Le questioni di politica culturale in Italia sono state per lungo tempo fortemente caratterizzate dalla preoccupazione per le quantità di risorse finanziarie a destinate a bene ed attività culturali. Invariabilmente giudicate troppo limitate e sistematicamente confrontate con i valori che si riscontrerebbero in altri contesti nazionali. Il documento di bilancio delle pubbliche amministrazioni è così diventato, e continua ad essere, il principale oggetto di attenzione critica da parte degli operatori. Un’attenzione che procede in parallelo con quella dedicata allo strumento normativo. Le allocazioni di risorse nei bilanci pubblici, infatti, possono essere fatte solo in virtù di una legge e l’approvazione dei bilanci si fa molto spesso grazie ad un atto legislativo. La combinazione di legge e bilancio è finita quindi per l’affermarsi come il principale terreno di dibattito nel quale si definiscono “i problemi della cultura” e se ne trovano le soluzioni; quasi sempre consistenti nella richiesta di “maggiori risorse”. L’implicita ipotesi di fondo, in questa declinazione normativo-finanziaria delle politiche culturali, è che con la destinazione di maggiori risorse si possano affrontare e risolvere i problemi. Le trasformazioni che si sono manifestate negli ultimi anni, accelerate dalla pandemia e dalle successive e massicce misure di sostegno finanziario, invitano però a riflettere sull’associazione quasi automatica tra politiche culturali, leggi e risorse finanziarie per allargare la riflessione, fatalmente più granulare, anche altri tipi di risorse che non hanno un’immediata manifestazione monetaria. Il periodo pandemico, ad esempio, è stato l’occasione per far emergere e mettere finalmente nell’agenda politica la questione del lavoro culturale. I decisori politici, ed anche molti “esperti” di economia della cultura, si sono improvvisamente resi conto che il settore culturale è composto anche di professionalità e competenze di lavoratori quasi sempre inquadrati come autonomi imprenditori individuali. Le loro manifestazioni pubbliche hanno dato visibilità a risorse cognitive e artistiche e spinto a nuove mappature e ricerche che aiutassero a comprendere le caratteristiche, fino a pochi mesi prima largamente ignote, del lavoro culturale. Il discorso sulla rilevanza economica della cultura, fino a quel momento configurato quasi esclusivamente in forma di “moltiplicatori dell’investimento” o “indicatori di impatto” ha iniziato ad avventurarsi nel dettaglio dei processi di produzione culturale e nelle condizioni di vita dei produttori. Come avvenuto per altri settori si è iniziato a ragionare più consapevolmente della rilevanza strategica dei processi produttivi e delle professionalità che in essi operano. Ci si sta rendendo conto, in altri termini, che solo una parte dei problemi del settore culturale è attribuibile alla scarsità di finanziamenti e che, a parità di risorse, la qualità delle competenze individuali ed organizzative può fare la differenza. In particolare, nel campo delle politiche culturali, fenomeno eminentemente di natura pubblica, appare urgente riportare l’attenzione sulle “risorse cognitive”, le competenze e professionalità delle pubbliche amministrazioni ad ogni livello di governo

Le competenze nelle pubbliche amministrazioni per il governo delle politiche culturali

Fabrizio Panozzo
2023-01-01

Abstract

Le questioni di politica culturale in Italia sono state per lungo tempo fortemente caratterizzate dalla preoccupazione per le quantità di risorse finanziarie a destinate a bene ed attività culturali. Invariabilmente giudicate troppo limitate e sistematicamente confrontate con i valori che si riscontrerebbero in altri contesti nazionali. Il documento di bilancio delle pubbliche amministrazioni è così diventato, e continua ad essere, il principale oggetto di attenzione critica da parte degli operatori. Un’attenzione che procede in parallelo con quella dedicata allo strumento normativo. Le allocazioni di risorse nei bilanci pubblici, infatti, possono essere fatte solo in virtù di una legge e l’approvazione dei bilanci si fa molto spesso grazie ad un atto legislativo. La combinazione di legge e bilancio è finita quindi per l’affermarsi come il principale terreno di dibattito nel quale si definiscono “i problemi della cultura” e se ne trovano le soluzioni; quasi sempre consistenti nella richiesta di “maggiori risorse”. L’implicita ipotesi di fondo, in questa declinazione normativo-finanziaria delle politiche culturali, è che con la destinazione di maggiori risorse si possano affrontare e risolvere i problemi. Le trasformazioni che si sono manifestate negli ultimi anni, accelerate dalla pandemia e dalle successive e massicce misure di sostegno finanziario, invitano però a riflettere sull’associazione quasi automatica tra politiche culturali, leggi e risorse finanziarie per allargare la riflessione, fatalmente più granulare, anche altri tipi di risorse che non hanno un’immediata manifestazione monetaria. Il periodo pandemico, ad esempio, è stato l’occasione per far emergere e mettere finalmente nell’agenda politica la questione del lavoro culturale. I decisori politici, ed anche molti “esperti” di economia della cultura, si sono improvvisamente resi conto che il settore culturale è composto anche di professionalità e competenze di lavoratori quasi sempre inquadrati come autonomi imprenditori individuali. Le loro manifestazioni pubbliche hanno dato visibilità a risorse cognitive e artistiche e spinto a nuove mappature e ricerche che aiutassero a comprendere le caratteristiche, fino a pochi mesi prima largamente ignote, del lavoro culturale. Il discorso sulla rilevanza economica della cultura, fino a quel momento configurato quasi esclusivamente in forma di “moltiplicatori dell’investimento” o “indicatori di impatto” ha iniziato ad avventurarsi nel dettaglio dei processi di produzione culturale e nelle condizioni di vita dei produttori. Come avvenuto per altri settori si è iniziato a ragionare più consapevolmente della rilevanza strategica dei processi produttivi e delle professionalità che in essi operano. Ci si sta rendendo conto, in altri termini, che solo una parte dei problemi del settore culturale è attribuibile alla scarsità di finanziamenti e che, a parità di risorse, la qualità delle competenze individuali ed organizzative può fare la differenza. In particolare, nel campo delle politiche culturali, fenomeno eminentemente di natura pubblica, appare urgente riportare l’attenzione sulle “risorse cognitive”, le competenze e professionalità delle pubbliche amministrazioni ad ogni livello di governo
2023
Le politiche per lo spettacolo dal vivo tra Stato e Regioni
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/5052080
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