Scopo di questo saggio è esaminare il disastro Vaia in Val di Fiemme (2018), risultato di un'imprevedibile combinazione di due fenomeni di lungo periodo – entrambi propaggini storiche di modalità estrattive del capitalismo – esaminare dunque tale evento attraverso i concetti di tempo e catastrofe elaborati da Walter Benjamin nelle Tesi sul concetto di storia. Pur se frammentarie le riflessioni del filosofo tedesco non mancano di sistematicità, ed è per questo che l'analisi precipua delle Tesi sarà arricchita da una ripresa mirata dei Passagenwerk e di L'origine del dramma tedesco. L'obiettivo è esplorare non la genesi (Entstehung), bensì l'origine (Ursprung) della tempesta Vaia, “che scaturisce dal divenire e dal trapassare. L’origine sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo ritmo il materiale della propria nascita” (Benjamin 1999). Differenza fondamentale, che non solo permette di comprendere il disastro come l'esito di un processo complesso e graduale – radicato nel passato – ma apre anche ad una più ampia riflessione su che cosa s'intenda con “catastrofe”. Probabilmente è superfluo ricordare che, nell'interpretazione dell'Angelus novus, lo sguardo non è rivolto a un disastro futuro, bensì alla catastrofe passata inviluppata nel presente. Lungi dall'essere un momento meramente distruttivo, la catastrofe benjaminiana può essere avvicinata – con le dovute precauzioni – al concetto greco di kairós, il “tempo opportuno”; non, si badi, un tempo completamente diverso ma un'inattesa collisione interna al tempo storico (chronos), un momento particolare che costituisce un “cristallo dell'accadere totale” (Benjamin 2000: 515). Sotto molti aspetti il disastro Vaia è sintomatico dell'epoca in cui viviamo: abitare l'Antropocene significa necessariamente fare i conti con soggetti non-umani, le cui agentività si intrecciano alle nostre dando forma a relazioni e fenomeni inaspettati. Per sviluppare questa dimensione accosteremo il pensiero di Benjamin a quello dell'antropologo Alfred Gell che, come il filosofo tedesco, ha esplorato la doppia frontiera del tempo e dell'arte (Gell 1992; 2021). Particolare valore ha il concetto di agentività: sebbene Gell lo elabori per distinguere il mero evento fisico dall'azione intenzionale, quasi tutte le azioni volontarie possiedono una controparte trascurata, opaca, ma non per questo inesistente: nell'esempio classico dell'artista che scolpisce un blocco di marmo, tramite la propria agency egli crea sia la scultura, sia degli scarti di pietra; per qualunque grande industria, le emissioni di anidride carbonica sono indissociabili dai manufatti prodotti. In questo caso si tratta di cogliere la differenza tra attività e finalità: ogni azione intenzionale possiede una o più finalità, ma l'agency non si esaurisce in essa, estendendosi invece a ogni aspetto dell'attività, comprese le componenti involontarie, rimosse o residuali. Diventa quindi fondamentale, nel valutare l'impatto e le ripercussioni delle pratiche umane sull'ambiente, considerare anche queste agency “residuali”: nel caso dell'evento Vaia, la loro inattesa combinazione è all'origine – sempre nel senso dato sopra – della straordinaria intensità dei danni alle foreste di Fiemme. Le tre ore in cui, la notte del 28 ottobre 2018, la tempesta Vaia ha colpito la vallata trentina, sono il tempo che Benjamin definirebbe Jetztzeit, in cui il passato ha preso corpo attualizzandosi tragicamente nel presente. È in questo tempo “carico di adesso” (Benjamin 1997: 47) che prende forma la storia, come sostenuto nella quattordicesima tesi1. Ed è in questo senso che vogliamo leggere l'evento Vaia come kairós, il quale diventa propriamente catastrofe (nel senso comune) quando manchiamo l'occasione che si presenta a noi abitatori del presente, quando non riusciamo a cogliere quel “momento opportuno che rompe la monotonia e la ripetitività del tempo cronologico” (Hardt & Negri 2009: 165). Se Benjamin usa queste “singolarità temporali”, secondo la bella espressione di Lindroos (1998: 11), per rapportarsi alla dimensione politica ed estetica della modernità, la nostra ambizione è impiegare il medesimo approccio cairologico per approcciare la questione ecologica. Del resto, come ci ricorda Latour, l'ecologia è già intrinsecamene politica, in quando negoziazione / scontro /convivenza tra viventi. L'eredità di Benjamin, perciò, non si limita alla decodifica di questo specifico esempio etnografico. Se, come sostiene il nostro filosofo, ogni società immagina se stessa immancabilmente moderna e come tale davanti a una crisi, allora l'Antropocene e il cambiamento climatico costituiscono l'abisso della nostra modernità, il rischio di una frantumazione di ogni possibilità culturale. Viene quasi spontaneo accostare questo senso tragico del divenire storico alle riflessioni di Ernesto de Martino sulla fine del mondo, come impossibilità di esserci in un qualunque orizzonte culturale. Il costante “stato d'eccezione” prefigurato da Benjamin assume oggi i contorni di uno “stato di emergenza”: non come situazione accidentale imprevista, ma come condizione storicamente radicata e (sempre più) manifesta nei disastri ambientali.
Il vento del progresso continua a soffiare. Una rilettura etnografica del disastro Vaia attraverso l'opera di Walter Benjamin
Nicola Martellozzo
2023-01-01
Abstract
Scopo di questo saggio è esaminare il disastro Vaia in Val di Fiemme (2018), risultato di un'imprevedibile combinazione di due fenomeni di lungo periodo – entrambi propaggini storiche di modalità estrattive del capitalismo – esaminare dunque tale evento attraverso i concetti di tempo e catastrofe elaborati da Walter Benjamin nelle Tesi sul concetto di storia. Pur se frammentarie le riflessioni del filosofo tedesco non mancano di sistematicità, ed è per questo che l'analisi precipua delle Tesi sarà arricchita da una ripresa mirata dei Passagenwerk e di L'origine del dramma tedesco. L'obiettivo è esplorare non la genesi (Entstehung), bensì l'origine (Ursprung) della tempesta Vaia, “che scaturisce dal divenire e dal trapassare. L’origine sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo ritmo il materiale della propria nascita” (Benjamin 1999). Differenza fondamentale, che non solo permette di comprendere il disastro come l'esito di un processo complesso e graduale – radicato nel passato – ma apre anche ad una più ampia riflessione su che cosa s'intenda con “catastrofe”. Probabilmente è superfluo ricordare che, nell'interpretazione dell'Angelus novus, lo sguardo non è rivolto a un disastro futuro, bensì alla catastrofe passata inviluppata nel presente. Lungi dall'essere un momento meramente distruttivo, la catastrofe benjaminiana può essere avvicinata – con le dovute precauzioni – al concetto greco di kairós, il “tempo opportuno”; non, si badi, un tempo completamente diverso ma un'inattesa collisione interna al tempo storico (chronos), un momento particolare che costituisce un “cristallo dell'accadere totale” (Benjamin 2000: 515). Sotto molti aspetti il disastro Vaia è sintomatico dell'epoca in cui viviamo: abitare l'Antropocene significa necessariamente fare i conti con soggetti non-umani, le cui agentività si intrecciano alle nostre dando forma a relazioni e fenomeni inaspettati. Per sviluppare questa dimensione accosteremo il pensiero di Benjamin a quello dell'antropologo Alfred Gell che, come il filosofo tedesco, ha esplorato la doppia frontiera del tempo e dell'arte (Gell 1992; 2021). Particolare valore ha il concetto di agentività: sebbene Gell lo elabori per distinguere il mero evento fisico dall'azione intenzionale, quasi tutte le azioni volontarie possiedono una controparte trascurata, opaca, ma non per questo inesistente: nell'esempio classico dell'artista che scolpisce un blocco di marmo, tramite la propria agency egli crea sia la scultura, sia degli scarti di pietra; per qualunque grande industria, le emissioni di anidride carbonica sono indissociabili dai manufatti prodotti. In questo caso si tratta di cogliere la differenza tra attività e finalità: ogni azione intenzionale possiede una o più finalità, ma l'agency non si esaurisce in essa, estendendosi invece a ogni aspetto dell'attività, comprese le componenti involontarie, rimosse o residuali. Diventa quindi fondamentale, nel valutare l'impatto e le ripercussioni delle pratiche umane sull'ambiente, considerare anche queste agency “residuali”: nel caso dell'evento Vaia, la loro inattesa combinazione è all'origine – sempre nel senso dato sopra – della straordinaria intensità dei danni alle foreste di Fiemme. Le tre ore in cui, la notte del 28 ottobre 2018, la tempesta Vaia ha colpito la vallata trentina, sono il tempo che Benjamin definirebbe Jetztzeit, in cui il passato ha preso corpo attualizzandosi tragicamente nel presente. È in questo tempo “carico di adesso” (Benjamin 1997: 47) che prende forma la storia, come sostenuto nella quattordicesima tesi1. Ed è in questo senso che vogliamo leggere l'evento Vaia come kairós, il quale diventa propriamente catastrofe (nel senso comune) quando manchiamo l'occasione che si presenta a noi abitatori del presente, quando non riusciamo a cogliere quel “momento opportuno che rompe la monotonia e la ripetitività del tempo cronologico” (Hardt & Negri 2009: 165). Se Benjamin usa queste “singolarità temporali”, secondo la bella espressione di Lindroos (1998: 11), per rapportarsi alla dimensione politica ed estetica della modernità, la nostra ambizione è impiegare il medesimo approccio cairologico per approcciare la questione ecologica. Del resto, come ci ricorda Latour, l'ecologia è già intrinsecamene politica, in quando negoziazione / scontro /convivenza tra viventi. L'eredità di Benjamin, perciò, non si limita alla decodifica di questo specifico esempio etnografico. Se, come sostiene il nostro filosofo, ogni società immagina se stessa immancabilmente moderna e come tale davanti a una crisi, allora l'Antropocene e il cambiamento climatico costituiscono l'abisso della nostra modernità, il rischio di una frantumazione di ogni possibilità culturale. Viene quasi spontaneo accostare questo senso tragico del divenire storico alle riflessioni di Ernesto de Martino sulla fine del mondo, come impossibilità di esserci in un qualunque orizzonte culturale. Il costante “stato d'eccezione” prefigurato da Benjamin assume oggi i contorni di uno “stato di emergenza”: non come situazione accidentale imprevista, ma come condizione storicamente radicata e (sempre più) manifesta nei disastri ambientali.File | Dimensione | Formato | |
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