Scopo del presente intervento è delineare, all’interno della discussione che nella prima metà degli anni Trenta si sviluppa in Italia attorno alla questione coloniale, il sorgere e il declinare di tendenze miranti al superamento dello Stato-nazione, definendone le connessioni con il dibattito sul corporativismo e sull’‘universalità’ del fascismo, oltre che con le dottrine internazionalistiche allora diffuse. Numerosi, infatti, sono gli intellettuali che nel periodo fascista si sono occupati di queste tematiche, proponendo tanto significative quanto originali soluzioni ai problemi della società contemporanea: se nel quadro successivo alla crisi del 1929 il corporativismo appariva a molti (ad esempio a Mario Gianturco e a Arnaldo Volpicelli) come l’unico strumento in grado di risanare la disastrata economia europea e di neutralizzare i crescenti conflitti in ambito sociale e politico, la sua applicazione alle colonie è stata oggetto di un vivace dibattito ed è stata interpretata come il punto di partenza per la creazione di un nuovo sistema economico mondiale, oltre che per la trasformazione radicale dei rapporti fra le nazioni tramite progetti di ‘internazionalizzazione’ dei territori coloniali (cfr. Gennaro Mondaini e Erberto Casagrandi). Assai significativo in questo contesto è il pensiero del diplomatico Giuseppe De Michelis, il quale, forte delle sue esperienze ginevrine, elaborò nel suo libro del 1934 La corporazione nel mondo un modello di organizzazione internazionale del lavoro basato sul corporativismo coloniale che riscosse un certo successo sia in Italia che all’estero. Tali teorizzazioni, tuttavia, ebbero vita breve: se inizialmente il regime fascista le sostenne (seppur non senza qualche ambiguità), dalla metà del decennio, con la conquista dell’Etiopia e l’adozione degli ideali autarchici, tale sostegno venne meno, sancendo la fine di una breve ma quantomai ricca stagione intellettuale.

Toward Eurafrica! Fascism, Corporativism and Italy’s Colonial Expansion

Francesca Antonini;
2015-01-01

Abstract

Scopo del presente intervento è delineare, all’interno della discussione che nella prima metà degli anni Trenta si sviluppa in Italia attorno alla questione coloniale, il sorgere e il declinare di tendenze miranti al superamento dello Stato-nazione, definendone le connessioni con il dibattito sul corporativismo e sull’‘universalità’ del fascismo, oltre che con le dottrine internazionalistiche allora diffuse. Numerosi, infatti, sono gli intellettuali che nel periodo fascista si sono occupati di queste tematiche, proponendo tanto significative quanto originali soluzioni ai problemi della società contemporanea: se nel quadro successivo alla crisi del 1929 il corporativismo appariva a molti (ad esempio a Mario Gianturco e a Arnaldo Volpicelli) come l’unico strumento in grado di risanare la disastrata economia europea e di neutralizzare i crescenti conflitti in ambito sociale e politico, la sua applicazione alle colonie è stata oggetto di un vivace dibattito ed è stata interpretata come il punto di partenza per la creazione di un nuovo sistema economico mondiale, oltre che per la trasformazione radicale dei rapporti fra le nazioni tramite progetti di ‘internazionalizzazione’ dei territori coloniali (cfr. Gennaro Mondaini e Erberto Casagrandi). Assai significativo in questo contesto è il pensiero del diplomatico Giuseppe De Michelis, il quale, forte delle sue esperienze ginevrine, elaborò nel suo libro del 1934 La corporazione nel mondo un modello di organizzazione internazionale del lavoro basato sul corporativismo coloniale che riscosse un certo successo sia in Italia che all’estero. Tali teorizzazioni, tuttavia, ebbero vita breve: se inizialmente il regime fascista le sostenne (seppur non senza qualche ambiguità), dalla metà del decennio, con la conquista dell’Etiopia e l’adozione degli ideali autarchici, tale sostegno venne meno, sancendo la fine di una breve ma quantomai ricca stagione intellettuale.
2015
Radicals and Reactionaries in Twentieth Century International Thought
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