Questo lavoro può essere letto come il convergere di due percorsi distinti, l'uno soprattutto storico, l'altro più prettamente teorico, verso un'interpretazione del Cogito cartesiano come "fatto della ragione". Il percorso storico, che coincide con i primi tre capitoli, intende ricostruire il rifiuto cartesiano della tradizione aristotelico-scolastica, nozione che proprio dal punto di vista storico resta sottodeterminata, ma d'altra parte è questo un limite che si deve imputare allo stesso Descartes; ho analizzato dunque quest'unica operazione cartesiana distinguendo in essa tre movimenti profondamente solidali e complementari: il passaggio dalla logica al metodo, quello dalla verità come convenienza di soggetto e predicato (correttezza di un giudizio) alla verità come evidenza (imporsi della semplice presenza all'intuito), e quello dal principio di non contraddizione al Cogito. Soprattutto il primo movimento è degno della massima attenzione, perché nella sostituzione del metodo alla logica non si esprime solamente l'adozione di un diverso apparato di regole per la costruzione del sapere, ma più fondamentalmente l'imporsi di una nuova prospettiva: non più lo "sguardo assoluto" del logico che pretende di scorgere dall'alto la trama puramente formale del mondo, ma l'esercizio pratico di una razionalità concretamente situata in questo mondo che deve conoscere. Il percorso teorico si sviluppa invece nei capitoli quarto e quinto, per saggiare la consistenza e la solidità della filosofia cartesiana attraverso il confronto con le due critiche più strutturali di cui essa è oggetto nel dibattito attuale, vale a dire le questioni del dualismo e dello psicologismo. Anziché essere il "residuo di un presupposto volgare" (come vuole Bontadini), il dualismo cartesiano viene letto come la traduzione di un'esperienza irriducibile alla pura teoria, vale a dire la limitatezza del nostro potere sulle cose, la costitutiva impossibilità che il nostro pensiero (a differenza di quello divino) si traduca immediatamente in un mondo reale, dovendo piuttosto fare i conti con quanto è già dato (con una chiaro riferimento alla distinzione kantiana tra intuitus derivativus e intuìtus originarius). La questione dello psicologismo, poi, viene riaperta in considerazione delle difficoltà in cui si avvolge la stessa critica anti-psicologistica (qui analizzata nelle versioni di Frege e Husserl); abbandonando per un momento l'itinerario cartesiano, è ancora in una figura kantiana, quella dei "fatti della ragione", che viene indicata una soluzione più equilibrata al problema, distante sia dagli eccessi naturalistici dello psicologismo, sia da quelli formalistici dell'antipsicologismo. Il sesto e conclusivo capitolo, come accennato in apertura, costituisce allora il culmine e il punto d'incontro dei due percorsi, poiché la lettura del Cogito come un "fatto della ragione" (che segue ad uno status quaestionis breve, ma già ricco di spunti) da un lato conferma e illustra in qualità di esempio paradigmatico le tesi più generali emerse nei tre capitoli di ricostruzione storica (rifiuto della logica; esaltazione dell'evidenza intuitiva come primo ed essenziale requisito della verità; rifiuto di un principio che sia puramente formale), e dall'altro giustifica la pertinenza degli excursus teorici condotti nei capitoli 4 e 5, poiché mostra come alcune suggestioni kantiane siano effettivamente in grado di gettare maggiore luce sulla filosofia di Descartes, e in particolare sul suo "punto archimedeo". This work can be seen as composed by two different routes, the one mainly historical, the other one more genuinely theoretical, converging towards an interpretation of the Cartesian Cogito as a "fact of reason".The historical route, which corresponds to the first three chapters, is meant to reconstruct the Cartesian refusal of the Aristotelian-scholastic tradition (just from a historical point of view, this notion is left under-determined; this limit, however, is due to Descartes himself); I analysed this single operation, marking out three strongly united and complementary movements: the passing from logic to method, that from truth as convenience of subject and predicate (correctness of a judgement) to truth as evidence (self-imposing of the pure presence to the intuition), and that from the principle of non-contradiction to the Cogito. Especially the first movement is worth the maximum attention, because the substitution of method for logic expresses not only the adoption of a different set of rules in order to build up knowledge, but more basically the imposing of a new perspective: no more the "absolute eye" of the logic, who pretend to see from above the purely formal texture of the world, but the practical exercise of a rationality which is concretely placed into this world that must be known. The theoretical route, on the other hand, develops in chapter 4 and 5, and its aim is to test the firmness of Cartesian philosophy through a confrontation with the two more structural criticisms on it: dualism and psychologism. Instead of being the "trace of a vulgar presupposition" (as Bontadini said), Cartesian dualism is seen as the expression of an experience which can never be reduced to pure theory, i.e. the limits of our power over things, the essential impossibility for our thinking (unlike God's thinking) to be at once a real world, because it has what is already given to reckon with (this point clearly refers to Kantian distinction between intuitus derivativus and intuitus originarius). The question of psychologism, then, has been renewed because of the troubles in which anti-psychologistic criticism itself gets entangled (I analysed here the examples of Frege and Husserl); diverting for a while from my Cartesian course, I point to another Kantian figure, the "facts of reason", to find out a well-balanced solution of the problem, far from the naturalistic excess of psychologism as well as from the formalistic excess of anti-psychologism. The final chapter, as I mentioned at the beginning, represents therefore the apex and the meeting point of the two routes, because the reading of the Cogito as a "fact of reason" (after a short but stimulating status quaestionis) on the one hand confirms and illustrates as an exemplary case the general thesis coming out from the three historical chapters (refusal of logic; exaltation of the intuitive evidence as the first and essential requirement for truth; refusal of a merely formal principle); on the other hand, it justifies the pertinence of the theoretical excursus in chapter 4 and 5, because it shows that some Kantian suggestions are actually of great help in understanding Descartes, and in particular his "Archimedean point".

Mea logica, vera logica: il metodo cartesiano e i fatti della ragione(2004 Mar 26).

Mea logica, vera logica: il metodo cartesiano e i fatti della ragione

-
2004-03-26

Abstract

Questo lavoro può essere letto come il convergere di due percorsi distinti, l'uno soprattutto storico, l'altro più prettamente teorico, verso un'interpretazione del Cogito cartesiano come "fatto della ragione". Il percorso storico, che coincide con i primi tre capitoli, intende ricostruire il rifiuto cartesiano della tradizione aristotelico-scolastica, nozione che proprio dal punto di vista storico resta sottodeterminata, ma d'altra parte è questo un limite che si deve imputare allo stesso Descartes; ho analizzato dunque quest'unica operazione cartesiana distinguendo in essa tre movimenti profondamente solidali e complementari: il passaggio dalla logica al metodo, quello dalla verità come convenienza di soggetto e predicato (correttezza di un giudizio) alla verità come evidenza (imporsi della semplice presenza all'intuito), e quello dal principio di non contraddizione al Cogito. Soprattutto il primo movimento è degno della massima attenzione, perché nella sostituzione del metodo alla logica non si esprime solamente l'adozione di un diverso apparato di regole per la costruzione del sapere, ma più fondamentalmente l'imporsi di una nuova prospettiva: non più lo "sguardo assoluto" del logico che pretende di scorgere dall'alto la trama puramente formale del mondo, ma l'esercizio pratico di una razionalità concretamente situata in questo mondo che deve conoscere. Il percorso teorico si sviluppa invece nei capitoli quarto e quinto, per saggiare la consistenza e la solidità della filosofia cartesiana attraverso il confronto con le due critiche più strutturali di cui essa è oggetto nel dibattito attuale, vale a dire le questioni del dualismo e dello psicologismo. Anziché essere il "residuo di un presupposto volgare" (come vuole Bontadini), il dualismo cartesiano viene letto come la traduzione di un'esperienza irriducibile alla pura teoria, vale a dire la limitatezza del nostro potere sulle cose, la costitutiva impossibilità che il nostro pensiero (a differenza di quello divino) si traduca immediatamente in un mondo reale, dovendo piuttosto fare i conti con quanto è già dato (con una chiaro riferimento alla distinzione kantiana tra intuitus derivativus e intuìtus originarius). La questione dello psicologismo, poi, viene riaperta in considerazione delle difficoltà in cui si avvolge la stessa critica anti-psicologistica (qui analizzata nelle versioni di Frege e Husserl); abbandonando per un momento l'itinerario cartesiano, è ancora in una figura kantiana, quella dei "fatti della ragione", che viene indicata una soluzione più equilibrata al problema, distante sia dagli eccessi naturalistici dello psicologismo, sia da quelli formalistici dell'antipsicologismo. Il sesto e conclusivo capitolo, come accennato in apertura, costituisce allora il culmine e il punto d'incontro dei due percorsi, poiché la lettura del Cogito come un "fatto della ragione" (che segue ad uno status quaestionis breve, ma già ricco di spunti) da un lato conferma e illustra in qualità di esempio paradigmatico le tesi più generali emerse nei tre capitoli di ricostruzione storica (rifiuto della logica; esaltazione dell'evidenza intuitiva come primo ed essenziale requisito della verità; rifiuto di un principio che sia puramente formale), e dall'altro giustifica la pertinenza degli excursus teorici condotti nei capitoli 4 e 5, poiché mostra come alcune suggestioni kantiane siano effettivamente in grado di gettare maggiore luce sulla filosofia di Descartes, e in particolare sul suo "punto archimedeo". This work can be seen as composed by two different routes, the one mainly historical, the other one more genuinely theoretical, converging towards an interpretation of the Cartesian Cogito as a "fact of reason".The historical route, which corresponds to the first three chapters, is meant to reconstruct the Cartesian refusal of the Aristotelian-scholastic tradition (just from a historical point of view, this notion is left under-determined; this limit, however, is due to Descartes himself); I analysed this single operation, marking out three strongly united and complementary movements: the passing from logic to method, that from truth as convenience of subject and predicate (correctness of a judgement) to truth as evidence (self-imposing of the pure presence to the intuition), and that from the principle of non-contradiction to the Cogito. Especially the first movement is worth the maximum attention, because the substitution of method for logic expresses not only the adoption of a different set of rules in order to build up knowledge, but more basically the imposing of a new perspective: no more the "absolute eye" of the logic, who pretend to see from above the purely formal texture of the world, but the practical exercise of a rationality which is concretely placed into this world that must be known. The theoretical route, on the other hand, develops in chapter 4 and 5, and its aim is to test the firmness of Cartesian philosophy through a confrontation with the two more structural criticisms on it: dualism and psychologism. Instead of being the "trace of a vulgar presupposition" (as Bontadini said), Cartesian dualism is seen as the expression of an experience which can never be reduced to pure theory, i.e. the limits of our power over things, the essential impossibility for our thinking (unlike God's thinking) to be at once a real world, because it has what is already given to reckon with (this point clearly refers to Kantian distinction between intuitus derivativus and intuitus originarius). The question of psychologism, then, has been renewed because of the troubles in which anti-psychologistic criticism itself gets entangled (I analysed here the examples of Frege and Husserl); diverting for a while from my Cartesian course, I point to another Kantian figure, the "facts of reason", to find out a well-balanced solution of the problem, far from the naturalistic excess of psychologism as well as from the formalistic excess of anti-psychologism. The final chapter, as I mentioned at the beginning, represents therefore the apex and the meeting point of the two routes, because the reading of the Cogito as a "fact of reason" (after a short but stimulating status quaestionis) on the one hand confirms and illustrates as an exemplary case the general thesis coming out from the three historical chapters (refusal of logic; exaltation of the intuitive evidence as the first and essential requirement for truth; refusal of a merely formal principle); on the other hand, it justifies the pertinence of the theoretical excursus in chapter 4 and 5, because it shows that some Kantian suggestions are actually of great help in understanding Descartes, and in particular his "Archimedean point".
26-mar-2004
2 n.s. (16)
Filosofia
Perissinotto, Luigi
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