Il presente lavoro si propone di offrire una ricostruzione complessiva degli aspetti salienti del pensiero di Charles Taylor, le cui riflessioni sono tutto incentrate attorno al tentativo di pervenire a una comprensione non riduttiva dell'universo umano, che sappia rendere giustizia alla complessità che gli è propria; un pensiero che, a tale scopo, non soltanto si nutre di molteplici e svariate fonti, dalla filosofìa analitica a quella continentale, ai ripetuti riferimenti ad Aristotele, Herder, Hegel, Wittgenstein e Heidegger, ma che ricopre anche una vasta gamma di ambiti diversi che vanno dalla storia del pensiero, alla teoria della conoscenza, alla filosofia morale, o ancora, alla filosofia politica e all'estetica, dimostrando così una multiforme curiosità d'indagine per la pluralità delle diverse dimensioni dell'esperienza umana. Allo scopo di ricondurre a una visione d'insieme un'antropologia filosofica quale è quella tayloriana - la quale, d'altra parte, non viene strutturata dall'autore in un sistema vero e proprio, ma anzi, proprio per la molteplicità di ambiti estremamente vari in cui si muove, tracciando delle connessioni tra di essi e mostrando come le questioni sollevate negli uni sconfinino incessantemente negli altri, si sottrae, nonostante l'unitarietà di intenti, a una simile sistematizzazione - viene posta, come punto di partenza, l'interrogazione stessa di ciò in cui consiste, originariamente, questa antropologia, la quale è al contempo un'impresa storica e filosofica, che procede per un modo di indagine trascendentale, nella misura in cui a partire dall'esperienza di un'identità storicamente definita (la nostra), si propone di pervenire a delle condizioni di possibilità dell'agire umano in quanto tale. Alla base del presente lavoro vi è dunque la distinzione tra dimensioni ontologiche e dimensioni storiche nella trattazione tayloriana dell'essere dell'uomo: l'immutabile natura umana, da una parte, e la natura del sé o dell'identità moderna, dall'altra, sono i due poli attorno ai quali ci si muove costantemente in questa ricostruzione del pensiero tayloriano e a partire dai quali si snodano i singoli capitoli, ciascuno dei quali contiene, pertanto, al contempo, qualcosa di storico e qualcosa di trascendentale. Conformemente, inoltre, al carattere profondamente dialogico degli scritti tayloriani - i quali sono segnati dallo stile orale di una conversazione con avversari o interlocutori con i quali si tratta di pervenire a un accordo o a una formulazione comune delle rispettive divergenze - tutti i capitoli presentano, nel proprio contesto, la polemica che l'autore perpetuamente svolge contro quello che viene denominato, lungo tutto l'arco della sua produzione filosofica, "il naturalismo". A partire da questa generale ma fondamentale premessa, il lavoro si struttura in quattro capitoli che si snodano l'uno dopo l'altro, secondo una scelta interpretativa che ci è parsa consona agli stessi presupposti metodologici tayloriani, ossia tramite una progressiva articolazione delle questioni presentate, volta ad arricchire e ad approfondire, passo dopo passo, le posizioni già acquisite: dall'introduzione della nozione centrale di engaged agency presentata nel primo capitolo in polemica con la visione dell'uomo associata alla concezione rappresentativa della conoscenza, alla messa in chiaro, nel secondo capitolo, di tale nozione in rapporto al paradigma espressivistico abbracciato dall'autore, all'ulteriore arricchimento, nel terzo capitolo, della medesima nozione tramite quella di "valutazione forte" (ossia della correlazione ineludibile che Taylor ritiene esserci tra identità e bene), alla presentazione, infine, a partire dalle acquisizioni della sua antropologia fllosofica, dell'interpretazione dell'identità moderna offertaci nella sua opera maggiore, ossia Sources of the Self: The Making of Moderni Identity [Taylor, Ch. (1989), Sources of the Self. The Making of Modern Identity, Harvard University Press, Cambridge Mass. (trad. it. di R. Rini, Radici dell'io. La costruzione dell'identità moderna, Feltrinelli, Milano 1993)]. Più nello specifico, il primo capitolo della tesi è inevitabilmente dedicato all'impostazione globale delle riflessioni di Taylor: in esso viene indicata, in linea generale, la dialettica di identità e differenza della natura umana all'opera nella sua antropologia e viene presentato il genere di strategia argomentativa che l'autore ritiene possa sorreggere tale dialettica; in particolare, il problema del rapporto che intercorre nelle riflessioni tayloriane tra verità perenni e caratteristiche contingenti e storiche dell'essere dell'uomo viene dilucidato in riferimento a Sources of the Self, opera che, per la sua stessa configurazione, richiama continuamente l'attenzione del lettore su questo punto, evidenziando sin dall'inizio il vincolo profondo che unisce l'antropologia filosofica di Taylor al suo progetto di interpretazione dell'identità moderna. Essendo la strategia argomentativa messa in opera dall'autore una strategia di genere trascendentale - che sancisce la possibilità, a partire dalla nostra "conoscenza di agenti" (agent 's knowledge), di pervenire alla formulazione di condizioni dell'esperienza umana in generale - il nucleo centrale del capitolo è costituito da un'analisi di ciò che stabiliscono, secondo Taylor, le argomentazioni trascendentali e di come esse pervengono a stabilire ciò che di fatto stabiliscono, nell'intento di esaminare lo statuto che l'autore accorda a quelle condizioni ritenute ineludibili dell'agire umano in quanto tale, nonché la rilevanza ontologica delle argomentazioni trascendentali stesse. Centrale a questa trattazione è la nozione di "articolazione dell'implicito" con cui questo tipo di argomentazioni hanno necessariamente a che fare, un'articolazione che si costituisce come tentativo di portare alla luce, per quanto è possibile, ciò che è implicato in quell'orizzonte di sapere tacito o in quella sorta di presa pratica e inarticolata del mondo che l'agente necessariamente possiede, dischiudendo qualcosa della nostra precomprensione ed estendendo, in questo modo, la nostra conoscenza delle connessioni che soggiacciono alla nostra abilità di interagire con il mondo così come di fatto facciamo. La trattazione di questa tematica contiene dunque in sé anche la critica che Taylor volge all'epistemologia tradizionale, una critica che gli permette una nuova messa in questione dell'ontologia che sappia riscoprire il corpo, il linguaggio, e con ciò, anche la società, ponendo a fondamento della sua antropologia la nozione di engaged o embodied agency. In questo senso, ci si trova qui dinanzi a una sorta di parziale anticipazione di quanto verrà ulteriormente dilucidato nei capitolo successivi, ossia quel rapporto corpo-linguaggio-società che si costituisce non soltanto come il tema capitale della filosofia contemporanea, ma anche come il fulcro attorno al quale ruota l'antropologia di questo autore. A partire dalla nozione di articolazione, infine, viene anche messa in luce, in questo primo capitolo, la forte convergenza che sussiste nelle riflessioni di Taylor tra l'uso che egli fa della deduzione trascendentale d'ispirazione kantiana e quello che viene denominato il "principio della spiegazione migliore" (best account principle), in base al quale sopravvive il resoconto interpretativo dell'esperienza che, tra quelli disponibili, perviene meglio a conferire senso alle sue caratteristiche essenziali e che rappresenta il principio cardine del paradigma ermeneutico abbracciato dall'autore: tanto nell'uno che nell'altro caso, il centro di gravità teorica è infatti come viene vissuta la vita ordinaria e quali concetti sono utili per rendere conto di questo. Segue pertanto una discussione del modello di comprensione nelle scienze umane che Taylor adotta, discussione preliminare che si rivela necessaria per cogliere, dal punto di vista metodologico, il suo modo procedere, nonché il senso e la portata che egli attribuisce allo studio dell'uomo. A tale scopo, vengono presi in considerazione il particolare rapporto che, secondo Taylor, intercorre tra teoria e prassi nelle scienze umane se messe a confronto con le scienze naturali, il modello pluralistico di confronto tra culture differenti e il modello inerentemente comparativo di ragionamento pratico che l'autore elabora. Si tratta prevalentemente, dunque, in questo capitolo, di discussioni di metodo, necessarie a comprendere non soltanto le strategie messe all'opera da Taylor, ma anche volte a fornire gli strumenti necessari per stabilire, dall'interno, la portata e la validità del suo stesso modo di procedere. Il secondo capitolo è interamente dedicato alla pervasività della tradizione espressivistica nelle riflessioni tayloriane: non soltanto, infatti, l'importanza che Taylor attribuisce a Herder e alla tradizione a questi legata è più che esplicita e agisce apertamente nella sua antropologia filosofica, ma essa è ben visibile anche nell'analisi dell'identità moderna delineata in Sources of the Self. Il capitolo presenta pertanto una breve visione preliminare dell'importanza dell'eredità espressivistica all'opera nel pensiero di Taylor - dal primo passo vero e proprio che egli compie sulla via di tale tradizione (la sua elaborazione di una monografia su Hegel), all'importanza che il paradigma espressivistico acquista ai sensi di un'adeguata comprensione dell'identità moderna, alle possibilità insite in esso per emendare la modernità dai suoi errori, richiamandola ai suoi veri principi - per concentrarsi successivamente sulla nozione stessa di espressione, nozione sulla quale l'autore basa la sua immagine dell'uomo, la sua concezione del linguaggio e, più in generale, la concezione stessa che egli ha della realtà. Sotto questo rispetto, il capitolo si struttura attorno a due nuclei centrali, tra loro fondamentalmente connessi: da una parte, la necessità, per l'antropologia tayloriana, di delineare una soggettività in situazione, dall'altra, il ruolo fondamentale che in tale contesto ricopre il linguaggio, nel tentativo di comprendere come, nel pensiero di Taylor, concezione dell'uomo e concezione del linguaggio si saldino, attraverso la nozione di espressione, in un'immagine del soggetto "incarnato" che è, in quanto tale, necessariamente collocato nella vita, nella natura, in un complesso di pratiche e istituzioni sociali, e di mostrare, in questo modo, come la nozione di engaged agency si sostenga essenzialmente sulla concezione dell'uomo in quanto essere espressivo. Il quadro all'interno del quale vengono presentati i tre punti che nel loro insieme offrono una visione complessiva di ciò che è da intendersi con quest'ultima concezione è, come avviene in tutta la riflessione di questo autore, quello del dibattito con il "naturalismo": non soltanto quella che Taylor chiama la concezione "qualitativa dell'azione" viene presentata in contrapposizione alle teorie causali proprie della tradizione epistemologica, ma anche la concezione del linguaggio che egli fa propria viene discussa in opposizione alle teorie designative del significato connesse a tale tradizione; infine, anche l'idea di individuazione espressiva e di autorealizzazione che soggiace, secondo Taylor, alla questione dell'identità personale viene presentata, anch'essa, in contrasto con quello che è, sempre secondo l'autore, una sua comprensione naturalistica distorta. Nel porre in tensione questi due modelli, naturalismo ed espressivismo, viene evidenziato come il modello o la concezione espressivistica non è semplicemente una caratterizzazione propria della modernità, bensì piuttosto - secondo la dialettica propria alla riflessione tayloriana che muove continuamente dallo "storico" al "trascendentale" - anche la chiave di volta per una miglior comprensione dell'essere umano, e con essa, per un'enucleazione di quei tratti pervasivi che lo caratterizzano ovunque, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, al di là, cioè, di ogni differenza. Anche in questo capitolo, dunque, vengono tenuti insieme, ancora una volta, tanto le dimensioni ontologiche, quanto quelle storiche dell'identità. Ma se il primo capitolo presenta, in qualche modo, il fondamento teoretico della nozione di engaged agency, questo secondo capitolo, dovrebbe indicarne, invece, non soltanto le fonti storiche, ma anche mostrare come la filosofia di Taylor sia fondamentalmente una "filosofia dell'espressione". La natura dell'engaged agency viene ulteriormente approfondita, nel terzo capitolo, tramite l'introduzione della nozione di "valutazione forte" che ne rappresenta la principale espressione, o da quella correlazione ineludibile che Taylor ritiene esserci tra identità e bene, motivo per il quale l'enucleazione delle dimensioni ontologiche del sé finiscono per procedere pari passo con la messa in chiaro degli aspetti principali della filosofia morale tayloriana. Da una parte, quindi, il capitolo contiene una discussione dei tre aspetti essenziali della natura più propria dell'uomo che confluiscono nell'antropologia filosofica di Taylor: tra questi, è il concetto di persona che determina la propria identità orientandosi in uno spazio morale a configurarsi come il contributo teorico più significativo dell'autore, accanto agli altri due aspetti enunciati, ossia il carattere dialogico dell'identità personale e il suo carattere narrativo. In primo luogo, dunque, avere un'identità o essere un sé significa esistere in uno spazio di questioni che hanno a che fare con come si dovrebbe essere, o che ci rapportano a ciò che è buono, a ciò che è giusto, a ciò che si dovrebbe fare. In secondo luogo, la definizione completa dell'identità di una persona comprende, non soltanto la sua posizione sulle questioni morali e spirituali, bensì anche un riferimento a una comunità, e ciò in un duplice senso: affinché l'elaborazione della propria identità possa aver luogo, si rende infatti necessario sia che gli individui siano originariamente inseriti in quelle che Taylor chiama "reti di interlocuzione", sia che venga riconosciuta l'importanza dell'incessante negoziazione con gli altri, nel corso di una vita, della propria identità. Infine, incontriamo il requisito "narrativo" dell'identità, in virtù del quale vi deve essere una sorta di unità a priori della vita umana o quantomeno la possibilità che i cambiamenti a cui siamo sottoposti nell'arco di una vita possano essere compresi alla luce di una certa qual unitarietà. Dall'altra parte, poiché la visione che Taylor ha dell'identità è necessariamente connessa con la sua analisi della vita morale, questo capitolo contiene una discussione parallela delle nozioni di "iperbene", "fonti morali", "beni costitutivi" e "beni della vita", ossia della strutturazione stessa del campo morale, così come viene intesa dall'autore. Anche qui, conformemente al procedere tayloriano, che grazie al confronto con il "naturalismo" dilucida e costruisce le proprie posizioni filosofiche, nell'intento di chiarire queste nozioni, vengono discussi i punti salienti di ciò che è propriamente da intendersi per "naturalismo", tramite brevi accenni alle diverse forme che esso ha storicamente assunto o che può trovarsi ad assumere, mettendo a nudo, in questo modo, la critica che Taylor volge a quella tendenza "angusta e parziale" di certa filosofia contemporanea ad assegnare alla moralità una portata estremamente ridotta, delimitandola alla mera considerazione del problema di cosa sia giusto fare e non piuttosto di quello ben più importante di cosa sia bene essere e amare, di quella filosofia, cioè, che limitandosi a spiegare da che cosa discendono i nostri obblighi morali e a individuare un criterio che ci consenta di stabilire tutte le cose che dobbiamo fare, finiscono per escludere dal discorso morale stesso le due nozioni tradizionali di bene - il bene come vita buona e il bene come oggetto del nostro amore. In conclusione del capitolo si ritrova una discussione del realismo morale di Taylor - tanto delle critiche che gli sono state rivolte a causa dell'assunzione di tale prospettiva, che della strada percorsa dall'autore per difendersi da esse - in preparazione dell'ultimo capitolo, in cui si cerca di mettere in chiaro quanto la filosofia morale tayloriana guidi negli intenti l'interpretazione della modernità proposta in Sources of the Self. Come naturale sbocco delle trattazioni contenute nei primi tre capitoli, in cui le componenti storielle dell'identità moderna emergono continuamente sulla superficie, nel tentativo di individuare quell'"invariabile variabilità" dell'essere dell'uomo, si impone, infine, nell'ultimo capitolo, un percorso attraverso Finterpretazione che Taylor propone della formazione genetica di questa specifica identità storica; un'interpretazione che è "culturale" (contrariamente a interpretazioni di carattere "aculturale"), nel senso che considera di importanza cruciale la trattazione di aspetti quali la nuova visione del sé, della natura e del bene che con la modernità vengono alla luce, e il cui obiettivo è quello di proporre una storia dell'identità moderna che possa fungere da punto di partenza per una rinnovata comprensione della modernità, una comprensione che ne sappia affrontare i fenomeni in modo meno unilaterale e più fecondo di quello proposto tanto dai suoi detrattori che dai suoi difensori. Qui l'analisi presentata della modernità spazia dalla ricostruzione storica dello sviluppo di quello che Fautore chiama le "fonti morali" a cui l'uomo moderno attinge, all'individuazione delle aree di tensione che minacciano, dall'interno della modernità stessa, un suo cedimento, alla proposta di possibili soluzioni per fuoriuscire dalla situazione di crisi in cui si troverebbero, oggi, secondo Taylor, le società moderne. Il capitolo contiene, dunque, in primo luogo, un'esposizione della ricostruzione storica delle fonti di moralità moderne secondo uno schema che prevede, fondamentalmente, tre "frontiere": l'interiorità moderna (ossia la percezione di noi stessi come esseri dotati di profondità intcriori e la conseguente idea, per l'appunto, che noi siamo dei "sé", caratteristica questa che giunge fino a noi a partire da Sant'Agostino, passando attraverso Cartesio e Montaigne - è questo l'orizzonte morale che, fecalizzandosi sul sé e i suoi poteri, comprende, dunque, tanto le aspirazioni al distacco e al controllo strumentale, che il potere espressivo del sé e, quindi, l'aspirazione a vivere autenticamente secondo le proprie originali possibilità); la natura (il riferimento è qui all'idea di un ordine più vasto di cui l'individuo farebbe parte, e cioè, all'idea espressivistica della natura come fonte di moralità, di cui Taylor descrive le origini nel tardo Settecento, per percorrerne successivamente le trasformazioni ottocentesche e le manifestazioni nella letteratura del Novecento); infine, la fondazione teistica originaria: questi due orizzonti morali o queste due frontiere, in cui le fonti di moralità sono collocate, rispettivamente, nei nostri poteri e nella natura, nascono, secondo Taylor, infatti, entrambe da mutazioni di forme di spiritualità cristiana, ma, con il passare del tempo, perdono entrambe il contatto con la loro fondazione teistica originaria e si sviluppano per conto proprio, allo stesso modo di quell'altra caratteristica dell'identità moderna che l'interpretazione tayloriana mira a porre in rilievo, ossia la cosiddetta "affermazione della vita comune", fenomeno che va fatto risalire alla Riforma, dalla quale sarebbe passata all'Illuminismo, per assumere poi forme contemporanee secolarizzate. In secondo luogo, il capitolo contiene sia una discussione delle tre aree di tensione che Taylor individua nella modernità - il rischio continuo di conflitti tra beni costitutivi o fonti morali, la crescita smisurata della razionalità strumentale e la frattura apertasi tra dimensione etica ed estetica nella vita umana, le quali vengono rispettivamente chiamate, la questione delle fonti, la questione dello strumentalismo e la questione della moralità - sia una trattazione delle tre vie alternative che si aprono a chi interroga l'opera di questo autore in merito al modo in cui il dilemma etico della modernità dovrebbe essere riveduto attraverso un'antropologia filosofica. La prima di queste vie sottolinea la necessità di prendere atto del fatto che dall'immagine dell'identità moderna delineata da Taylor emerge non soltanto l'importanza preponderante che i beni costitutivi hanno nella vita morale degli individui, bensì anche la diversità dei beni suscettibili di essere validamente sostenuti: in questo senso, le riflessioni di Taylor manifestano l'urgenza che le diverse fonti morali della modernità entrino in rapporto di reciproco arricchimento, poiché solo all'articolazione non distorta di tutte le dimensioni della nostra identità spetta la forza normativa della conciliazione. La seconda via stabilisce fermamente, invece, la necessità di richiamare la modernità ai suoi veri principi, ossia superando o correggendo la forma che l'"ideale dell'autenticità" (discusso nel secondo capitolo), erroneamente interpretato, avrebbe assunto ai giorni nostri e che avrebbe portato alla legittimazione della tendenza a comprendere la vita umana in termini meramente individualistici, trascurando cioè quelle esigenze che - provenendo dalla storia, dalla tradizione, dalla natura o da Dio - trascendono le nostre aspirazioni meramente personali. Nell'indicare queste prime due risposte fornite da Taylor alle patologie della modernità viene discusso il fatto che esse sembrano portare inevitabilmente ad una terza via da percorrere che finisce, in qualche modo, per racchiuderle entrambe; una terza alternativa in cui ciò che viene a prevalere è una certa tendenza presente in Sources of the Self a considerare la perdita di orizzonti di valori trascendenti e oggettivamente esperiti come il dilemma centrale della cultura moderna. Se causa della crisi della modernità è un certo "oblio della trascendenza", allora, ciò che sembra emergere alla fine dell'itinerario interpretativo tayloriano è una critica dell'umanesimo secolare unita a una riaffermazione delle virtù di un teismo ermeneuticamente ripensato, in cui il Dio cristiano finisce con l'essere posto al vertice di quella pluralità di beni che, come l'autore si sforza di mostrare lungo tutto lo svolgersi di Sources of thè Self, fanno la vera ricchezza dell'identità moderna. Infine, viene indicato in questo capitolo, come già con l'insistenza tayloriana sul bisogno di esplicitare, ripercorrendone la storia, i beni costitutivi della modernità, come mossa essenziale per un'adeguata comprensione della nostra cultura e della nostra condizione morale, l'autore stia ormai accordando uno spazio considerevole alla Cristianità, poiché una volta che si argomenti che i valori morali moderni possono essere pienamente compresi in riferimento alla loro storia, il peso della bilancia è ormai spostato a favore della religione come uno tra i più importanti, se non il bene costitutivo per eccellenza; come, inoltre, in virtù della sua stessa nozione di bene costitutivo (discussa nel terzo capitolo), ossia come ciò il cui amore ci muove verso il bene, Taylor non stia sostenendo semplicemente che la Cristianità è stata la fonte morale preminente della modernità, bensì che entrare in contatto con tale bene costitutivo ci ispira e comanda amore; e come, in questo senso, la ricostruzione genealogica tayloriana dell'identità moderna sembri dunque alla fine avere come propria finalità quella di motivarci al bene ricollegando i nostri valori morali alla propria fonte costitutiva del teismo. L'obiettivo a cui ci si augura di essere pervenuti con questa ricostruzione complessiva del pensiero tayloriano è di essere riusciti, da una parte, a mettere in risalto come la dialettica che si viene a instaurare tra identità e differenza della natura umana nell'antropologia filosofica di questo autore, nella costante oscillazione tra l'universale e il particolare che la caratterizza, contribuisca non soltanto alla scoperta di "qualcosa di più profondo e più autentico" sulla natura umana stessa, ma anche a spalancare le porte, tramite il riconoscimento della complessità irriducibile dell'universo umano, a una variante significativa di pluralismo: l'antropologia tayloriana si costituisce infatti come un importante tentativo di elaborare un'ontologia dell'umano che sappia al contempo rendere giustizia al pluralismo di beni e valori concorrenti e spesso, purtroppo, apparentemente irriconciliabili dell'universo degli uomini. Dall'altra, si è cercato di porre in evidenza come le riflessioni di questo autore - il cui fine è dichiaratamente sempre pratico, ossia volto a modificare la nostra autocomprensione nella speranza di pervenire, così facendo, a rinnovare anche la nostra prassi - sollevino una molteplicità di questioni, specie in ambito morale, con le quali noi moderni non possiamo che confrontarci. The purpose of this work is to offer a generai reconstruction of the most salient features of Charles Taylor' s thought, whose philosophical insights are all concentrated around the fundamental attempt to attain a non reductive understanding of thè complexity of human nature. In order to accomplish this aim, the author draws from multiple sources (from the analytical philosophy to the continental one, from the references to Aristotle, Herder, Hegel, Wittgenstein and Heidegger) and moves, in so doing, through various fields (from the history of philosophy, to the theory of knowledge, to moral and politicai philosophy and aesthetics), by showing, in this way, a profound investigative curiosity for the plurality of the different dimensions of human experience. As a starting point for offering a unitary vision of Taylor's philosophical anthropology - which is not structured by the author in a System, but on the contrary, resists to such a rigid organization exactly because of the multiple and various spheres it permanently refers to - we pose thè question about what kind of anthropology it originally is: an anthropology, which is, at the same time, a philosophical and a historical enterprise, and that uses a transcendental mode of investigation, trying to get, from the experience of a historically defined identity (i.e., ours), to the formulation of the inescapable conditions of human agency in generai. At the basis of the present work we find, therefore, the distinction between ontological and historicist dimensions of selfhood: the perennial human nature, on the one hand, and the nature of the self or modern identity, on the other, are consequently the two extremes along which we continually move in this reconstruction of Taylor's thought. In this sense, all the chapters contain, at the same time, something historical and something transcendental. Moreover, following the dialogical character of Taylor's own writings - written as a conversation with adversaries or interlocutors, whose aim is to reach an agreement or a common formulation of the respective differences - all the chapters present, in their specific context, the controversy the author carries on with the so called "naturalism". Moving from this generai premise, the work is structured in four chapters developing one from the other, according to an interpretive choice in harmony with Taylor' s own methodological presuppositions; that is, through a progressive articulation of the presented questions, aiming to enrich and deepen, step by step, the positions already acquired: from the introduction of the centrai notion of engaged or embodied agency presented in the first chapter in contrast with the vision of man associated with the representational conception of knowledge, to the elucidation of this notion, in the second chapter, in reference to the expressivist paradigm adopted by the author, to the further enrichment of the same notion by the examination of the idea of "strong evaluation" (i.e. the inescapable correlation that Taylor believes to exist between identity and the good), to the discussion, in the final chapter, on the basis of the author's own anthropological insights, of his interpretation of modern identity as it figures in his major work, Sources of the Self: The Making of Modern Identity [Taylor, Ch. (1989), Sources of the Self. The Making of Modern Identity, Harvard University Press, Cambridge Mass.]. More specifically, the first chapter is inevitably dedicated to the global approach of Taylor's considerations: we point out, in generai, the dialectic between identity and difference of human nature at work in his anthropology and we exhibit the kind of argumentation the author considers adequate in order to sustain it; in particular, the problem of the relation, in Taylor's thought, between perennial truths and contingent features of human experience is clarified by referring to Sources of the Self, a work whose configuration itself continually recalls the interpreter's attention on this point, by putting forward, from the beginning, the profound nexus that ties Taylor's anthropology to his project of interpreting the modern identity. Being that the strategy used by the author is a transcendental one - which states the possibility, from the agent's knowledge, to get to formulate some inescapable conditions of human experience in general - the centrai topic of the chapter is constituted by an analysis of what transcendental arguments do state and how they do it, in the attempt to speli out both the particular status that the author attributes to the inescapable conditions of human agency and the ontological relevance of the conclusions to which this kind of arguments lead. Cruciai to this analysis is the notion of "articulation of the implicit" (in which these arguments consist) as an attempt of rendering explicit, as much as possible, what is implicit in that sort of practical and inarticulated grasp of the world the agent necessarily possess, by disclosing something of our pre-understanding and by enlarging, in this way, our knowledge of the connexions that underlie our ability to interact with the world as we actually do. Dealing with this topic obviously implies having to deal also with Taylor's critique of traditional epistemology, a critique which allows him to practice a new questioning of the ontology in the direction of a retrieval of the body, the language, and therefore, the society, and to point to the notion of engaged or embodied agency as the ground of his own anthropology. We find here a partial anticipation of what will be more exhaustingly articulated in the following chapters, i.e. that body-language-society relation which constitutes not only a capitai theme in contemporary philosophy, but also represents thè main axis of Taylor' s thought. Finally, by insisting on the notion of articulation, we point out the strong convergence which seems to exist between the use that Taylor makes of the kantian transcendental deduction and what he calls the best account principle, according to which the interpretive account of the experience that better responds to the task of offering sense to its main features prevails over all other available explanation, and which represents the crucial principle of Taylor' s hermeneutic paradigmi in both cases, in fact, the centre of theoretical gravity is the way people live their ordinary lives and what concepts are necessary to explain this fact. It follows therefore a discussion of the model of understanding in the sciences of man, a preliminary and indispensable discussion in order to grasp, from the methodological point of view, the way this author proceeds in his thinking and the sense and scope he attributes to the study of man. With this aim in mind, we take into consideration the particular relation that, according to Taylor, subsists between theory and praxis in the sciences of man if compared to naturai sciences, the pluralistic model of comparison between different cultures and the model of practical reasoning that the author develops. This chapter consists, briefly, therefore, in discussions of methodological kind, which seem to be necessary in order to understand not only the strategies at work in Taylor's thought, but also to offer some useful instruments for evaluating the scope and the validity of his own way of thinking. The second chapter is fully dedicated to the pervasiveness of the expressivist tradition in Taylor' thought: actually, not only the importance he attributes to Herder (and to the tradition by him inaugurated) is explicit in his anthropology, but it is also evident in the analysis of the modern identity as it figures in Source of the Self. The chapter presents, therefore, a concise preliminary vision of the importance of the expressivist heritage at work in Taylor's writings: from his interpretation of Hegel, to the importance of the expressivist tradition for an adequate understanding of modern identity, to the possibilities which are implicit in it for solving some cruciai problems the modernity has to deal with; we focus then on the notion of expression itself, a notion on which the author grounds his image of man, his conception of language, and his vision of reality. In this regard, the chapter is structured fundamentally around two centrai and interrelated topics, namely: on the one hand, the necessity, for Taylor's philosophical anthropology, of portraying an embedded subjectivity, on the other hand, the fundamental role that language plays in such a portray; the aim is here to understand how, in Taylor's thought, the conception of man and the conception of language connect each other, through the notion of expression, bringing to light an image of an embodied subject which is necessarily situated in life, in nature, in a complex of practices and social institutions. The three main points that together offer a generai vision of what we must understand with the notion of an expressive being are presented, according to Taylor's own positions, within the debate carried on against the "naturalism": not only what Taylor calls the "qualitative conception of action" is presented in contrast with the causai theories associated with the epistemological tradition, but also the conception of language that he embraces is discussed in opposition to the designative theories of meaning connected to the same tradition; finally, also the idea of expressive individuation and self-realization which underlies, according to Taylor, the question of personal identity is presented too in contrast with what can be interpreted (and is interpreted by the author) as a distorted naturalistic understanding of it. In contrasting these two models, the naturalism and the expressivism, we point out that the expressivist model or conception is not simply a peculiar feature of modernity but - according to the dialectic of Taylor's thought, which permanently moves from the "historical" to the "transcendental" - also an essential aspect for an exhaustive understanding of the human being as such, and so, for an enunciation of those pervasive features which characterize it anywhere, in all times and all places, that is, behind all difference. In this chapter too, therefore, we find together, once more, both ontological and historicist dimensions of the human nature. But if the first chapter represents, in a way, the theoretical grounding of Taylor's centrai notion of engaged agency, this one should point out, not only what its historical sources are, but should also show how Taylor's philosophy is essentially an expressivist one. The nature of engaged agency becomes more articulated, in the third chapter, by introducing the notion of "strong evaluation", which represents its main expression, or to put it differently, by taking into account the inescapable correlation that Taylor believes to exist between identity and the good; this is why this chapter contains both the formulation of the ontological dimensions of selfhood and, in parallel, a discussion of the most salient features of Taylor's moral philosophy. On the one hand, then, we sketch the three essential features of human nature that constitute the anthropology of this philosopher: the concept of a person who determines its own identity by orientating itself in a moral space, the dialogical character of personal identity and its narrative character. In the first piace, in fact, to have an identity or to be a self means, according to Taylor, to exist in a space of questions that are related to how we should be, or what we should do, or that piace ourselves in contact with the good, the right, and so on. In the second piace, the complete defmition of a person's identity generally involves not only his or her own positions towards moral and spiritual questions, but also a relevant reference to a community, and this under two respects: namely, in order to articulate its own identity the individuai must be originally embedded in what Taylor calls the "webs of interlocution"; moreover, it is necessary to acknowledge the importance of the never ending negotiation with the others of our own identity. Finally, we find the narrative requirement of identity, in virtue of which there must be some sort of a priori unity of human life, or at least, the possibility that the changes to which we are subject all along our life can be understood in the light of some unity. On the other hand, as Taylor's vision of identity is necessarily connected to his analysis of moral life, we carry on, in this chapter, also a parallel discussion of the author's main notions in this field, such as those of "hypergood", "moral source", "constitutive good", and so on, i.e. a consideration of the way the moral space is, according to this philosopher, structured. Here too, as in the other chapters, we present Taylor's insights in contrast with the "naturalism": we take briefly into account the different forms that the naturalism has historically assumed or could come to assume, in order to show, by so doing, the critique that Taylor addresses to the narrow and partial tendency of much of the moral contemporary philosophy, which focuses its attention on what it is right to do, rather than on what it is good to be, on defining the content of obligation, rather than the nature of good life, leaving no conceptual piace to the notion of the good as the object of our love or allegiance. In conclusion of the chapter, there figures a discussion of Taylor's moral realism - taking into account both the critiques that have been addressed to it and the author's replies - in order to prepare what is developed in the final chapter of the thesis, whose aim is, in between others, to clarify to what extent Taylor's moral philosophy direct the interpretation of modern identity carried on in Sources of the Self. The previous chapter's examinations, in which the historical components of modern identity continually emerge on the surface, in the attempt to attain the "invariable variability" of the human being, yield to the final chapter in which Taylor's interpretation of the genetic development of this specific historical identity is presented; an interpretation which is a "cultural" one (in contrast to thè current "acultural" lectures of modernity), in the sense that it considers of fundamental importance the investigation about some features such as the new vision of the self, of the nature, and of the good, that within modernity has come to light, and whose main intention is to propose a renewed understanding of modern identity capable of showing that this identity is much richer in moral sources than its condemners allow, but that this richness is rendered invisible by the impoverished philosophical language of its most zealous defenders. Here, the analysis ranges from the historical reconstruction of the development of what the author calls the "moral sources" of modern identity, to the determination of the standing areas of tension or threatened breakdown in modern moral culture, to the proposai of some possible solutions we could embrace in order to overcome the crisis which characterizes, according to Taylor, the modem societies. Therefore, the chapter contains, in the first piace, a description of the author's reconstruction of the historical development of the modern moral sources, following a schematic map that distributes them into three large domains: modern inwardness (i.e., the sense of ourselves of beings with inner depths, and the connected notion that we are "selves", which is traced by Taylor through Augustine to Descartes and Montaigne, and on to our day - this is thè moral horizon that, by focusing on the self and its powers, comprehends both the aspiration to disengaged reason and instrumentai contrai, on one side, and the expressive power of the self, on the other); the expressivist notion of nature as an inner moral source that Taylor describes from its origin in the late eighteenth century through the transformations of the nineteenth century, and on to its manifestations in the twentieth-century literature; finally, the originai theistic grounding: according to Taylor, in fact, the previous two moral horizons grow out of mutations in forms of Christian spirituality, but as time goes by, they both loose the contact with their originai theistic grounding and develop independently from it, as well as another aspect on which Taylor's lecture of modernity is focused, i.e. the so called "affirmation of ordinary life", a phenomenon that is analysed by the author by starting from the Reformation to the Enlightment and to its contemporary and secularised forms. In the second piace, the chapter presents a discussion of what Taylor considers to be the three standing areas of tension in modern moral culture: underneath the agreement on moral standards lies uncertainty and division concerning constitutive goods (the issue about sources); the conflict between disengaged instrumentalism and the Romantic or modemist pro test against it (the issue about instrumentalism); the conflict between ethical and aesthetical dimensions in human life (the issue about morality). Along these issues we present also three alternative responses that emerge from Taylor's works to the question of how the ethical dilemma of modernity can be overcome. The first response underlines the necessity of taking seriously into account the fact that what emerges from the image of modern identity traced by Taylor is not only the predominant importance of the constitutive goods in the individual moral life, but also the diversity of goods susceptible of being validly sustained: in this sense, Taylor's insights manifest the urgency of making enter into relation of reciprocai enrichment the diverse moral sources of modernity, because only the undistorted articulation of all the dimensions of our identity can have the normative force of reconciliation. The second response states the necessity of recalling the modernity to its originai principles, that is, by correcting the form that the "ideai of authenticity" (discussed in chapter two), erroneously interpreted, has assumed in our days and according to which we have come to understand our lives in merely individualistic terms, neglecting those requirements that come to us from history, tradition, nature or God (and which, therefore, transcend our merely personal aspirations). In sketching these two responses we discuss the fact that they seem to take us inevitably to a third alternative, which encloses the previous two, and in which what prevails is a certain tendency in Sources of the Self to consider the loss of transcendent and objectively experienced horizons of value the central dilemma of modern culture. If the cause of modernity's crisis is constituted by a certain "oblivion of transcendence", then, what seems to emerge at the end of Taylor's itinerary is a critique of the secular humanism together with an affirmation of the virtues of a sort of hermeneutically reformulated theism. The issue, in conclusion, is examined by putting it into relation with Taylor's moral philosophy discussed in the previous chapter. The goal we hope to have attained with this reconstruction of Taylor's thought is to have put into evidence, on the one hand, how the dialectic between the identity and the difference of human nature at work in the author's anthropological philosophy (in its permanent fluctuation between the particular and the universal) contributes not only to the discovering of something "more profound and more authentic" about our nature of human beings, but also to open up a space, through the acknowledging of the irreducible complexity of the human universe, for a meaningful sort of pluralism: Taylor's anthropology represents, in fact, an important attempt to elaborate an ontology capable of rendering justice to the pluralism of concurrent (and often conflicting) goods and values of the human universe. On the other hand, we have tried to underline how Taylor's considerations whose aim is explicitly a practical one, i.e. directed to modify our self-understanding in order to come to transform our own praxis - rise a number of challenges and issues, especially in the moral field, with which we moderns cannot but face up.
Identità e bene: l'antropologia filosofica di Charles Taylor / Prenz, Betina Lilian. - (2002 Feb 28).
Identità e bene: l'antropologia filosofica di Charles Taylor
Prenz, Betina Lilian
2002-02-28
Abstract
Il presente lavoro si propone di offrire una ricostruzione complessiva degli aspetti salienti del pensiero di Charles Taylor, le cui riflessioni sono tutto incentrate attorno al tentativo di pervenire a una comprensione non riduttiva dell'universo umano, che sappia rendere giustizia alla complessità che gli è propria; un pensiero che, a tale scopo, non soltanto si nutre di molteplici e svariate fonti, dalla filosofìa analitica a quella continentale, ai ripetuti riferimenti ad Aristotele, Herder, Hegel, Wittgenstein e Heidegger, ma che ricopre anche una vasta gamma di ambiti diversi che vanno dalla storia del pensiero, alla teoria della conoscenza, alla filosofia morale, o ancora, alla filosofia politica e all'estetica, dimostrando così una multiforme curiosità d'indagine per la pluralità delle diverse dimensioni dell'esperienza umana. Allo scopo di ricondurre a una visione d'insieme un'antropologia filosofica quale è quella tayloriana - la quale, d'altra parte, non viene strutturata dall'autore in un sistema vero e proprio, ma anzi, proprio per la molteplicità di ambiti estremamente vari in cui si muove, tracciando delle connessioni tra di essi e mostrando come le questioni sollevate negli uni sconfinino incessantemente negli altri, si sottrae, nonostante l'unitarietà di intenti, a una simile sistematizzazione - viene posta, come punto di partenza, l'interrogazione stessa di ciò in cui consiste, originariamente, questa antropologia, la quale è al contempo un'impresa storica e filosofica, che procede per un modo di indagine trascendentale, nella misura in cui a partire dall'esperienza di un'identità storicamente definita (la nostra), si propone di pervenire a delle condizioni di possibilità dell'agire umano in quanto tale. Alla base del presente lavoro vi è dunque la distinzione tra dimensioni ontologiche e dimensioni storiche nella trattazione tayloriana dell'essere dell'uomo: l'immutabile natura umana, da una parte, e la natura del sé o dell'identità moderna, dall'altra, sono i due poli attorno ai quali ci si muove costantemente in questa ricostruzione del pensiero tayloriano e a partire dai quali si snodano i singoli capitoli, ciascuno dei quali contiene, pertanto, al contempo, qualcosa di storico e qualcosa di trascendentale. Conformemente, inoltre, al carattere profondamente dialogico degli scritti tayloriani - i quali sono segnati dallo stile orale di una conversazione con avversari o interlocutori con i quali si tratta di pervenire a un accordo o a una formulazione comune delle rispettive divergenze - tutti i capitoli presentano, nel proprio contesto, la polemica che l'autore perpetuamente svolge contro quello che viene denominato, lungo tutto l'arco della sua produzione filosofica, "il naturalismo". A partire da questa generale ma fondamentale premessa, il lavoro si struttura in quattro capitoli che si snodano l'uno dopo l'altro, secondo una scelta interpretativa che ci è parsa consona agli stessi presupposti metodologici tayloriani, ossia tramite una progressiva articolazione delle questioni presentate, volta ad arricchire e ad approfondire, passo dopo passo, le posizioni già acquisite: dall'introduzione della nozione centrale di engaged agency presentata nel primo capitolo in polemica con la visione dell'uomo associata alla concezione rappresentativa della conoscenza, alla messa in chiaro, nel secondo capitolo, di tale nozione in rapporto al paradigma espressivistico abbracciato dall'autore, all'ulteriore arricchimento, nel terzo capitolo, della medesima nozione tramite quella di "valutazione forte" (ossia della correlazione ineludibile che Taylor ritiene esserci tra identità e bene), alla presentazione, infine, a partire dalle acquisizioni della sua antropologia fllosofica, dell'interpretazione dell'identità moderna offertaci nella sua opera maggiore, ossia Sources of the Self: The Making of Moderni Identity [Taylor, Ch. (1989), Sources of the Self. The Making of Modern Identity, Harvard University Press, Cambridge Mass. (trad. it. di R. Rini, Radici dell'io. La costruzione dell'identità moderna, Feltrinelli, Milano 1993)]. Più nello specifico, il primo capitolo della tesi è inevitabilmente dedicato all'impostazione globale delle riflessioni di Taylor: in esso viene indicata, in linea generale, la dialettica di identità e differenza della natura umana all'opera nella sua antropologia e viene presentato il genere di strategia argomentativa che l'autore ritiene possa sorreggere tale dialettica; in particolare, il problema del rapporto che intercorre nelle riflessioni tayloriane tra verità perenni e caratteristiche contingenti e storiche dell'essere dell'uomo viene dilucidato in riferimento a Sources of the Self, opera che, per la sua stessa configurazione, richiama continuamente l'attenzione del lettore su questo punto, evidenziando sin dall'inizio il vincolo profondo che unisce l'antropologia filosofica di Taylor al suo progetto di interpretazione dell'identità moderna. Essendo la strategia argomentativa messa in opera dall'autore una strategia di genere trascendentale - che sancisce la possibilità, a partire dalla nostra "conoscenza di agenti" (agent 's knowledge), di pervenire alla formulazione di condizioni dell'esperienza umana in generale - il nucleo centrale del capitolo è costituito da un'analisi di ciò che stabiliscono, secondo Taylor, le argomentazioni trascendentali e di come esse pervengono a stabilire ciò che di fatto stabiliscono, nell'intento di esaminare lo statuto che l'autore accorda a quelle condizioni ritenute ineludibili dell'agire umano in quanto tale, nonché la rilevanza ontologica delle argomentazioni trascendentali stesse. Centrale a questa trattazione è la nozione di "articolazione dell'implicito" con cui questo tipo di argomentazioni hanno necessariamente a che fare, un'articolazione che si costituisce come tentativo di portare alla luce, per quanto è possibile, ciò che è implicato in quell'orizzonte di sapere tacito o in quella sorta di presa pratica e inarticolata del mondo che l'agente necessariamente possiede, dischiudendo qualcosa della nostra precomprensione ed estendendo, in questo modo, la nostra conoscenza delle connessioni che soggiacciono alla nostra abilità di interagire con il mondo così come di fatto facciamo. La trattazione di questa tematica contiene dunque in sé anche la critica che Taylor volge all'epistemologia tradizionale, una critica che gli permette una nuova messa in questione dell'ontologia che sappia riscoprire il corpo, il linguaggio, e con ciò, anche la società, ponendo a fondamento della sua antropologia la nozione di engaged o embodied agency. In questo senso, ci si trova qui dinanzi a una sorta di parziale anticipazione di quanto verrà ulteriormente dilucidato nei capitolo successivi, ossia quel rapporto corpo-linguaggio-società che si costituisce non soltanto come il tema capitale della filosofia contemporanea, ma anche come il fulcro attorno al quale ruota l'antropologia di questo autore. A partire dalla nozione di articolazione, infine, viene anche messa in luce, in questo primo capitolo, la forte convergenza che sussiste nelle riflessioni di Taylor tra l'uso che egli fa della deduzione trascendentale d'ispirazione kantiana e quello che viene denominato il "principio della spiegazione migliore" (best account principle), in base al quale sopravvive il resoconto interpretativo dell'esperienza che, tra quelli disponibili, perviene meglio a conferire senso alle sue caratteristiche essenziali e che rappresenta il principio cardine del paradigma ermeneutico abbracciato dall'autore: tanto nell'uno che nell'altro caso, il centro di gravità teorica è infatti come viene vissuta la vita ordinaria e quali concetti sono utili per rendere conto di questo. Segue pertanto una discussione del modello di comprensione nelle scienze umane che Taylor adotta, discussione preliminare che si rivela necessaria per cogliere, dal punto di vista metodologico, il suo modo procedere, nonché il senso e la portata che egli attribuisce allo studio dell'uomo. A tale scopo, vengono presi in considerazione il particolare rapporto che, secondo Taylor, intercorre tra teoria e prassi nelle scienze umane se messe a confronto con le scienze naturali, il modello pluralistico di confronto tra culture differenti e il modello inerentemente comparativo di ragionamento pratico che l'autore elabora. Si tratta prevalentemente, dunque, in questo capitolo, di discussioni di metodo, necessarie a comprendere non soltanto le strategie messe all'opera da Taylor, ma anche volte a fornire gli strumenti necessari per stabilire, dall'interno, la portata e la validità del suo stesso modo di procedere. Il secondo capitolo è interamente dedicato alla pervasività della tradizione espressivistica nelle riflessioni tayloriane: non soltanto, infatti, l'importanza che Taylor attribuisce a Herder e alla tradizione a questi legata è più che esplicita e agisce apertamente nella sua antropologia filosofica, ma essa è ben visibile anche nell'analisi dell'identità moderna delineata in Sources of the Self. Il capitolo presenta pertanto una breve visione preliminare dell'importanza dell'eredità espressivistica all'opera nel pensiero di Taylor - dal primo passo vero e proprio che egli compie sulla via di tale tradizione (la sua elaborazione di una monografia su Hegel), all'importanza che il paradigma espressivistico acquista ai sensi di un'adeguata comprensione dell'identità moderna, alle possibilità insite in esso per emendare la modernità dai suoi errori, richiamandola ai suoi veri principi - per concentrarsi successivamente sulla nozione stessa di espressione, nozione sulla quale l'autore basa la sua immagine dell'uomo, la sua concezione del linguaggio e, più in generale, la concezione stessa che egli ha della realtà. Sotto questo rispetto, il capitolo si struttura attorno a due nuclei centrali, tra loro fondamentalmente connessi: da una parte, la necessità, per l'antropologia tayloriana, di delineare una soggettività in situazione, dall'altra, il ruolo fondamentale che in tale contesto ricopre il linguaggio, nel tentativo di comprendere come, nel pensiero di Taylor, concezione dell'uomo e concezione del linguaggio si saldino, attraverso la nozione di espressione, in un'immagine del soggetto "incarnato" che è, in quanto tale, necessariamente collocato nella vita, nella natura, in un complesso di pratiche e istituzioni sociali, e di mostrare, in questo modo, come la nozione di engaged agency si sostenga essenzialmente sulla concezione dell'uomo in quanto essere espressivo. Il quadro all'interno del quale vengono presentati i tre punti che nel loro insieme offrono una visione complessiva di ciò che è da intendersi con quest'ultima concezione è, come avviene in tutta la riflessione di questo autore, quello del dibattito con il "naturalismo": non soltanto quella che Taylor chiama la concezione "qualitativa dell'azione" viene presentata in contrapposizione alle teorie causali proprie della tradizione epistemologica, ma anche la concezione del linguaggio che egli fa propria viene discussa in opposizione alle teorie designative del significato connesse a tale tradizione; infine, anche l'idea di individuazione espressiva e di autorealizzazione che soggiace, secondo Taylor, alla questione dell'identità personale viene presentata, anch'essa, in contrasto con quello che è, sempre secondo l'autore, una sua comprensione naturalistica distorta. Nel porre in tensione questi due modelli, naturalismo ed espressivismo, viene evidenziato come il modello o la concezione espressivistica non è semplicemente una caratterizzazione propria della modernità, bensì piuttosto - secondo la dialettica propria alla riflessione tayloriana che muove continuamente dallo "storico" al "trascendentale" - anche la chiave di volta per una miglior comprensione dell'essere umano, e con essa, per un'enucleazione di quei tratti pervasivi che lo caratterizzano ovunque, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, al di là, cioè, di ogni differenza. Anche in questo capitolo, dunque, vengono tenuti insieme, ancora una volta, tanto le dimensioni ontologiche, quanto quelle storiche dell'identità. Ma se il primo capitolo presenta, in qualche modo, il fondamento teoretico della nozione di engaged agency, questo secondo capitolo, dovrebbe indicarne, invece, non soltanto le fonti storiche, ma anche mostrare come la filosofia di Taylor sia fondamentalmente una "filosofia dell'espressione". La natura dell'engaged agency viene ulteriormente approfondita, nel terzo capitolo, tramite l'introduzione della nozione di "valutazione forte" che ne rappresenta la principale espressione, o da quella correlazione ineludibile che Taylor ritiene esserci tra identità e bene, motivo per il quale l'enucleazione delle dimensioni ontologiche del sé finiscono per procedere pari passo con la messa in chiaro degli aspetti principali della filosofia morale tayloriana. Da una parte, quindi, il capitolo contiene una discussione dei tre aspetti essenziali della natura più propria dell'uomo che confluiscono nell'antropologia filosofica di Taylor: tra questi, è il concetto di persona che determina la propria identità orientandosi in uno spazio morale a configurarsi come il contributo teorico più significativo dell'autore, accanto agli altri due aspetti enunciati, ossia il carattere dialogico dell'identità personale e il suo carattere narrativo. In primo luogo, dunque, avere un'identità o essere un sé significa esistere in uno spazio di questioni che hanno a che fare con come si dovrebbe essere, o che ci rapportano a ciò che è buono, a ciò che è giusto, a ciò che si dovrebbe fare. In secondo luogo, la definizione completa dell'identità di una persona comprende, non soltanto la sua posizione sulle questioni morali e spirituali, bensì anche un riferimento a una comunità, e ciò in un duplice senso: affinché l'elaborazione della propria identità possa aver luogo, si rende infatti necessario sia che gli individui siano originariamente inseriti in quelle che Taylor chiama "reti di interlocuzione", sia che venga riconosciuta l'importanza dell'incessante negoziazione con gli altri, nel corso di una vita, della propria identità. Infine, incontriamo il requisito "narrativo" dell'identità, in virtù del quale vi deve essere una sorta di unità a priori della vita umana o quantomeno la possibilità che i cambiamenti a cui siamo sottoposti nell'arco di una vita possano essere compresi alla luce di una certa qual unitarietà. Dall'altra parte, poiché la visione che Taylor ha dell'identità è necessariamente connessa con la sua analisi della vita morale, questo capitolo contiene una discussione parallela delle nozioni di "iperbene", "fonti morali", "beni costitutivi" e "beni della vita", ossia della strutturazione stessa del campo morale, così come viene intesa dall'autore. Anche qui, conformemente al procedere tayloriano, che grazie al confronto con il "naturalismo" dilucida e costruisce le proprie posizioni filosofiche, nell'intento di chiarire queste nozioni, vengono discussi i punti salienti di ciò che è propriamente da intendersi per "naturalismo", tramite brevi accenni alle diverse forme che esso ha storicamente assunto o che può trovarsi ad assumere, mettendo a nudo, in questo modo, la critica che Taylor volge a quella tendenza "angusta e parziale" di certa filosofia contemporanea ad assegnare alla moralità una portata estremamente ridotta, delimitandola alla mera considerazione del problema di cosa sia giusto fare e non piuttosto di quello ben più importante di cosa sia bene essere e amare, di quella filosofia, cioè, che limitandosi a spiegare da che cosa discendono i nostri obblighi morali e a individuare un criterio che ci consenta di stabilire tutte le cose che dobbiamo fare, finiscono per escludere dal discorso morale stesso le due nozioni tradizionali di bene - il bene come vita buona e il bene come oggetto del nostro amore. In conclusione del capitolo si ritrova una discussione del realismo morale di Taylor - tanto delle critiche che gli sono state rivolte a causa dell'assunzione di tale prospettiva, che della strada percorsa dall'autore per difendersi da esse - in preparazione dell'ultimo capitolo, in cui si cerca di mettere in chiaro quanto la filosofia morale tayloriana guidi negli intenti l'interpretazione della modernità proposta in Sources of the Self. Come naturale sbocco delle trattazioni contenute nei primi tre capitoli, in cui le componenti storielle dell'identità moderna emergono continuamente sulla superficie, nel tentativo di individuare quell'"invariabile variabilità" dell'essere dell'uomo, si impone, infine, nell'ultimo capitolo, un percorso attraverso Finterpretazione che Taylor propone della formazione genetica di questa specifica identità storica; un'interpretazione che è "culturale" (contrariamente a interpretazioni di carattere "aculturale"), nel senso che considera di importanza cruciale la trattazione di aspetti quali la nuova visione del sé, della natura e del bene che con la modernità vengono alla luce, e il cui obiettivo è quello di proporre una storia dell'identità moderna che possa fungere da punto di partenza per una rinnovata comprensione della modernità, una comprensione che ne sappia affrontare i fenomeni in modo meno unilaterale e più fecondo di quello proposto tanto dai suoi detrattori che dai suoi difensori. Qui l'analisi presentata della modernità spazia dalla ricostruzione storica dello sviluppo di quello che Fautore chiama le "fonti morali" a cui l'uomo moderno attinge, all'individuazione delle aree di tensione che minacciano, dall'interno della modernità stessa, un suo cedimento, alla proposta di possibili soluzioni per fuoriuscire dalla situazione di crisi in cui si troverebbero, oggi, secondo Taylor, le società moderne. Il capitolo contiene, dunque, in primo luogo, un'esposizione della ricostruzione storica delle fonti di moralità moderne secondo uno schema che prevede, fondamentalmente, tre "frontiere": l'interiorità moderna (ossia la percezione di noi stessi come esseri dotati di profondità intcriori e la conseguente idea, per l'appunto, che noi siamo dei "sé", caratteristica questa che giunge fino a noi a partire da Sant'Agostino, passando attraverso Cartesio e Montaigne - è questo l'orizzonte morale che, fecalizzandosi sul sé e i suoi poteri, comprende, dunque, tanto le aspirazioni al distacco e al controllo strumentale, che il potere espressivo del sé e, quindi, l'aspirazione a vivere autenticamente secondo le proprie originali possibilità); la natura (il riferimento è qui all'idea di un ordine più vasto di cui l'individuo farebbe parte, e cioè, all'idea espressivistica della natura come fonte di moralità, di cui Taylor descrive le origini nel tardo Settecento, per percorrerne successivamente le trasformazioni ottocentesche e le manifestazioni nella letteratura del Novecento); infine, la fondazione teistica originaria: questi due orizzonti morali o queste due frontiere, in cui le fonti di moralità sono collocate, rispettivamente, nei nostri poteri e nella natura, nascono, secondo Taylor, infatti, entrambe da mutazioni di forme di spiritualità cristiana, ma, con il passare del tempo, perdono entrambe il contatto con la loro fondazione teistica originaria e si sviluppano per conto proprio, allo stesso modo di quell'altra caratteristica dell'identità moderna che l'interpretazione tayloriana mira a porre in rilievo, ossia la cosiddetta "affermazione della vita comune", fenomeno che va fatto risalire alla Riforma, dalla quale sarebbe passata all'Illuminismo, per assumere poi forme contemporanee secolarizzate. In secondo luogo, il capitolo contiene sia una discussione delle tre aree di tensione che Taylor individua nella modernità - il rischio continuo di conflitti tra beni costitutivi o fonti morali, la crescita smisurata della razionalità strumentale e la frattura apertasi tra dimensione etica ed estetica nella vita umana, le quali vengono rispettivamente chiamate, la questione delle fonti, la questione dello strumentalismo e la questione della moralità - sia una trattazione delle tre vie alternative che si aprono a chi interroga l'opera di questo autore in merito al modo in cui il dilemma etico della modernità dovrebbe essere riveduto attraverso un'antropologia filosofica. La prima di queste vie sottolinea la necessità di prendere atto del fatto che dall'immagine dell'identità moderna delineata da Taylor emerge non soltanto l'importanza preponderante che i beni costitutivi hanno nella vita morale degli individui, bensì anche la diversità dei beni suscettibili di essere validamente sostenuti: in questo senso, le riflessioni di Taylor manifestano l'urgenza che le diverse fonti morali della modernità entrino in rapporto di reciproco arricchimento, poiché solo all'articolazione non distorta di tutte le dimensioni della nostra identità spetta la forza normativa della conciliazione. La seconda via stabilisce fermamente, invece, la necessità di richiamare la modernità ai suoi veri principi, ossia superando o correggendo la forma che l'"ideale dell'autenticità" (discusso nel secondo capitolo), erroneamente interpretato, avrebbe assunto ai giorni nostri e che avrebbe portato alla legittimazione della tendenza a comprendere la vita umana in termini meramente individualistici, trascurando cioè quelle esigenze che - provenendo dalla storia, dalla tradizione, dalla natura o da Dio - trascendono le nostre aspirazioni meramente personali. Nell'indicare queste prime due risposte fornite da Taylor alle patologie della modernità viene discusso il fatto che esse sembrano portare inevitabilmente ad una terza via da percorrere che finisce, in qualche modo, per racchiuderle entrambe; una terza alternativa in cui ciò che viene a prevalere è una certa tendenza presente in Sources of the Self a considerare la perdita di orizzonti di valori trascendenti e oggettivamente esperiti come il dilemma centrale della cultura moderna. Se causa della crisi della modernità è un certo "oblio della trascendenza", allora, ciò che sembra emergere alla fine dell'itinerario interpretativo tayloriano è una critica dell'umanesimo secolare unita a una riaffermazione delle virtù di un teismo ermeneuticamente ripensato, in cui il Dio cristiano finisce con l'essere posto al vertice di quella pluralità di beni che, come l'autore si sforza di mostrare lungo tutto lo svolgersi di Sources of thè Self, fanno la vera ricchezza dell'identità moderna. Infine, viene indicato in questo capitolo, come già con l'insistenza tayloriana sul bisogno di esplicitare, ripercorrendone la storia, i beni costitutivi della modernità, come mossa essenziale per un'adeguata comprensione della nostra cultura e della nostra condizione morale, l'autore stia ormai accordando uno spazio considerevole alla Cristianità, poiché una volta che si argomenti che i valori morali moderni possono essere pienamente compresi in riferimento alla loro storia, il peso della bilancia è ormai spostato a favore della religione come uno tra i più importanti, se non il bene costitutivo per eccellenza; come, inoltre, in virtù della sua stessa nozione di bene costitutivo (discussa nel terzo capitolo), ossia come ciò il cui amore ci muove verso il bene, Taylor non stia sostenendo semplicemente che la Cristianità è stata la fonte morale preminente della modernità, bensì che entrare in contatto con tale bene costitutivo ci ispira e comanda amore; e come, in questo senso, la ricostruzione genealogica tayloriana dell'identità moderna sembri dunque alla fine avere come propria finalità quella di motivarci al bene ricollegando i nostri valori morali alla propria fonte costitutiva del teismo. L'obiettivo a cui ci si augura di essere pervenuti con questa ricostruzione complessiva del pensiero tayloriano è di essere riusciti, da una parte, a mettere in risalto come la dialettica che si viene a instaurare tra identità e differenza della natura umana nell'antropologia filosofica di questo autore, nella costante oscillazione tra l'universale e il particolare che la caratterizza, contribuisca non soltanto alla scoperta di "qualcosa di più profondo e più autentico" sulla natura umana stessa, ma anche a spalancare le porte, tramite il riconoscimento della complessità irriducibile dell'universo umano, a una variante significativa di pluralismo: l'antropologia tayloriana si costituisce infatti come un importante tentativo di elaborare un'ontologia dell'umano che sappia al contempo rendere giustizia al pluralismo di beni e valori concorrenti e spesso, purtroppo, apparentemente irriconciliabili dell'universo degli uomini. Dall'altra, si è cercato di porre in evidenza come le riflessioni di questo autore - il cui fine è dichiaratamente sempre pratico, ossia volto a modificare la nostra autocomprensione nella speranza di pervenire, così facendo, a rinnovare anche la nostra prassi - sollevino una molteplicità di questioni, specie in ambito morale, con le quali noi moderni non possiamo che confrontarci. The purpose of this work is to offer a generai reconstruction of the most salient features of Charles Taylor' s thought, whose philosophical insights are all concentrated around the fundamental attempt to attain a non reductive understanding of thè complexity of human nature. In order to accomplish this aim, the author draws from multiple sources (from the analytical philosophy to the continental one, from the references to Aristotle, Herder, Hegel, Wittgenstein and Heidegger) and moves, in so doing, through various fields (from the history of philosophy, to the theory of knowledge, to moral and politicai philosophy and aesthetics), by showing, in this way, a profound investigative curiosity for the plurality of the different dimensions of human experience. As a starting point for offering a unitary vision of Taylor's philosophical anthropology - which is not structured by the author in a System, but on the contrary, resists to such a rigid organization exactly because of the multiple and various spheres it permanently refers to - we pose thè question about what kind of anthropology it originally is: an anthropology, which is, at the same time, a philosophical and a historical enterprise, and that uses a transcendental mode of investigation, trying to get, from the experience of a historically defined identity (i.e., ours), to the formulation of the inescapable conditions of human agency in generai. At the basis of the present work we find, therefore, the distinction between ontological and historicist dimensions of selfhood: the perennial human nature, on the one hand, and the nature of the self or modern identity, on the other, are consequently the two extremes along which we continually move in this reconstruction of Taylor's thought. In this sense, all the chapters contain, at the same time, something historical and something transcendental. Moreover, following the dialogical character of Taylor's own writings - written as a conversation with adversaries or interlocutors, whose aim is to reach an agreement or a common formulation of the respective differences - all the chapters present, in their specific context, the controversy the author carries on with the so called "naturalism". Moving from this generai premise, the work is structured in four chapters developing one from the other, according to an interpretive choice in harmony with Taylor' s own methodological presuppositions; that is, through a progressive articulation of the presented questions, aiming to enrich and deepen, step by step, the positions already acquired: from the introduction of the centrai notion of engaged or embodied agency presented in the first chapter in contrast with the vision of man associated with the representational conception of knowledge, to the elucidation of this notion, in the second chapter, in reference to the expressivist paradigm adopted by the author, to the further enrichment of the same notion by the examination of the idea of "strong evaluation" (i.e. the inescapable correlation that Taylor believes to exist between identity and the good), to the discussion, in the final chapter, on the basis of the author's own anthropological insights, of his interpretation of modern identity as it figures in his major work, Sources of the Self: The Making of Modern Identity [Taylor, Ch. (1989), Sources of the Self. The Making of Modern Identity, Harvard University Press, Cambridge Mass.]. More specifically, the first chapter is inevitably dedicated to the global approach of Taylor's considerations: we point out, in generai, the dialectic between identity and difference of human nature at work in his anthropology and we exhibit the kind of argumentation the author considers adequate in order to sustain it; in particular, the problem of the relation, in Taylor's thought, between perennial truths and contingent features of human experience is clarified by referring to Sources of the Self, a work whose configuration itself continually recalls the interpreter's attention on this point, by putting forward, from the beginning, the profound nexus that ties Taylor's anthropology to his project of interpreting the modern identity. Being that the strategy used by the author is a transcendental one - which states the possibility, from the agent's knowledge, to get to formulate some inescapable conditions of human experience in general - the centrai topic of the chapter is constituted by an analysis of what transcendental arguments do state and how they do it, in the attempt to speli out both the particular status that the author attributes to the inescapable conditions of human agency and the ontological relevance of the conclusions to which this kind of arguments lead. Cruciai to this analysis is the notion of "articulation of the implicit" (in which these arguments consist) as an attempt of rendering explicit, as much as possible, what is implicit in that sort of practical and inarticulated grasp of the world the agent necessarily possess, by disclosing something of our pre-understanding and by enlarging, in this way, our knowledge of the connexions that underlie our ability to interact with the world as we actually do. Dealing with this topic obviously implies having to deal also with Taylor's critique of traditional epistemology, a critique which allows him to practice a new questioning of the ontology in the direction of a retrieval of the body, the language, and therefore, the society, and to point to the notion of engaged or embodied agency as the ground of his own anthropology. We find here a partial anticipation of what will be more exhaustingly articulated in the following chapters, i.e. that body-language-society relation which constitutes not only a capitai theme in contemporary philosophy, but also represents thè main axis of Taylor' s thought. Finally, by insisting on the notion of articulation, we point out the strong convergence which seems to exist between the use that Taylor makes of the kantian transcendental deduction and what he calls the best account principle, according to which the interpretive account of the experience that better responds to the task of offering sense to its main features prevails over all other available explanation, and which represents the crucial principle of Taylor' s hermeneutic paradigmi in both cases, in fact, the centre of theoretical gravity is the way people live their ordinary lives and what concepts are necessary to explain this fact. It follows therefore a discussion of the model of understanding in the sciences of man, a preliminary and indispensable discussion in order to grasp, from the methodological point of view, the way this author proceeds in his thinking and the sense and scope he attributes to the study of man. With this aim in mind, we take into consideration the particular relation that, according to Taylor, subsists between theory and praxis in the sciences of man if compared to naturai sciences, the pluralistic model of comparison between different cultures and the model of practical reasoning that the author develops. This chapter consists, briefly, therefore, in discussions of methodological kind, which seem to be necessary in order to understand not only the strategies at work in Taylor's thought, but also to offer some useful instruments for evaluating the scope and the validity of his own way of thinking. The second chapter is fully dedicated to the pervasiveness of the expressivist tradition in Taylor' thought: actually, not only the importance he attributes to Herder (and to the tradition by him inaugurated) is explicit in his anthropology, but it is also evident in the analysis of the modern identity as it figures in Source of the Self. The chapter presents, therefore, a concise preliminary vision of the importance of the expressivist heritage at work in Taylor's writings: from his interpretation of Hegel, to the importance of the expressivist tradition for an adequate understanding of modern identity, to the possibilities which are implicit in it for solving some cruciai problems the modernity has to deal with; we focus then on the notion of expression itself, a notion on which the author grounds his image of man, his conception of language, and his vision of reality. In this regard, the chapter is structured fundamentally around two centrai and interrelated topics, namely: on the one hand, the necessity, for Taylor's philosophical anthropology, of portraying an embedded subjectivity, on the other hand, the fundamental role that language plays in such a portray; the aim is here to understand how, in Taylor's thought, the conception of man and the conception of language connect each other, through the notion of expression, bringing to light an image of an embodied subject which is necessarily situated in life, in nature, in a complex of practices and social institutions. The three main points that together offer a generai vision of what we must understand with the notion of an expressive being are presented, according to Taylor's own positions, within the debate carried on against the "naturalism": not only what Taylor calls the "qualitative conception of action" is presented in contrast with the causai theories associated with the epistemological tradition, but also the conception of language that he embraces is discussed in opposition to the designative theories of meaning connected to the same tradition; finally, also the idea of expressive individuation and self-realization which underlies, according to Taylor, the question of personal identity is presented too in contrast with what can be interpreted (and is interpreted by the author) as a distorted naturalistic understanding of it. In contrasting these two models, the naturalism and the expressivism, we point out that the expressivist model or conception is not simply a peculiar feature of modernity but - according to the dialectic of Taylor's thought, which permanently moves from the "historical" to the "transcendental" - also an essential aspect for an exhaustive understanding of the human being as such, and so, for an enunciation of those pervasive features which characterize it anywhere, in all times and all places, that is, behind all difference. In this chapter too, therefore, we find together, once more, both ontological and historicist dimensions of the human nature. But if the first chapter represents, in a way, the theoretical grounding of Taylor's centrai notion of engaged agency, this one should point out, not only what its historical sources are, but should also show how Taylor's philosophy is essentially an expressivist one. The nature of engaged agency becomes more articulated, in the third chapter, by introducing the notion of "strong evaluation", which represents its main expression, or to put it differently, by taking into account the inescapable correlation that Taylor believes to exist between identity and the good; this is why this chapter contains both the formulation of the ontological dimensions of selfhood and, in parallel, a discussion of the most salient features of Taylor's moral philosophy. On the one hand, then, we sketch the three essential features of human nature that constitute the anthropology of this philosopher: the concept of a person who determines its own identity by orientating itself in a moral space, the dialogical character of personal identity and its narrative character. In the first piace, in fact, to have an identity or to be a self means, according to Taylor, to exist in a space of questions that are related to how we should be, or what we should do, or that piace ourselves in contact with the good, the right, and so on. In the second piace, the complete defmition of a person's identity generally involves not only his or her own positions towards moral and spiritual questions, but also a relevant reference to a community, and this under two respects: namely, in order to articulate its own identity the individuai must be originally embedded in what Taylor calls the "webs of interlocution"; moreover, it is necessary to acknowledge the importance of the never ending negotiation with the others of our own identity. Finally, we find the narrative requirement of identity, in virtue of which there must be some sort of a priori unity of human life, or at least, the possibility that the changes to which we are subject all along our life can be understood in the light of some unity. On the other hand, as Taylor's vision of identity is necessarily connected to his analysis of moral life, we carry on, in this chapter, also a parallel discussion of the author's main notions in this field, such as those of "hypergood", "moral source", "constitutive good", and so on, i.e. a consideration of the way the moral space is, according to this philosopher, structured. Here too, as in the other chapters, we present Taylor's insights in contrast with the "naturalism": we take briefly into account the different forms that the naturalism has historically assumed or could come to assume, in order to show, by so doing, the critique that Taylor addresses to the narrow and partial tendency of much of the moral contemporary philosophy, which focuses its attention on what it is right to do, rather than on what it is good to be, on defining the content of obligation, rather than the nature of good life, leaving no conceptual piace to the notion of the good as the object of our love or allegiance. In conclusion of the chapter, there figures a discussion of Taylor's moral realism - taking into account both the critiques that have been addressed to it and the author's replies - in order to prepare what is developed in the final chapter of the thesis, whose aim is, in between others, to clarify to what extent Taylor's moral philosophy direct the interpretation of modern identity carried on in Sources of the Self. The previous chapter's examinations, in which the historical components of modern identity continually emerge on the surface, in the attempt to attain the "invariable variability" of the human being, yield to the final chapter in which Taylor's interpretation of the genetic development of this specific historical identity is presented; an interpretation which is a "cultural" one (in contrast to thè current "acultural" lectures of modernity), in the sense that it considers of fundamental importance the investigation about some features such as the new vision of the self, of the nature, and of the good, that within modernity has come to light, and whose main intention is to propose a renewed understanding of modern identity capable of showing that this identity is much richer in moral sources than its condemners allow, but that this richness is rendered invisible by the impoverished philosophical language of its most zealous defenders. Here, the analysis ranges from the historical reconstruction of the development of what the author calls the "moral sources" of modern identity, to the determination of the standing areas of tension or threatened breakdown in modern moral culture, to the proposai of some possible solutions we could embrace in order to overcome the crisis which characterizes, according to Taylor, the modem societies. Therefore, the chapter contains, in the first piace, a description of the author's reconstruction of the historical development of the modern moral sources, following a schematic map that distributes them into three large domains: modern inwardness (i.e., the sense of ourselves of beings with inner depths, and the connected notion that we are "selves", which is traced by Taylor through Augustine to Descartes and Montaigne, and on to our day - this is thè moral horizon that, by focusing on the self and its powers, comprehends both the aspiration to disengaged reason and instrumentai contrai, on one side, and the expressive power of the self, on the other); the expressivist notion of nature as an inner moral source that Taylor describes from its origin in the late eighteenth century through the transformations of the nineteenth century, and on to its manifestations in the twentieth-century literature; finally, the originai theistic grounding: according to Taylor, in fact, the previous two moral horizons grow out of mutations in forms of Christian spirituality, but as time goes by, they both loose the contact with their originai theistic grounding and develop independently from it, as well as another aspect on which Taylor's lecture of modernity is focused, i.e. the so called "affirmation of ordinary life", a phenomenon that is analysed by the author by starting from the Reformation to the Enlightment and to its contemporary and secularised forms. In the second piace, the chapter presents a discussion of what Taylor considers to be the three standing areas of tension in modern moral culture: underneath the agreement on moral standards lies uncertainty and division concerning constitutive goods (the issue about sources); the conflict between disengaged instrumentalism and the Romantic or modemist pro test against it (the issue about instrumentalism); the conflict between ethical and aesthetical dimensions in human life (the issue about morality). Along these issues we present also three alternative responses that emerge from Taylor's works to the question of how the ethical dilemma of modernity can be overcome. The first response underlines the necessity of taking seriously into account the fact that what emerges from the image of modern identity traced by Taylor is not only the predominant importance of the constitutive goods in the individual moral life, but also the diversity of goods susceptible of being validly sustained: in this sense, Taylor's insights manifest the urgency of making enter into relation of reciprocai enrichment the diverse moral sources of modernity, because only the undistorted articulation of all the dimensions of our identity can have the normative force of reconciliation. The second response states the necessity of recalling the modernity to its originai principles, that is, by correcting the form that the "ideai of authenticity" (discussed in chapter two), erroneously interpreted, has assumed in our days and according to which we have come to understand our lives in merely individualistic terms, neglecting those requirements that come to us from history, tradition, nature or God (and which, therefore, transcend our merely personal aspirations). In sketching these two responses we discuss the fact that they seem to take us inevitably to a third alternative, which encloses the previous two, and in which what prevails is a certain tendency in Sources of the Self to consider the loss of transcendent and objectively experienced horizons of value the central dilemma of modern culture. If the cause of modernity's crisis is constituted by a certain "oblivion of transcendence", then, what seems to emerge at the end of Taylor's itinerary is a critique of the secular humanism together with an affirmation of the virtues of a sort of hermeneutically reformulated theism. The issue, in conclusion, is examined by putting it into relation with Taylor's moral philosophy discussed in the previous chapter. The goal we hope to have attained with this reconstruction of Taylor's thought is to have put into evidence, on the one hand, how the dialectic between the identity and the difference of human nature at work in the author's anthropological philosophy (in its permanent fluctuation between the particular and the universal) contributes not only to the discovering of something "more profound and more authentic" about our nature of human beings, but also to open up a space, through the acknowledging of the irreducible complexity of the human universe, for a meaningful sort of pluralism: Taylor's anthropology represents, in fact, an important attempt to elaborate an ontology capable of rendering justice to the pluralism of concurrent (and often conflicting) goods and values of the human universe. On the other hand, we have tried to underline how Taylor's considerations whose aim is explicitly a practical one, i.e. directed to modify our self-understanding in order to come to transform our own praxis - rise a number of challenges and issues, especially in the moral field, with which we moderns cannot but face up.I documenti in ARCA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.