Ad un primo esame, la norma della legge n. 92/2012 che si occupa del contratto a termine, frutto di diverse modifiche “in corsa”, seppure aiuta a sciogliere alcuni nodi della disciplina in materia, dovuti anche allo scombinato sovrapporsi degli interventi legislativi del 2001, del 2003, del 2007 e del 2010, appare ulteriormente foriera di difficoltà interpretative. Si renderà, quindi, ancora una volta necessario il consueto costruttivo impegno della dottrina giuslavoristica, storicamente fornito per la ricomposizione di un quadro normativo di complessa esegesi, avendo come obiettivo quello di coniugare diritti e tutele dei lavoratori ed esigenze delle imprese, legate alle profonde modificazioni in atto delle modalità della produzione e dell’organizzazione del lavoro. A prescindere da ogni giudizio sull'opportunità di un nuovo intervento legislativo, posto che, come ricordato, secondo molti osservatori la riforma del 2001 aveva già correttamente disciplinato la materia ai sensi della direttiva comunitaria, e tralasciando il fatto che il legislatore continua «nella tragica scelta di aggiungere norme a norme, contribuendo non poco alla creazione di una selva infernale spesso incomprensibile e destinata ad aumentare ancora il contenzioso» ( ) e ancora lasciando da parte il dibattito (i.e. le polemiche) in ordine alla (mancata) “concertazione” e persino “dialogo sociale” in proposito ( ), occorre, anzitutto, osservare come il legislatore, con operazione non facilmente spiegabile, abbia coniato una nuova formulazione del comma 01 dell’art. 1 del decreto legislativo del 2001, che oggi, appunto, in sostituzione della precedente («il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato»), così recita: «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». Ci si deve, dunque, anzitutto, interrogare sul significato e sull’effettiva portata della predetta nuova formulazione.

In attesa della nuova riforma: una rilettura del lavoro a termine

ZILIO GRANDI, Gaetano;SFERRAZZA, Mauro
2013-01-01

Abstract

Ad un primo esame, la norma della legge n. 92/2012 che si occupa del contratto a termine, frutto di diverse modifiche “in corsa”, seppure aiuta a sciogliere alcuni nodi della disciplina in materia, dovuti anche allo scombinato sovrapporsi degli interventi legislativi del 2001, del 2003, del 2007 e del 2010, appare ulteriormente foriera di difficoltà interpretative. Si renderà, quindi, ancora una volta necessario il consueto costruttivo impegno della dottrina giuslavoristica, storicamente fornito per la ricomposizione di un quadro normativo di complessa esegesi, avendo come obiettivo quello di coniugare diritti e tutele dei lavoratori ed esigenze delle imprese, legate alle profonde modificazioni in atto delle modalità della produzione e dell’organizzazione del lavoro. A prescindere da ogni giudizio sull'opportunità di un nuovo intervento legislativo, posto che, come ricordato, secondo molti osservatori la riforma del 2001 aveva già correttamente disciplinato la materia ai sensi della direttiva comunitaria, e tralasciando il fatto che il legislatore continua «nella tragica scelta di aggiungere norme a norme, contribuendo non poco alla creazione di una selva infernale spesso incomprensibile e destinata ad aumentare ancora il contenzioso» ( ) e ancora lasciando da parte il dibattito (i.e. le polemiche) in ordine alla (mancata) “concertazione” e persino “dialogo sociale” in proposito ( ), occorre, anzitutto, osservare come il legislatore, con operazione non facilmente spiegabile, abbia coniato una nuova formulazione del comma 01 dell’art. 1 del decreto legislativo del 2001, che oggi, appunto, in sostituzione della precedente («il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato»), così recita: «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». Ci si deve, dunque, anzitutto, interrogare sul significato e sull’effettiva portata della predetta nuova formulazione.
2013
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