Punto di partenza del presente contributo è il noto assunto dionisottia- no secondo il quale la grammatica del volgare nacque come grammatica «di una lingua originariamente straniera», opera di autori non toscani che, come tali, avevano dovuto per primi apprendere il tosco-fiorentino «con sforzo»: un atteggiamento evidentemente estraneo agli orizzonti linguistici della cultura fiorentina, scopertamente ostile nei confronti di ogni pretesa di normare la lingua. Muovendo da tali premesse, questo saggio percorre due traiettorie di- stinte, ma che presentano numerosi punti di tangenza (tutti implicati, del resto, nella citazione di Dionisotti): da un lato si condurrà qualche sondaggio mirato su un insieme di repertori (lessicografici e specialmente grammaticali) allestiti nell’Italia settentrionale durante la prima metà del XVI secolo, prestando una particolare attenzione al fenomeno dell’esemplificazione e alla definizione del canone degli optimi auctores (a solo titolo d’esempio, basterà richiamare i nomi di Liburnio, Fortunio e, naturalmente, Bembo); dall’altro, ci si concentrerà su alcune testimonianze del dibattito linguistico cinquecentesco noto come “questione della lingua”, a partire dal Dialogo della volgar lingua del bellunese Pierio Valeriano, nel quale il vivace confronto fra le posizioni del vicentino Gian Giorgio Trissino, del fiorentino Alessandro dei Pazzi e del senese Claudio Tolomei fa leva su alcune dinamiche caratteristiche dell’apprendimento delle lingue straniere. Questo doppio fuoco consentirà di mettere in risalto i due poli di tensione lungo i quali scorre la cultura linguistica cinquecentesca, tra codificazione della lingua e culto degli autori.
La natura e la regola (ancora su toscani e “lombardi”),
Alessio Cotugno
2022-01-01
Abstract
Punto di partenza del presente contributo è il noto assunto dionisottia- no secondo il quale la grammatica del volgare nacque come grammatica «di una lingua originariamente straniera», opera di autori non toscani che, come tali, avevano dovuto per primi apprendere il tosco-fiorentino «con sforzo»: un atteggiamento evidentemente estraneo agli orizzonti linguistici della cultura fiorentina, scopertamente ostile nei confronti di ogni pretesa di normare la lingua. Muovendo da tali premesse, questo saggio percorre due traiettorie di- stinte, ma che presentano numerosi punti di tangenza (tutti implicati, del resto, nella citazione di Dionisotti): da un lato si condurrà qualche sondaggio mirato su un insieme di repertori (lessicografici e specialmente grammaticali) allestiti nell’Italia settentrionale durante la prima metà del XVI secolo, prestando una particolare attenzione al fenomeno dell’esemplificazione e alla definizione del canone degli optimi auctores (a solo titolo d’esempio, basterà richiamare i nomi di Liburnio, Fortunio e, naturalmente, Bembo); dall’altro, ci si concentrerà su alcune testimonianze del dibattito linguistico cinquecentesco noto come “questione della lingua”, a partire dal Dialogo della volgar lingua del bellunese Pierio Valeriano, nel quale il vivace confronto fra le posizioni del vicentino Gian Giorgio Trissino, del fiorentino Alessandro dei Pazzi e del senese Claudio Tolomei fa leva su alcune dinamiche caratteristiche dell’apprendimento delle lingue straniere. Questo doppio fuoco consentirà di mettere in risalto i due poli di tensione lungo i quali scorre la cultura linguistica cinquecentesca, tra codificazione della lingua e culto degli autori.File | Dimensione | Formato | |
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