L’impegno di ricostruzione dell’evoluzione della statistica e della demografia in corso in questi ultimi anni si inquadra in una rivivescenza del dibattito sulle scienze sociali, in cui si confrontano interpretazioni che sembrano sovrastimare la componente politica e ideologica degli sviluppi scientifici di queste discipline, e prospettive ‘internaliste’ che ne sottolineano invece l’autonoma evoluzione. Per evitare letture estreme, pure mantenendo un’attenzione forte ai nessi tra scienza e potere, ci sembra privilegiato l’osservatorio offerto dall’evoluzione della statistica ufficiale, laddove l’articolazione pratica delle discipline scientifiche prende in qualche modo forma amministrativa e istituzionale. Due tipi di interrogativi sottostanno alla ricostruzione che qui si presenta, relativamente alla collocazione della demografia nel contesto culturale e politico del tempo e al rapporto tra statistica e demografia nell’evoluzione del sistema delle statistiche ufficiali. 1) Se esiste all’epoca una ‘scuola italiana’ di demografia (e di statistica), quali sono le sue origini e le sue caratteristiche? C’è la possibilità di individuare un tratto comune alla demografia italiana del periodo fascista nel popolazionismo di matrice biologica (condizionato socialmente) rafforzato dalla cultura cattolica della famiglia? Nella ricomposizione della frattura risorgimentale tra Stato e Chiesa voluta dal fascismo, come si riconfigura il nesso tra scienza e primato della nazione? A presunte omogeneità di fondo che sembrano imporsi fanno peraltro riscontro notevoli differenze nell’articolare il rapporto tra indagine scientifica (ufficiale o meno) e politica demografica (Gini e Livi, Boldrini e Mortara), e, trasversali a queste, forti differenze nell’individuare gli oggetti e i problemi cruciali di studio. 2) All’interno della lunga e tormentata vicenda della statistica ufficiale in Italia, si delinea una fase (breve) in cui la demografia appare centrale, se non egemone: quali le ragioni e le date del suo inizio e della sua fine? Il problema ottocentesco del carattere proprio della statistica, in quanto ‘arte’ (secondo la prospettiva inventariale di derivazione illuministica), piuttosto che ‘scienza’ (contraddistinta dalla capacità di individuare leggi della società) o ‘metodo’ (per il trattamento quantitativo di dati aggregati per le scienze naturali e sociali) era stato risolto in favore dell’ultimo termine nei primi anni del ’900. Tale dinamica procede di pari passo con una relativa autonomizzazione del momento applicativo demografico. Tuttavia, sinergie e distinzioni sembrano riproporsi in termini variabili nei dibattiti che interessano l’organizzazione della statistica ufficiale, ogniqualvolta emergono proposte che fanno di un nucleo privilegiato di oggetti e discipline il perno attorno al quale far ruotare le indagini. Al matrimonio tra statistica e demografia che caratterizza gli anni a cavallo fra ’20 e ’30 segue una lenta fase di progressivo distacco, che porterà nel dopoguerra a rapporti privilegiati con l’economia. Il saggio prende dapprima in esame l’evoluzione del rapporto tra demografia e statistica ufficiale nell’Italia liberale. Successivamente, con riguardo al periodo tra le due guerre, cerca di cogliere le maggiori intersezioni tra sviluppi scientifici, ideologici e politici (§ 3); quindi l’evoluzione istituzionale, amministrativa e scientifica, della statistica e della demografia all’interno dell’Istat (§ 4); infine le caratteristiche della produzione e dell’analisi di dati demografici (§ 5). In conclusione (§ 6) si riepilogano i più importanti fattori che sembrano avere consentito il mantenimento di un approccio scientifico in un contesto potenzialmente distorsivo.

Demografia e statistica ufficiale prima della Repubblica

FAVERO, Giovanni
2003-01-01

Abstract

L’impegno di ricostruzione dell’evoluzione della statistica e della demografia in corso in questi ultimi anni si inquadra in una rivivescenza del dibattito sulle scienze sociali, in cui si confrontano interpretazioni che sembrano sovrastimare la componente politica e ideologica degli sviluppi scientifici di queste discipline, e prospettive ‘internaliste’ che ne sottolineano invece l’autonoma evoluzione. Per evitare letture estreme, pure mantenendo un’attenzione forte ai nessi tra scienza e potere, ci sembra privilegiato l’osservatorio offerto dall’evoluzione della statistica ufficiale, laddove l’articolazione pratica delle discipline scientifiche prende in qualche modo forma amministrativa e istituzionale. Due tipi di interrogativi sottostanno alla ricostruzione che qui si presenta, relativamente alla collocazione della demografia nel contesto culturale e politico del tempo e al rapporto tra statistica e demografia nell’evoluzione del sistema delle statistiche ufficiali. 1) Se esiste all’epoca una ‘scuola italiana’ di demografia (e di statistica), quali sono le sue origini e le sue caratteristiche? C’è la possibilità di individuare un tratto comune alla demografia italiana del periodo fascista nel popolazionismo di matrice biologica (condizionato socialmente) rafforzato dalla cultura cattolica della famiglia? Nella ricomposizione della frattura risorgimentale tra Stato e Chiesa voluta dal fascismo, come si riconfigura il nesso tra scienza e primato della nazione? A presunte omogeneità di fondo che sembrano imporsi fanno peraltro riscontro notevoli differenze nell’articolare il rapporto tra indagine scientifica (ufficiale o meno) e politica demografica (Gini e Livi, Boldrini e Mortara), e, trasversali a queste, forti differenze nell’individuare gli oggetti e i problemi cruciali di studio. 2) All’interno della lunga e tormentata vicenda della statistica ufficiale in Italia, si delinea una fase (breve) in cui la demografia appare centrale, se non egemone: quali le ragioni e le date del suo inizio e della sua fine? Il problema ottocentesco del carattere proprio della statistica, in quanto ‘arte’ (secondo la prospettiva inventariale di derivazione illuministica), piuttosto che ‘scienza’ (contraddistinta dalla capacità di individuare leggi della società) o ‘metodo’ (per il trattamento quantitativo di dati aggregati per le scienze naturali e sociali) era stato risolto in favore dell’ultimo termine nei primi anni del ’900. Tale dinamica procede di pari passo con una relativa autonomizzazione del momento applicativo demografico. Tuttavia, sinergie e distinzioni sembrano riproporsi in termini variabili nei dibattiti che interessano l’organizzazione della statistica ufficiale, ogniqualvolta emergono proposte che fanno di un nucleo privilegiato di oggetti e discipline il perno attorno al quale far ruotare le indagini. Al matrimonio tra statistica e demografia che caratterizza gli anni a cavallo fra ’20 e ’30 segue una lenta fase di progressivo distacco, che porterà nel dopoguerra a rapporti privilegiati con l’economia. Il saggio prende dapprima in esame l’evoluzione del rapporto tra demografia e statistica ufficiale nell’Italia liberale. Successivamente, con riguardo al periodo tra le due guerre, cerca di cogliere le maggiori intersezioni tra sviluppi scientifici, ideologici e politici (§ 3); quindi l’evoluzione istituzionale, amministrativa e scientifica, della statistica e della demografia all’interno dell’Istat (§ 4); infine le caratteristiche della produzione e dell’analisi di dati demografici (§ 5). In conclusione (§ 6) si riepilogano i più importanti fattori che sembrano avere consentito il mantenimento di un approccio scientifico in un contesto potenzialmente distorsivo.
2003
4
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/10425
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