatoria, di «pascer gli occhi dell’anime contemplatrici» sia attraverso «la muta Poesia del Durero, che parla ancor tacendo ne’ vaghi intagli», sia per mezzo «di quella del Moro, che diletta, e move a pietade ne’ leggiadri versi». Quello che si offriva al lettore era un volume straordinario, nel quale il testo e l’immagine si mostravano simultaneamente ma autonomamente, come due versioni della medesima narrazione, esplicata attraverso un medium grafico, rappresentato delle tavole del maestro tedesco, e un medium letterario, in versi, di natura più propriamente devozionale. Inserite in qualità di guida ufficiale alla lettura delle immagini, le ottave in rima del poeta veneziano Maurizio Moro si vanno a sostituire agli obsoleti versi latini inclusi nella prima edizione del testo, consentendo una piena comprensione delle scene e la loro corretta fruizione in chiave religiosa. Ottemperando alla retorica dell’affectum movere, infatti, Maurizio Moro parte dalla circostanza evangelica amplificandone però la percezione emotiva allo scopo di sollecitare la “pietade” del lettore. Affiorano così le forme e i temi di quella che sembra lecito definire “poetica della conversione”, nella quale anche il diletto derivato dalla visione di un’immagine è in prima istanza di tipo spirituale, ragione per cui le forme liriche tradizionali vengono disciplinate e adattate in modelli poetici edificanti, aggiornati da un punto di vista retorico, ma tali da stimolare il lettore alla devozione. Si tratta di una strategia per cui la parola di Dio, opportunatamente avvolta e intrecciata da un commento ed esplicata attraverso il rimando a una realtà figurativa concreta, diventa cibo adatto anche a chi possiede una cultura povera. Il contributo si interroga sulla scelta e l’efficacia delle strategie comunicative messe in campo da Moro, sul rapporto tra l’apparato testuale e le xilografie düreriane e, di conseguenza, sulla questione della provvisorietà della tradizionale distinzione fra ecfrasi e racconto.

Milena Bortone, Affectum movere. Rime di Maurizio Moro per la Piccola Passione veneziana

Milena Bortone
In corso di stampa

Abstract

A Venezia, capitale assoluta della produzione di libri e immagini a stampa, giunse nel 1612 il corredo dei legni originali della Piccola Passione di Albrecht Dürer, già Norimberga 1511. La fortunata circostanza fece sì che le preziose incisioni fossero riprodotte in una nuova edizione, stampata presso i torchi di Daniele Bissuccio per «spesa, fatica, e diligenza» di Donato Rasciotti allo scopo, scrive l’editore nella dedicatoria, di «pascer gli occhi dell’anime contemplatrici» sia attraverso «la muta Poesia del Durero, che parla ancor tacendo ne’ vaghi intagli», sia per mezzo «di quella del Moro, che diletta, e move a pietade ne’ leggiadri versi». Quello che si offriva al lettore era un volume straordinario, nel quale il testo e l’immagine si mostravano simultaneamente ma autonomamente, come due versioni della medesima narrazione, esplicata attraverso un medium grafico, rappresentato delle tavole del maestro tedesco, e un medium letterario, in versi, di natura più propriamente devozionale. Inserite in qualità di guida ufficiale alla lettura delle immagini, le ottave in rima del poeta veneziano Maurizio Moro si vanno a sostituire agli obsoleti versi latini inclusi nella prima edizione del testo, consentendo una piena comprensione delle scene e la loro corretta fruizione in chiave religiosa. Ottemperando alla retorica dell’affectum movere, infatti, Maurizio Moro parte dalla circostanza evangelica amplificandone però la percezione emotiva allo scopo di sollecitare la “pietade” del lettore. Affiorano così le forme e i temi di quella che sembra lecito definire “poetica della conversione”, nella quale anche il diletto derivato dalla visione di un’immagine è in prima istanza di tipo spirituale, ragione per cui le forme liriche tradizionali vengono disciplinate e adattate in modelli poetici edificanti, aggiornati da un punto di vista retorico, ma tali da stimolare il lettore alla devozione. Si tratta di una strategia per cui la parola di Dio, opportunatamente avvolta e intrecciata da un commento ed esplicata attraverso il rimando a una realtà figurativa concreta, diventa cibo adatto anche a chi possiede una cultura povera. Il contributo si interroga sulla scelta e l’efficacia delle strategie comunicative messe in campo da Moro, sul rapporto tra l’apparato testuale e le xilografie düreriane e, di conseguenza, sulla questione della provvisorietà della tradizionale distinzione fra ecfrasi e racconto.
In corso di stampa
Testo, autore, pubblico: forme di ricezione dall’antichità alla modernità
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