Filippo da Verona è un pittore pressoché ignoto fino all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso: allora si conoscevano solo pochissime opere firmate, divise tra Padova e Fabriano; mentre era andata perduta un’impresa documentata nel Duomo di Savona. Da allora diventa la passione di una generazione di studiosi che si è data il compito di capire, prima di tutto, se l’artista fosse uno solo o se esistessero due pittori veronesi omonimi, di nome Filippo. Questo a causa del brusco scarto stilistico che spacca in due la sua produzione, tra una non esaltante fase giovanile improntata alla tradizione lagunare e dell’entroterra veneto – Bellini e Carpaccio, Cima e Dürer – nelle opere al Santo di Padova; e una maturità ben più vivace, all’insegna dello sperimentalismo anticlassico più acceso, tra Romanino e Dosso Dossi, Lorenzo Lotto e Amico Aspertini; il tutto innervato da un’intensa vena danubiana, come pochissimi altri nella pittura italiana, e da una sorta di non dichiarata soggezione raffaellesca. Nel primo quarto del Cinquecento, in una traiettoria geografica del tutto inconsueta e zigzagante – Verona, Padova, Fabriano, Lucca, Ravenna, Modena, Savona, Rieti, sono i centri dove la sua presenza è documentata; ma com’è possibile ignorare possibili passaggi da Brescia, Cremona, Bologna, Ferrara, eccetera – e senza entrare nella prima schiera, Filippo da Verona si distingue tuttavia per la capacità di annusare l’aria e di intuire immediatamente lo spirito del tempo. Arrivando spesso in anticipo anche rispetto a maestri più grandi della sua generazione.

Filippo da Verona

Tanzi, Beatrice
2019-01-01

Abstract

Filippo da Verona è un pittore pressoché ignoto fino all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso: allora si conoscevano solo pochissime opere firmate, divise tra Padova e Fabriano; mentre era andata perduta un’impresa documentata nel Duomo di Savona. Da allora diventa la passione di una generazione di studiosi che si è data il compito di capire, prima di tutto, se l’artista fosse uno solo o se esistessero due pittori veronesi omonimi, di nome Filippo. Questo a causa del brusco scarto stilistico che spacca in due la sua produzione, tra una non esaltante fase giovanile improntata alla tradizione lagunare e dell’entroterra veneto – Bellini e Carpaccio, Cima e Dürer – nelle opere al Santo di Padova; e una maturità ben più vivace, all’insegna dello sperimentalismo anticlassico più acceso, tra Romanino e Dosso Dossi, Lorenzo Lotto e Amico Aspertini; il tutto innervato da un’intensa vena danubiana, come pochissimi altri nella pittura italiana, e da una sorta di non dichiarata soggezione raffaellesca. Nel primo quarto del Cinquecento, in una traiettoria geografica del tutto inconsueta e zigzagante – Verona, Padova, Fabriano, Lucca, Ravenna, Modena, Savona, Rieti, sono i centri dove la sua presenza è documentata; ma com’è possibile ignorare possibili passaggi da Brescia, Cremona, Bologna, Ferrara, eccetera – e senza entrare nella prima schiera, Filippo da Verona si distingue tuttavia per la capacità di annusare l’aria e di intuire immediatamente lo spirito del tempo. Arrivando spesso in anticipo anche rispetto a maestri più grandi della sua generazione.
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