La mostra che presentava l’eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l’ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l’Archivio storico dell’Accademia e la contestualizzazione di questo progettom espositivo all’interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell’approccio all’architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d’oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L’impresa ebbe come protagonisti l’allora presidente dell’Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l’Istituto Luce, mentre l’architetto napoletano Vittorio Amicarelli fece i rilievi architettonici di maggiori monumenti della regione. Per la mostra e per il catalogo si scelse il criterio tipologico, con l’introduzione dello studio di caratteri urbani e l’accenno all’architettura barocca. Questo approccio, tipico della scuola romana di storia dell’architettura, si distinse dalle quintenssenzalmente amatoriali pubblicazioni degli iredentisti dalmati quali Tamaro e Dudan, o quelle divulgative di Amy Bernardi. Inoltre, nella prima fase delle preparazioni della mostra, tra 1941 e 1942, l’insistenza sui reperti antichi romani e sulla tradizione classica rivelava gli interessi dei cerchi professionali romani, mentre una maggior apertura all’eredita dell’epoca veneziana La mostra che presentava l’eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l’ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l’Archivio storico dell’Accademia e la contestualizzazione di questo progetto espositivo all’interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell’approccio all’architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d’oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L’impresa ebbe come protagonisti l’allora presidente dell’Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l’Istituto entra a far parte della mostra verso la sua finalizzazione in primavera 1943. Finalmente, la parabola della preparazione dell’esposizione segue anche quella dei rapporti tra l’Italia fascista e la Croazia di Ante Pavelić, esemplificatasi nella publicazione Italia e Croazia di Reale Accademia d’Italia del 1942, e l’avanzamento del movimento partigiano in Croazia e gli avvenimenti italiani dell’estate di 1943, particolarmente visibili nell’eco della mostra nella stampa del regime, dove viene considerata un tentativo contro „la barbarie panbolsevica slava“.

Baština i politika: izložba o dalmatinskoj arhitekturi u rimskoj Akademiji sv. Luke u lipnju 1943. (I beni culturali e la politica: la mostra dell'architettura della Dalmazia nell'Accademia di San Luca a Roma a giugno del 1943

Jasenka Gudelj
2016-01-01

Abstract

La mostra che presentava l’eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l’ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l’Archivio storico dell’Accademia e la contestualizzazione di questo progettom espositivo all’interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell’approccio all’architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d’oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L’impresa ebbe come protagonisti l’allora presidente dell’Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l’Istituto Luce, mentre l’architetto napoletano Vittorio Amicarelli fece i rilievi architettonici di maggiori monumenti della regione. Per la mostra e per il catalogo si scelse il criterio tipologico, con l’introduzione dello studio di caratteri urbani e l’accenno all’architettura barocca. Questo approccio, tipico della scuola romana di storia dell’architettura, si distinse dalle quintenssenzalmente amatoriali pubblicazioni degli iredentisti dalmati quali Tamaro e Dudan, o quelle divulgative di Amy Bernardi. Inoltre, nella prima fase delle preparazioni della mostra, tra 1941 e 1942, l’insistenza sui reperti antichi romani e sulla tradizione classica rivelava gli interessi dei cerchi professionali romani, mentre una maggior apertura all’eredita dell’epoca veneziana La mostra che presentava l’eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l’ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l’Archivio storico dell’Accademia e la contestualizzazione di questo progetto espositivo all’interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell’approccio all’architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d’oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L’impresa ebbe come protagonisti l’allora presidente dell’Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l’Istituto entra a far parte della mostra verso la sua finalizzazione in primavera 1943. Finalmente, la parabola della preparazione dell’esposizione segue anche quella dei rapporti tra l’Italia fascista e la Croazia di Ante Pavelić, esemplificatasi nella publicazione Italia e Croazia di Reale Accademia d’Italia del 1942, e l’avanzamento del movimento partigiano in Croazia e gli avvenimenti italiani dell’estate di 1943, particolarmente visibili nell’eco della mostra nella stampa del regime, dove viene considerata un tentativo contro „la barbarie panbolsevica slava“.
2016
Zbornik Dana Cvita Fiskovića 6: Razmjena umjetničkih isustava u jadranskome bazenu
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/3751126
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