Al giorno d’oggi la cosiddetta historical epistemology si presenta come un campo in piena evoluzione. Oramai non si contano più i case studies che, a partire dagli anni ’90, sono stati posti sotto questo termine ombrello. In ambito anglosassone, le applicazioni empiriche, spesso disparate, da parte di storici e filosofi della scienza di diversa formazione e orientamento, hanno largamente sopravanzato il momento teorico e riflessivo sull’uso di tale espressione. Ciò spiega almeno in parte l’insorgere di recenti interrogativi, anche critici, a proposito della natura, dei limiti e degli scopi di questo tipo d’indagine. Sorprendentemente, ancora pochi sono i tentativi di stabilizzare il campo dell’historical epistemology tramite un confronto a posteriori con l’épistémologie historique francese, intesa in senso ampio. Nelle sue pur differenti versioni teoriche e pratiche, lo “stile francese in storia della scienza” è infatti uno stile che è naturalmente sia epistemologico che storico (Canguilhem 1968, p. 63). Il confronto tra i due momenti dell’epistemologia storica, quello “classico” e quello “contemporaneo”, può essere fecondo se volto non tanto alla ricerca di riprese e continuità, di epigoni e precursori, ma se teso a valutare possibili convergenze su temi specifici. E’ in questa luce che vorrei proporre un’analisi comparata del concetto-base del realismo scientifico di Gaston Bachelard, quello di fenomenotecnica, e l’argomento sperimentale in favore del realismo per le entità teoriche non osservabili proposto da Ian Hacking a partire dagli anni ‘80. Nonostante né Bachelard né Hacking abbiano mai avocato l’espressione di epistemologia storica per caratterizzare i loro differenti assi di ricerca, infatti, è proprio in riferimento a questi ultimi che si sono definiti, rispettivamente, gli spazi concettuali dell’epistemologia storica classica (Lecourt 1969, 1972) e di quella contemporanea (Daston 1994, p. 283).

Bachelard, Hacking e il realismo tecnoscientifico

Vagelli, Matteo
2017-01-01

Abstract

Al giorno d’oggi la cosiddetta historical epistemology si presenta come un campo in piena evoluzione. Oramai non si contano più i case studies che, a partire dagli anni ’90, sono stati posti sotto questo termine ombrello. In ambito anglosassone, le applicazioni empiriche, spesso disparate, da parte di storici e filosofi della scienza di diversa formazione e orientamento, hanno largamente sopravanzato il momento teorico e riflessivo sull’uso di tale espressione. Ciò spiega almeno in parte l’insorgere di recenti interrogativi, anche critici, a proposito della natura, dei limiti e degli scopi di questo tipo d’indagine. Sorprendentemente, ancora pochi sono i tentativi di stabilizzare il campo dell’historical epistemology tramite un confronto a posteriori con l’épistémologie historique francese, intesa in senso ampio. Nelle sue pur differenti versioni teoriche e pratiche, lo “stile francese in storia della scienza” è infatti uno stile che è naturalmente sia epistemologico che storico (Canguilhem 1968, p. 63). Il confronto tra i due momenti dell’epistemologia storica, quello “classico” e quello “contemporaneo”, può essere fecondo se volto non tanto alla ricerca di riprese e continuità, di epigoni e precursori, ma se teso a valutare possibili convergenze su temi specifici. E’ in questa luce che vorrei proporre un’analisi comparata del concetto-base del realismo scientifico di Gaston Bachelard, quello di fenomenotecnica, e l’argomento sperimentale in favore del realismo per le entità teoriche non osservabili proposto da Ian Hacking a partire dagli anni ‘80. Nonostante né Bachelard né Hacking abbiano mai avocato l’espressione di epistemologia storica per caratterizzare i loro differenti assi di ricerca, infatti, è proprio in riferimento a questi ultimi che si sono definiti, rispettivamente, gli spazi concettuali dell’epistemologia storica classica (Lecourt 1969, 1972) e di quella contemporanea (Daston 1994, p. 283).
2017
Il senso della tecnica. Saggi su Bachelard
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