L'articolo prende le mosse (§ 1) dal rilevamento di un problema teoretico posto da frammento DK B 8, 37-41, precisamente il fatto che anche l'opposizione "veritiera" tra essere e non essere pare qui essere classificata alla stregua delle contrapposizioni fallaci dei mortali. Si pone dunque il problema della relazione tra l'opposizione ontologica (essere / non essere) e quelle d carattere fisico-doxastico. Passando attraverso una rilettura di B 6, 8 che traduce pelein non come "essere" ma come "divenire", si ipotizza che il Poema di Parmenide ci segnali che l'errore fondamentale consiste nell'identificare la variazione dell'essere (il divenire/pelein) con il passaggio dall'essere al non essere. Di conseguenza l’errore dei mortali consiste essenzialmente nell’interpretare le opposizioni tra gli essenti, opposizioni che inevitabilmente si danno in natura, come dicotomie che contrappongono un essere a un non essere. A partire da questa impostazione, e sfruttando anche il verso B 9, 4, si propone una rilettura della seconda parte del Poema, in base alla quale l'errata interpretazione dei fenomeni naturali consiste nell'identificare i due poli delle opposizioni 'naturali' con i poli ontologici dell'essere e del non essere, e viceversa la corretta interpretazione è quella che vede l'unità dei due poli, in quanto entrambi appartengono all'essere. Formulata dunque un'interpretazione complessiva che consente di interpretare unitariamente il Poema come espressione della veritiera opposizione ontologica, quello che si pone (§ 2) è il problema radicale del valore, cioè della verità, della opposizione ontologica. Un problema, come si capisce, rigorosamente teoretico. La difficoltà consiste essenzialmente nel fatto che l'opposizione stessa appare essere contraddittoria, dal momento che pone un'opposizione laddove non vi può essere alcuna opposizione, giacché uno dei due poli (il non essere) non può darsi. La difficoltà mostra il suo culmine laddove si osserva che la stessa idea dell'essere come di una dimensione che non ha opposizione (e in questo senso non è negativa) è contraddittoria, dal momento che proprio in tal modo l'essere viene ad essere negativo nei confronti del negativo. Passando attraverso una rilettura di alcuni passi cruciali del Sofista e del Parmenide di Platone, si mostra come la soluzione che solitamente si fornisce di questo problema, quella cioè che distingue il non essere assoluto da quello relativo ed interpreta dunque la differenza come una negazione relativa, sia a sua volta assolutamente problematica, e di come da tale difficoltà si possa uscire solo ipotizzando una dimensione che, essendo diversa tanto dal negativo quanto dal non negativo, può essere chiamata puramente differente e puramente positiva. Questo costituisce l'argomento precipuo della parte conclusiva del saggio (§ 3), nella quale si mostra la via della pura verità, la quale consente di scorgere il senso secondo il quale l'essere va pensato nel suo essere distinto dalla negazione del non essere. Questa peculiare interpretazione fa addirittura balenare, a proposito di B 6, 3, l'ipotesi radicale che ciò da cui ci si debba "tenere lontani" sia addirittura la via che oppone l'essere al non essere, almeno nella misura in cui tale opposizione venga intesa come una negazione del non essere da parte dell'essere. Naturalmente non si tratta di un'ipotesi storiografica o filologica, non si sta cioè sostenendo che questa sia una lettura plausibile o anche solo corretta della lettera del testo parmenideo, ma si sta evidenziando come il linguaggio con il quale Parmenide testimonia la verità imponga oggettivamente di affrontare questo ordine di problemi. La via di ricerca filosofica che qui si propone è appunto quella che mette in questione l'idea per la quale la verità va necessariamente intesa come la negazione della non verità.

Opposizione e verità: l'enigmatica via di Parmenide

TARCA, Luigi
2013-01-01

Abstract

L'articolo prende le mosse (§ 1) dal rilevamento di un problema teoretico posto da frammento DK B 8, 37-41, precisamente il fatto che anche l'opposizione "veritiera" tra essere e non essere pare qui essere classificata alla stregua delle contrapposizioni fallaci dei mortali. Si pone dunque il problema della relazione tra l'opposizione ontologica (essere / non essere) e quelle d carattere fisico-doxastico. Passando attraverso una rilettura di B 6, 8 che traduce pelein non come "essere" ma come "divenire", si ipotizza che il Poema di Parmenide ci segnali che l'errore fondamentale consiste nell'identificare la variazione dell'essere (il divenire/pelein) con il passaggio dall'essere al non essere. Di conseguenza l’errore dei mortali consiste essenzialmente nell’interpretare le opposizioni tra gli essenti, opposizioni che inevitabilmente si danno in natura, come dicotomie che contrappongono un essere a un non essere. A partire da questa impostazione, e sfruttando anche il verso B 9, 4, si propone una rilettura della seconda parte del Poema, in base alla quale l'errata interpretazione dei fenomeni naturali consiste nell'identificare i due poli delle opposizioni 'naturali' con i poli ontologici dell'essere e del non essere, e viceversa la corretta interpretazione è quella che vede l'unità dei due poli, in quanto entrambi appartengono all'essere. Formulata dunque un'interpretazione complessiva che consente di interpretare unitariamente il Poema come espressione della veritiera opposizione ontologica, quello che si pone (§ 2) è il problema radicale del valore, cioè della verità, della opposizione ontologica. Un problema, come si capisce, rigorosamente teoretico. La difficoltà consiste essenzialmente nel fatto che l'opposizione stessa appare essere contraddittoria, dal momento che pone un'opposizione laddove non vi può essere alcuna opposizione, giacché uno dei due poli (il non essere) non può darsi. La difficoltà mostra il suo culmine laddove si osserva che la stessa idea dell'essere come di una dimensione che non ha opposizione (e in questo senso non è negativa) è contraddittoria, dal momento che proprio in tal modo l'essere viene ad essere negativo nei confronti del negativo. Passando attraverso una rilettura di alcuni passi cruciali del Sofista e del Parmenide di Platone, si mostra come la soluzione che solitamente si fornisce di questo problema, quella cioè che distingue il non essere assoluto da quello relativo ed interpreta dunque la differenza come una negazione relativa, sia a sua volta assolutamente problematica, e di come da tale difficoltà si possa uscire solo ipotizzando una dimensione che, essendo diversa tanto dal negativo quanto dal non negativo, può essere chiamata puramente differente e puramente positiva. Questo costituisce l'argomento precipuo della parte conclusiva del saggio (§ 3), nella quale si mostra la via della pura verità, la quale consente di scorgere il senso secondo il quale l'essere va pensato nel suo essere distinto dalla negazione del non essere. Questa peculiare interpretazione fa addirittura balenare, a proposito di B 6, 3, l'ipotesi radicale che ciò da cui ci si debba "tenere lontani" sia addirittura la via che oppone l'essere al non essere, almeno nella misura in cui tale opposizione venga intesa come una negazione del non essere da parte dell'essere. Naturalmente non si tratta di un'ipotesi storiografica o filologica, non si sta cioè sostenendo che questa sia una lettura plausibile o anche solo corretta della lettera del testo parmenideo, ma si sta evidenziando come il linguaggio con il quale Parmenide testimonia la verità imponga oggettivamente di affrontare questo ordine di problemi. La via di ricerca filosofica che qui si propone è appunto quella che mette in questione l'idea per la quale la verità va necessariamente intesa come la negazione della non verità.
2013
1 (4) 2013
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