La scena dell'immane disastro provocato dal terremoto di Lisbona del 1755 incrina la fiducia dell'illuminismo riguardo all'orientamento della storia universale verso il meglio. Di fronte alla catastrofe lo spettacolo del male restituisce alla filosofia, a meta' del secolo luminoso dei philosophes, la sua spietata radicalita', il coraggio del suo pessimismo, la crudelta' dello sguardo apocalittico. Il Poema di Voltaire, la risposta di Rousseau, i brevi saggi in cui il giovane Kant riflette sulle cause fisiche del terremoto lusitano intarsiate alle considerazioni sulle reazioni umane e morali al disastro e sull'ottimismo gnoseologico e ontologico della scienza settecentesca sono le voci di un dibattito che, come la catastrofe, rimane sempre attuale. Un dibattito che ha il coraggio di mettere sul banco degli imputati prima la natura, poi Dio e, infine, l'uomo stesso. Il filosofo scopre il suo altro non nell'immagine di una natura malvagia ed ostile, ma nell'indifferenza della terra, anzi nella casuale e caotica resistenza all'interpretazione che la catastrofe pone in qualita' di evento assolutamente opaco ma non per questo irrazionale. L'indifferenza della natura si riverbera sul volto di un Dio che se non rinuncia alla sua onnipotenza, come suggeriranno al pensiero le catastrofi umane, troppo umane delle guerre mondiali, dei gulag e dei campi di sterminio, deve almeno deporre la sua bonaria maschera di misericordia. Il mito del progresso, rinunciando all'inerzia fisica di una teodicea naturale che il terremoto drammaticamente smentisce, rivela, prima della deriva ideologica della scienza contemporanea verso il paradiso della tecnica, la sua pura vocazione morale. Ma nelle pieghe dei discorsi della filosofia intorno alle rovine della città di Lisbona, dopo aver rimosso le maschere della provvidenza di Dio e della natura, un interrogativo assai più inquietante, benche' alle nostre orecchie quantomai familiare, fa gia' la sua comparsa: e se la catastrofe che ci affascina con il suo sguardo di serpente non fosse nient'altro che l'uomo stesso?

La catastrofe e la filosofia

TAGLIAPIETRA , ANDREA
2004-01-01

Abstract

La scena dell'immane disastro provocato dal terremoto di Lisbona del 1755 incrina la fiducia dell'illuminismo riguardo all'orientamento della storia universale verso il meglio. Di fronte alla catastrofe lo spettacolo del male restituisce alla filosofia, a meta' del secolo luminoso dei philosophes, la sua spietata radicalita', il coraggio del suo pessimismo, la crudelta' dello sguardo apocalittico. Il Poema di Voltaire, la risposta di Rousseau, i brevi saggi in cui il giovane Kant riflette sulle cause fisiche del terremoto lusitano intarsiate alle considerazioni sulle reazioni umane e morali al disastro e sull'ottimismo gnoseologico e ontologico della scienza settecentesca sono le voci di un dibattito che, come la catastrofe, rimane sempre attuale. Un dibattito che ha il coraggio di mettere sul banco degli imputati prima la natura, poi Dio e, infine, l'uomo stesso. Il filosofo scopre il suo altro non nell'immagine di una natura malvagia ed ostile, ma nell'indifferenza della terra, anzi nella casuale e caotica resistenza all'interpretazione che la catastrofe pone in qualita' di evento assolutamente opaco ma non per questo irrazionale. L'indifferenza della natura si riverbera sul volto di un Dio che se non rinuncia alla sua onnipotenza, come suggeriranno al pensiero le catastrofi umane, troppo umane delle guerre mondiali, dei gulag e dei campi di sterminio, deve almeno deporre la sua bonaria maschera di misericordia. Il mito del progresso, rinunciando all'inerzia fisica di una teodicea naturale che il terremoto drammaticamente smentisce, rivela, prima della deriva ideologica della scienza contemporanea verso il paradiso della tecnica, la sua pura vocazione morale. Ma nelle pieghe dei discorsi della filosofia intorno alle rovine della città di Lisbona, dopo aver rimosso le maschere della provvidenza di Dio e della natura, un interrogativo assai più inquietante, benche' alle nostre orecchie quantomai familiare, fa gia' la sua comparsa: e se la catastrofe che ci affascina con il suo sguardo di serpente non fosse nient'altro che l'uomo stesso?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/5078508
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