Gioacchino da Fiore (1135-1202) contrapponeva alla “Chiesa di carne”, ossia alla Chiesa-istituzione temporale (alla Chiesa dei “tiepidi”, come la chiama l’Apocalisse, con tutti i suoi poteri, le sue gerarchie, i suoi privilegi e le sue ricchezze), una “Chiesa dello spirito” in grado di aprirsi realmente e con umiltà alla sofferenza del mondo. Una Chiesa dei poveri, degli afflitti e dei perseguitati, come ben comprenderanno i Francescani spirituali che, alla fine del XIII secolo, rilessero Gioacchino nella prospettiva di Francesco. Una Chiesa in cui, cioè, si attuasse concretamente quell’estensione pentecostale dello Spirito che i Vangeli ci tramandano, ma che Gioacchino non interpretava come il rinvio ad un’astratta dimensione trascendente, bensì nella trascendenza immanente dell’imminenza del futuro storico. Gioacchino pensa fino in fondo la divinizzazione dell’uomo quale compimento della vicenda storico-universale iniziata con la creazione, annunciata nell’incarnazione e garantita dalla simmetria filiale fra l’uomo e il Cristo nella terza persona della Trinità. Quello Spirito che, come dice l’apostolo, “soffia dove vuole”. Ecco dunque l’impegno a realizzare, qui e ora, sulla terra, un’età dello Spirito che sarebbe approdata ad una effettiva subversio dell’ordine sociale ed ecclesiale esistente, al superamento di ogni letteralità istituzionale, scritturistica e liturgica. Non è solo il filosofo marxista eterodosso Ernst Bloch a indicare in Gioacchino il profeta di una società senza padroni né dogmi, una società di Libero Spirito e di Spiriti Liberi, una vera “democrazia mistica”. Ma anche per il dotto e prudente cardinale Henri De Lubac il nostro abate diviene il precursore di tutte le rivoluzioni della modernità e del germe sotterraneo che le alimenta. A Gioacchino e al suo pensiero, ai “margini della filosofia”, questo libro è dedicato, nella convinzione che ci sia sempre tempo per tornare a sperare in un mondo nuovo e soprattutto migliore

Gioacchino da Fiore e la filosofia

TAGLIAPIETRA , ANDREA
2013-01-01

Abstract

Gioacchino da Fiore (1135-1202) contrapponeva alla “Chiesa di carne”, ossia alla Chiesa-istituzione temporale (alla Chiesa dei “tiepidi”, come la chiama l’Apocalisse, con tutti i suoi poteri, le sue gerarchie, i suoi privilegi e le sue ricchezze), una “Chiesa dello spirito” in grado di aprirsi realmente e con umiltà alla sofferenza del mondo. Una Chiesa dei poveri, degli afflitti e dei perseguitati, come ben comprenderanno i Francescani spirituali che, alla fine del XIII secolo, rilessero Gioacchino nella prospettiva di Francesco. Una Chiesa in cui, cioè, si attuasse concretamente quell’estensione pentecostale dello Spirito che i Vangeli ci tramandano, ma che Gioacchino non interpretava come il rinvio ad un’astratta dimensione trascendente, bensì nella trascendenza immanente dell’imminenza del futuro storico. Gioacchino pensa fino in fondo la divinizzazione dell’uomo quale compimento della vicenda storico-universale iniziata con la creazione, annunciata nell’incarnazione e garantita dalla simmetria filiale fra l’uomo e il Cristo nella terza persona della Trinità. Quello Spirito che, come dice l’apostolo, “soffia dove vuole”. Ecco dunque l’impegno a realizzare, qui e ora, sulla terra, un’età dello Spirito che sarebbe approdata ad una effettiva subversio dell’ordine sociale ed ecclesiale esistente, al superamento di ogni letteralità istituzionale, scritturistica e liturgica. Non è solo il filosofo marxista eterodosso Ernst Bloch a indicare in Gioacchino il profeta di una società senza padroni né dogmi, una società di Libero Spirito e di Spiriti Liberi, una vera “democrazia mistica”. Ma anche per il dotto e prudente cardinale Henri De Lubac il nostro abate diviene il precursore di tutte le rivoluzioni della modernità e del germe sotterraneo che le alimenta. A Gioacchino e al suo pensiero, ai “margini della filosofia”, questo libro è dedicato, nella convinzione che ci sia sempre tempo per tornare a sperare in un mondo nuovo e soprattutto migliore
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