Nel 4 d.C. anonimi delatori denunciarono presso Augusto Gneo Cornelio Cinna Magno. Costui, nipote di Pompeo, aveva organizzato una congiura ai danni del principe. Sollecitato dalla moglie Livia a modificare le modalità, fallimentari, con cui fino ad allora aveva gestito il dissenso, ispirate alla severitas, Augusto applicò nei confronti di Cinna la clementia, perdonandolo e supportandone, con buon esito, la candidatura al consolato per l’anno successivo. L’episodio sembra essere fittizio. Le due fonti che ne recano memoria, Seneca e Dione, recepiscono la versione della vicenda probabilmente costruita in ambienti vicini al principe e diffusa, in particolare per quanto riguarda il dialogo tra il principe e la moglie, attraverso le declamazioni organizzate dalle Scuola di retorica. L’elaborazione di tale memoria risale al 4 d.C., anno a cui i fatti vengono attribuiti, e risulta funzionale al conseguimento di obiettivi importanti per il principe, in un delicato momento della sua azione di governo. In primo luogo, la promozione di provvedimenti, tra il 4 e il 6 d.C., che avrebbero suscitato una estesa opposizione contro Augusto imponeva di presentare la repressione che ne sarebbe certamente scaturita non come prassi consuetudinaria, dettata dalla volontà del principe di scoraggiare la dialettica politica, ma come risposta all’emergenza per lo stato, sola ragione giustificata di sospensione della strategia della clementia, nuovo indirizzo riconosciuto per le strategie di gestione del dissenso. In secondo luogo, la designazione proprio nel 4 d.C. di Tiberio quale erede del principe, e quindi la definitiva affermazione del ramo Claudio della Domus principis e l’esclusione della parte Giulia dalla possibilità di una successione in termini esclusivi, avrebbe inasprito le lacerazioni interne alla famiglia imperiale, incrinando l’immagine di solidità del governo che Augusto intendeva affermare. L’esercizio della clementia nei confronti delle successive azioni eversive, che soprattutto dopo l’adozione di Tiberio sarebbero certo maturate soprattutto nel contesto della Domus principis, avrebbe garantito la concordia essenziale per comprovare la solidità di un governo retto sul consenso più ampio. In tale tentativo di ricomposizione delle parti proprio a Livia veniva attribuito il ruolo di ‘mediatrice’ tra Giuli e Claudi. Se la ‘fronda’ ad Augusto suggeriva un suo coinvolgimento nelle morti premature degli eredi Giuli via via selezionati dal principe per la propria successione, la vulgata augustea, al contrario, replicava costruendo l’immagine della moglie del principe come garante della concordia interna alla famiglia imperiale, come suggerisce la tradizione di un suo supporto ai Giuli esiliati e come farebbe pensare la stessa, successiva, intercessione richiesta, tramite Fabia, a lei, vicina ai Claudi, da Ovidio, esiliato in ragione della vicinanza al ramo Giulio della Domus principis e ansioso di rientrare a Roma. Anche la costruzione nel patrimonio leggendario delle origini del personaggio di Ersilia, con ogni probabilità non immune dal condizionamento del percorso biografico di Livia, potrebbe valorizzare il ruolo attribuito alla matrona di garante della concordia familiare. La storia del perdono di Cinna, e in particolare il discorso di Livia, che sembra sottendere molti riferimenti proprio a un dissenso in corso e in crescita all’interno della famiglia imperiale e alla gestione moderata dello stesso, concorrerebbero a questa operazione di immagine, perseguita con maggior insistenza dopo il 4 d.C., quando l’adozione di Tiberio attribuì a Livia il ruolo di madre dell’erede designato, accanto a quello già consolidato di moglie del principe. L’immagine del governo augusteo e in particolare del ruolo assolto da Livia nelle dispute interne alla Domus principis suggeriscono come la storia del perdono di Cinna sia stata elaborata nel 4 d.C. in ambienti vicini ad Augusto. Le caratteristiche del discorso attribuito a Livia, uniformato ai modelli della retorica, e le specificità della sua ambientazione suggeriscono che la diffusione della memoria di questa vicenda sia riconducibile alle scuole di retorica e che attraverso di esse ne abbiano acquisito notizia Seneca e Dione, forse in rapporto di dipendenza l’uno dall’altro o fruitori di una stessa tradizione, personalizzando in parte il racconto sulla base del messaggio che intendevano valorizzare per propri lettori. La vicenda del perdono di Cinna, dunque, non rappresenta la testimonianza di un caso di eversione antiaugustea. Diversamente, da un lato è esemplificativa della strumentalizzazione da parte del principe del tema del dissenso, dall’altro lato chiarisce aspetti della gestione dell’opposizione interna alla Domus Augusta e della definizione del nuovo ruolo di madre dell’erede designato costruito in termini esemplari per Livia.

Tra severitas e clementia. La “congiura” di Cinna e la nuova gestione del dissenso negli ultimi anni del principato augusteo.

F. Rohr Vio
In corso di stampa

Abstract

Nel 4 d.C. anonimi delatori denunciarono presso Augusto Gneo Cornelio Cinna Magno. Costui, nipote di Pompeo, aveva organizzato una congiura ai danni del principe. Sollecitato dalla moglie Livia a modificare le modalità, fallimentari, con cui fino ad allora aveva gestito il dissenso, ispirate alla severitas, Augusto applicò nei confronti di Cinna la clementia, perdonandolo e supportandone, con buon esito, la candidatura al consolato per l’anno successivo. L’episodio sembra essere fittizio. Le due fonti che ne recano memoria, Seneca e Dione, recepiscono la versione della vicenda probabilmente costruita in ambienti vicini al principe e diffusa, in particolare per quanto riguarda il dialogo tra il principe e la moglie, attraverso le declamazioni organizzate dalle Scuola di retorica. L’elaborazione di tale memoria risale al 4 d.C., anno a cui i fatti vengono attribuiti, e risulta funzionale al conseguimento di obiettivi importanti per il principe, in un delicato momento della sua azione di governo. In primo luogo, la promozione di provvedimenti, tra il 4 e il 6 d.C., che avrebbero suscitato una estesa opposizione contro Augusto imponeva di presentare la repressione che ne sarebbe certamente scaturita non come prassi consuetudinaria, dettata dalla volontà del principe di scoraggiare la dialettica politica, ma come risposta all’emergenza per lo stato, sola ragione giustificata di sospensione della strategia della clementia, nuovo indirizzo riconosciuto per le strategie di gestione del dissenso. In secondo luogo, la designazione proprio nel 4 d.C. di Tiberio quale erede del principe, e quindi la definitiva affermazione del ramo Claudio della Domus principis e l’esclusione della parte Giulia dalla possibilità di una successione in termini esclusivi, avrebbe inasprito le lacerazioni interne alla famiglia imperiale, incrinando l’immagine di solidità del governo che Augusto intendeva affermare. L’esercizio della clementia nei confronti delle successive azioni eversive, che soprattutto dopo l’adozione di Tiberio sarebbero certo maturate soprattutto nel contesto della Domus principis, avrebbe garantito la concordia essenziale per comprovare la solidità di un governo retto sul consenso più ampio. In tale tentativo di ricomposizione delle parti proprio a Livia veniva attribuito il ruolo di ‘mediatrice’ tra Giuli e Claudi. Se la ‘fronda’ ad Augusto suggeriva un suo coinvolgimento nelle morti premature degli eredi Giuli via via selezionati dal principe per la propria successione, la vulgata augustea, al contrario, replicava costruendo l’immagine della moglie del principe come garante della concordia interna alla famiglia imperiale, come suggerisce la tradizione di un suo supporto ai Giuli esiliati e come farebbe pensare la stessa, successiva, intercessione richiesta, tramite Fabia, a lei, vicina ai Claudi, da Ovidio, esiliato in ragione della vicinanza al ramo Giulio della Domus principis e ansioso di rientrare a Roma. Anche la costruzione nel patrimonio leggendario delle origini del personaggio di Ersilia, con ogni probabilità non immune dal condizionamento del percorso biografico di Livia, potrebbe valorizzare il ruolo attribuito alla matrona di garante della concordia familiare. La storia del perdono di Cinna, e in particolare il discorso di Livia, che sembra sottendere molti riferimenti proprio a un dissenso in corso e in crescita all’interno della famiglia imperiale e alla gestione moderata dello stesso, concorrerebbero a questa operazione di immagine, perseguita con maggior insistenza dopo il 4 d.C., quando l’adozione di Tiberio attribuì a Livia il ruolo di madre dell’erede designato, accanto a quello già consolidato di moglie del principe. L’immagine del governo augusteo e in particolare del ruolo assolto da Livia nelle dispute interne alla Domus principis suggeriscono come la storia del perdono di Cinna sia stata elaborata nel 4 d.C. in ambienti vicini ad Augusto. Le caratteristiche del discorso attribuito a Livia, uniformato ai modelli della retorica, e le specificità della sua ambientazione suggeriscono che la diffusione della memoria di questa vicenda sia riconducibile alle scuole di retorica e che attraverso di esse ne abbiano acquisito notizia Seneca e Dione, forse in rapporto di dipendenza l’uno dall’altro o fruitori di una stessa tradizione, personalizzando in parte il racconto sulla base del messaggio che intendevano valorizzare per propri lettori. La vicenda del perdono di Cinna, dunque, non rappresenta la testimonianza di un caso di eversione antiaugustea. Diversamente, da un lato è esemplificativa della strumentalizzazione da parte del principe del tema del dissenso, dall’altro lato chiarisce aspetti della gestione dell’opposizione interna alla Domus Augusta e della definizione del nuovo ruolo di madre dell’erede designato costruito in termini esemplari per Livia.
In corso di stampa
La dernière époque augustéenne
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