Il secolo XVI vede fiorire in Italia un’attenzione sempre maggiore per le vicende dell’Europa orientale, e in particolare per la valle del Danubio, in cui la progressiva avanzata turca sembra superare ogni ostacolo. Questo interesse intorno alla “Questione d’Oriente” si traduce in una serie di relazioni, trattati e scritti vari. All’inizio del secolo, in contemporanea con la grande fioritura culturale in Italia, si coltivano con profitto soprattutto gli studi di Storia e Geografia; nella seconda parte del secolo, i problemi dell’Oriente sembrano interessare l’ambiente colto italiano in particolare per quanto riguarda le questioni politico-militari. Agli albori del Granducato di Toscana, le notizie riguardanti le vicende del Principato di Transilvania venivano reperite dai primi Granduchi in maniera indiretta, per mezzo di avvisi provenienti da altre città, oppure tramite personale diplomatico residente presso la corte imperiale. Fra i singoli personaggi che svolsero un ruolo fondamentale nel mantenere vivi i legami culturali fra Toscana e Transilvania, notiamo interessi eclettici che, alle funzioni militari, politiche e diplomatiche, aggiungono competenze varie in quelle discipline che all’epoca riscuotevano il favore delle corti. Abbiamo così militari e diplomatici che, oltre a curare gli interessi commerciali, politici e strategici dei loro signori, intessono corrispondenze con i protagonisti dell’allora incipiente rivoluzione scientifica, oppure partecipano al rinnovamento del gusto musicale ed artistico in genere. Ma questi interessi, che in senso lato possiamo considerare culturali, si accompagnano spesso anche alle questioni confessionali che animano la vita religiosa del tempo. Fra questi personaggi abbiamo Giovanni Andrea Gromo, un condottiero la cui esperienza in Transilvania è condensata in un’opera che egli dedicò a Cosimo I; quindi i medici Massimo Milanesi, un gesuita che fu anche diplomatico e architetto, e Marcello Squarcialupi, che frequentava il Biandrata ed aveva rapporti con i Gesuiti di Alba Iulia. Nel 1593, il granduca Ferdinando I inviò un’ambasceria in Transilvania ponendovi a capo Matteo Botti, un uomo che, all’epoca, intratteneva rapporti con eminenti personalità della cultura e della politica in Italia e che, in seguito, avrebbe rivestito un ruolo di prim’ordine fra i diplomatici del Granducato. Accompagnavano il Botti personaggi quali Cosimo Bottegari, musicista vicino alla cosiddetta scuola romana; il medico Ippolito Guarinoni, che aveva studiato presso i Gesuiti a Praga; Ottavio Strada, che lasciò prove come pittore, architetto, inventore, orafo, numismatico e antiquario, e infine l’intagliatore milanese Ottavio Miseroni. Nel 1593, Rodolfo II e Murad III ruppero la tregua sancita ad Adrianopoli. Si realizzava, così, il progetto voluto da Clemente VIII, che consisteva in una crociata antiturca nei Balcani e nella costituzione di una Lega a capo della quale il Papa voleva non solo l’Imperatore, ma anche il re di Polonia. La guerra, combattuta in Ungheria e nei Principati romeni, coinvolse in primis i principi di Transilvania e di Valacchia, Sigismondo Bàthory e Michele il Bravo, ma anche alcuni Principi italiani fecero la loro parte; oltre che dal Papa, giunsero aiuti in denaro e in soldati anche dal Granduca di Toscana e dai Duchi di Ferrara e Mantova. Il contingente inviato da Ferdinando I in Transilvania, nel 1595, si trovava sotto il comando di Silvio Piccolomini, affiancato dal concittadino Imperiale Cinuzzi e dal segretario Filippo Pigafetta, appartenente alla famiglia del celebre navigatore Antonio. Risulta di grande interesse, verso la fine del secolo, il caso della famiglia Genga, che ebbe un peso notevole nella storia di tre paesi europei: Italia, Polonia e Transilvania, grazie soprattutto all’architetto Simone Genga. Questi, discendente di Girolamo e Bartolomeo (citati dal Vasari), fu a servizio dei Duchi di Urbino, dei Granduchi di Toscana, del Re di Polonia e del Principe di Transilvania. Simone si presentò in queste corti col fratello Fabio, ma i nomi e le attività di altri fratelli emergono da nuovi documenti. Meglio si precisa la figura di Simone e la cronologia della sua vita, ma anche il ruolo di Fabio, ambasciatore presso il Papa, e quello di Giovanni Battista, consigliere segreto del Papa; si sono aggiunti anche i nomi di Livio, Flaminio, Girolamo e Francesco. Una figura interessante è anche quella di Fulvio, letterato che cercò fortuna in Spagna e nelle Americhe. Oltre agli accordi fra il Granduca di Toscana e la corte transilvana per il matrimonio non realizzato fra Sigismondo ed una nipote di Ferdinando, viene valutata tutta la questione del ruolo svolto da Simone, Fabio, Flaminio e Giovanni Battista nella creazione di una tela di rapporti fra le corti europee che avrebbero dovuto sostenere la Transilvania nella lotta contro gli Ottomani. Dopo la morte dei Genga e dopo quella che possiamo definire l’epoca d’oro nella storia dei rapporti fra Toscana e Transilvania, il Granducato perde una fonte preziosa di informazioni per quella parte d’Europa. Non mancano, negli archivi toscani, documenti che rechino testimonianza di un certo interesse, del Granducato, per le vicende di quei lontani territori, ma vengono meno le attestazioni di un rapporto diretto fra i governanti dei due paesi, o meglio diviene scarsa la documentazione prodotta da testimoni che dimorino in loco. Per tutto il XVII secolo, infatti, essendo mutati gli equilibri internazionali con le guerre di religione, un peso decisivo ebbero, nelle relazioni fra Toscana e Transilvania, le diverse posizioni assunte dai due Stati nel contesto europeo. E mentre la Transilvania, per mantenere la sua autonomia, doveva destreggiarsi fra l’impero asburgico e quello ottomano, ponendosi nelle guerre di religione a fianco delle potenze filoprotestanti, il Granducato di Toscana, con gli ultimi Medici, andò incontro ad un declino crescente che favorì via via l’abbandono di un’energica politica estera. E tuttavia, a cavallo fra XVII e XVIII secolo, i due Stati, pur nella distanza che li separava, condivisero entrambi un simile destino, perdendo quasi in sincrono la loro autonomia. E non fu solo la coincidenza temporale a caratterizzare questa perdita, visto che ambedue gli Stati, seppur in modi diversi, finirono sotto il controllo asburgico. Si concludeva una storia di rapporti intensi che, dopo un lungo periodo di interruzione, sembrava condurre i due paesi verso destini assolutamente divergenti, mentre invece essi si ritrovarono alla fine governati dai membri di una medesima casata, alle due periferie di un medesimo Impero.
I rapporti tra il Granducato di Toscana e il Principato di Transilvania (1540–1699)(2014 Jun 13).
I rapporti tra il Granducato di Toscana e il Principato di Transilvania (1540–1699)
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2014-06-13
Abstract
Il secolo XVI vede fiorire in Italia un’attenzione sempre maggiore per le vicende dell’Europa orientale, e in particolare per la valle del Danubio, in cui la progressiva avanzata turca sembra superare ogni ostacolo. Questo interesse intorno alla “Questione d’Oriente” si traduce in una serie di relazioni, trattati e scritti vari. All’inizio del secolo, in contemporanea con la grande fioritura culturale in Italia, si coltivano con profitto soprattutto gli studi di Storia e Geografia; nella seconda parte del secolo, i problemi dell’Oriente sembrano interessare l’ambiente colto italiano in particolare per quanto riguarda le questioni politico-militari. Agli albori del Granducato di Toscana, le notizie riguardanti le vicende del Principato di Transilvania venivano reperite dai primi Granduchi in maniera indiretta, per mezzo di avvisi provenienti da altre città, oppure tramite personale diplomatico residente presso la corte imperiale. Fra i singoli personaggi che svolsero un ruolo fondamentale nel mantenere vivi i legami culturali fra Toscana e Transilvania, notiamo interessi eclettici che, alle funzioni militari, politiche e diplomatiche, aggiungono competenze varie in quelle discipline che all’epoca riscuotevano il favore delle corti. Abbiamo così militari e diplomatici che, oltre a curare gli interessi commerciali, politici e strategici dei loro signori, intessono corrispondenze con i protagonisti dell’allora incipiente rivoluzione scientifica, oppure partecipano al rinnovamento del gusto musicale ed artistico in genere. Ma questi interessi, che in senso lato possiamo considerare culturali, si accompagnano spesso anche alle questioni confessionali che animano la vita religiosa del tempo. Fra questi personaggi abbiamo Giovanni Andrea Gromo, un condottiero la cui esperienza in Transilvania è condensata in un’opera che egli dedicò a Cosimo I; quindi i medici Massimo Milanesi, un gesuita che fu anche diplomatico e architetto, e Marcello Squarcialupi, che frequentava il Biandrata ed aveva rapporti con i Gesuiti di Alba Iulia. Nel 1593, il granduca Ferdinando I inviò un’ambasceria in Transilvania ponendovi a capo Matteo Botti, un uomo che, all’epoca, intratteneva rapporti con eminenti personalità della cultura e della politica in Italia e che, in seguito, avrebbe rivestito un ruolo di prim’ordine fra i diplomatici del Granducato. Accompagnavano il Botti personaggi quali Cosimo Bottegari, musicista vicino alla cosiddetta scuola romana; il medico Ippolito Guarinoni, che aveva studiato presso i Gesuiti a Praga; Ottavio Strada, che lasciò prove come pittore, architetto, inventore, orafo, numismatico e antiquario, e infine l’intagliatore milanese Ottavio Miseroni. Nel 1593, Rodolfo II e Murad III ruppero la tregua sancita ad Adrianopoli. Si realizzava, così, il progetto voluto da Clemente VIII, che consisteva in una crociata antiturca nei Balcani e nella costituzione di una Lega a capo della quale il Papa voleva non solo l’Imperatore, ma anche il re di Polonia. La guerra, combattuta in Ungheria e nei Principati romeni, coinvolse in primis i principi di Transilvania e di Valacchia, Sigismondo Bàthory e Michele il Bravo, ma anche alcuni Principi italiani fecero la loro parte; oltre che dal Papa, giunsero aiuti in denaro e in soldati anche dal Granduca di Toscana e dai Duchi di Ferrara e Mantova. Il contingente inviato da Ferdinando I in Transilvania, nel 1595, si trovava sotto il comando di Silvio Piccolomini, affiancato dal concittadino Imperiale Cinuzzi e dal segretario Filippo Pigafetta, appartenente alla famiglia del celebre navigatore Antonio. Risulta di grande interesse, verso la fine del secolo, il caso della famiglia Genga, che ebbe un peso notevole nella storia di tre paesi europei: Italia, Polonia e Transilvania, grazie soprattutto all’architetto Simone Genga. Questi, discendente di Girolamo e Bartolomeo (citati dal Vasari), fu a servizio dei Duchi di Urbino, dei Granduchi di Toscana, del Re di Polonia e del Principe di Transilvania. Simone si presentò in queste corti col fratello Fabio, ma i nomi e le attività di altri fratelli emergono da nuovi documenti. Meglio si precisa la figura di Simone e la cronologia della sua vita, ma anche il ruolo di Fabio, ambasciatore presso il Papa, e quello di Giovanni Battista, consigliere segreto del Papa; si sono aggiunti anche i nomi di Livio, Flaminio, Girolamo e Francesco. Una figura interessante è anche quella di Fulvio, letterato che cercò fortuna in Spagna e nelle Americhe. Oltre agli accordi fra il Granduca di Toscana e la corte transilvana per il matrimonio non realizzato fra Sigismondo ed una nipote di Ferdinando, viene valutata tutta la questione del ruolo svolto da Simone, Fabio, Flaminio e Giovanni Battista nella creazione di una tela di rapporti fra le corti europee che avrebbero dovuto sostenere la Transilvania nella lotta contro gli Ottomani. Dopo la morte dei Genga e dopo quella che possiamo definire l’epoca d’oro nella storia dei rapporti fra Toscana e Transilvania, il Granducato perde una fonte preziosa di informazioni per quella parte d’Europa. Non mancano, negli archivi toscani, documenti che rechino testimonianza di un certo interesse, del Granducato, per le vicende di quei lontani territori, ma vengono meno le attestazioni di un rapporto diretto fra i governanti dei due paesi, o meglio diviene scarsa la documentazione prodotta da testimoni che dimorino in loco. Per tutto il XVII secolo, infatti, essendo mutati gli equilibri internazionali con le guerre di religione, un peso decisivo ebbero, nelle relazioni fra Toscana e Transilvania, le diverse posizioni assunte dai due Stati nel contesto europeo. E mentre la Transilvania, per mantenere la sua autonomia, doveva destreggiarsi fra l’impero asburgico e quello ottomano, ponendosi nelle guerre di religione a fianco delle potenze filoprotestanti, il Granducato di Toscana, con gli ultimi Medici, andò incontro ad un declino crescente che favorì via via l’abbandono di un’energica politica estera. E tuttavia, a cavallo fra XVII e XVIII secolo, i due Stati, pur nella distanza che li separava, condivisero entrambi un simile destino, perdendo quasi in sincrono la loro autonomia. E non fu solo la coincidenza temporale a caratterizzare questa perdita, visto che ambedue gli Stati, seppur in modi diversi, finirono sotto il controllo asburgico. Si concludeva una storia di rapporti intensi che, dopo un lungo periodo di interruzione, sembrava condurre i due paesi verso destini assolutamente divergenti, mentre invece essi si ritrovarono alla fine governati dai membri di una medesima casata, alle due periferie di un medesimo Impero.File | Dimensione | Formato | |
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