Gli adulti cresciuti nel Novecento vengono da una tradizione che crea categorie per classificare la complessità delle cose – della lingua, della società, della natura, degli affetti ecc. Nel nostro secolo la globalizzazione, i rimescolamenti sociali, lo tsunami di informazioni e comunicazione legata alla rete hanno reso difficilissimo organizzare cognitivamente la realtà. La complessità descritta da E. Morin ha lasciato spazio alla società 466 Fondazione Intercultura liquida descritta da S. Bauman: tutto è fluido, dalla politica al genere, dall’arte al lavoro, dalla comunicazione alla lingua. Ci si prova, sperando che funzioni. Nella comunicazione questo ha travolto il modello classico di Jakobson e di Hymes: nei social network spesso scompaiono emittente e destinatario, gli scopi iniziali di un post si stravolgono e possono generare indifferentemente influencers e haters; nella lingua si parla “come viene viene”, senza un progetto testuale e una strutturazione sintattica ampia. Se si accetta la logica “liquida”, la dimensione culturale legata all’apprendimento di lingue seconde e straniere diventa aneddotica, stereotipica, si riduce a cultura spicciola che serve a comunicare ma non a capire la forma mentis del popolo di cui si studia la lingua, e lo scambio interculturale diventa una raccolta di osservazioni minime, casuali, non organizzate, sulle differenze, senza una categorizzazione che ne strutturi la complessità rendendola comprensibile. L’intervento propone una logica modellizzante, offre uno strumento non per “imparare” la comunicazione interculturale, cosa impossibile, ma per “osservare” le differenze, per classificarle, per permettere a ciascuno di creare e modificare, in una logica di lifelong learning, una propria grammatica della comunicazione interculturale dando struttura alla propria esperienza di incontro e interazione con altre culture e rende conto di alcune sperimentazioni in tal senso.

Insegnare a giovani “liquidi” a osservare la comunicazione interculturale.

paolo e. balboni
2024-01-01

Abstract

Gli adulti cresciuti nel Novecento vengono da una tradizione che crea categorie per classificare la complessità delle cose – della lingua, della società, della natura, degli affetti ecc. Nel nostro secolo la globalizzazione, i rimescolamenti sociali, lo tsunami di informazioni e comunicazione legata alla rete hanno reso difficilissimo organizzare cognitivamente la realtà. La complessità descritta da E. Morin ha lasciato spazio alla società 466 Fondazione Intercultura liquida descritta da S. Bauman: tutto è fluido, dalla politica al genere, dall’arte al lavoro, dalla comunicazione alla lingua. Ci si prova, sperando che funzioni. Nella comunicazione questo ha travolto il modello classico di Jakobson e di Hymes: nei social network spesso scompaiono emittente e destinatario, gli scopi iniziali di un post si stravolgono e possono generare indifferentemente influencers e haters; nella lingua si parla “come viene viene”, senza un progetto testuale e una strutturazione sintattica ampia. Se si accetta la logica “liquida”, la dimensione culturale legata all’apprendimento di lingue seconde e straniere diventa aneddotica, stereotipica, si riduce a cultura spicciola che serve a comunicare ma non a capire la forma mentis del popolo di cui si studia la lingua, e lo scambio interculturale diventa una raccolta di osservazioni minime, casuali, non organizzate, sulle differenze, senza una categorizzazione che ne strutturi la complessità rendendola comprensibile. L’intervento propone una logica modellizzante, offre uno strumento non per “imparare” la comunicazione interculturale, cosa impossibile, ma per “osservare” le differenze, per classificarle, per permettere a ciascuno di creare e modificare, in una logica di lifelong learning, una propria grammatica della comunicazione interculturale dando struttura alla propria esperienza di incontro e interazione con altre culture e rende conto di alcune sperimentazioni in tal senso.
2024
Abitare la diversità. Culture e complessità nuove.
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