Abbas Kiarostami è noto per essere uno dei registi cinematografici più importanti dell’ultimo mezzo secolo. Opere come E la vita continua, Il sapore della ciliegia o Close Up hanno raccolto grandi consensi critici e hanno stimolato ponderazioni di grandi studiosi, da Pietro Montani (1999) a Jean-Luc Nancy (2001), da Laura Mulvey (2006), a Jean-Michel Frodon (2021). Anche altri celebri autori – da Godard a Scorsese, da Herzog a Moretti – hanno più volte espresso la loro ammirazione per i suoi film. Eppure, l’artista iraniano, soprattutto negli ultimi venti anni di carriera, ha progressivamente ridotto l’impegno nel cinema di finzione, misurandosi viceversa con altre forme espressive, dalla poesia al teatro, dalle installazioni museali alla pittura, avventurandosi in un paesaggio estetico concettualmente rarefatto e nel contempo colmo di intensi momenti di rilocazione e sperimentazione intermediale (Ugenti 2018). Già in altre occasioni ho avuto modo di sottolineare come la carica teorica di questi lavori addentellasse alcune questioni precipue del cinema e delle culture visuali (Dalla Gassa 2021), ma ho lasciato sullo sfondo operazioni apparentemente meno “problematiche” come le sue serie fotografiche. Si deve sapere che a cavallo dei due secoli, Kiarostami ha realizzato alcune raccolte dedicate a paesaggi naturali, animali e oggetti antropici (strade, muri, finestre), dove spicca l’assenza di figure umane. Si tratta di istantanee organizzate in scansioni tematiche, presentate in mostre e/o in volumi fotografici che tuttavia, forse per via della loro “classicità”, non hanno destato particolare interesse nella letteratura critica (fanno eccezione due brillanti pamphlet di Ciment, 1999 e Ishaghpour, 2012). Il proposito di questo contributo è dunque quello di verificare se, al contrario di quanto finora emerso, anche collezioni come Snow White (1978-2003), Roads and Trees (1978-2003), Rain (2006), The Walls (2008-2010) o A Window into Life (2013) abbiano saputo intercettare questioni proprie della teoria delle immagini, a partire da quelle più recenti riguardanti il rapporto tra teorie ecologiche, antropocene e forme di espressione artistica. In questo modo e in seconda battuta, si intende così collocare il contributo di Abbas Kiarostami non solo all’interno della storia del cinema, bensì nel più ampio sistema delle arti visive.
Sic transit imago mundi. Sulla carica teorica delle fotografie di Abbas Kiarostami
Marco Dalla Gassa
2022-01-01
Abstract
Abbas Kiarostami è noto per essere uno dei registi cinematografici più importanti dell’ultimo mezzo secolo. Opere come E la vita continua, Il sapore della ciliegia o Close Up hanno raccolto grandi consensi critici e hanno stimolato ponderazioni di grandi studiosi, da Pietro Montani (1999) a Jean-Luc Nancy (2001), da Laura Mulvey (2006), a Jean-Michel Frodon (2021). Anche altri celebri autori – da Godard a Scorsese, da Herzog a Moretti – hanno più volte espresso la loro ammirazione per i suoi film. Eppure, l’artista iraniano, soprattutto negli ultimi venti anni di carriera, ha progressivamente ridotto l’impegno nel cinema di finzione, misurandosi viceversa con altre forme espressive, dalla poesia al teatro, dalle installazioni museali alla pittura, avventurandosi in un paesaggio estetico concettualmente rarefatto e nel contempo colmo di intensi momenti di rilocazione e sperimentazione intermediale (Ugenti 2018). Già in altre occasioni ho avuto modo di sottolineare come la carica teorica di questi lavori addentellasse alcune questioni precipue del cinema e delle culture visuali (Dalla Gassa 2021), ma ho lasciato sullo sfondo operazioni apparentemente meno “problematiche” come le sue serie fotografiche. Si deve sapere che a cavallo dei due secoli, Kiarostami ha realizzato alcune raccolte dedicate a paesaggi naturali, animali e oggetti antropici (strade, muri, finestre), dove spicca l’assenza di figure umane. Si tratta di istantanee organizzate in scansioni tematiche, presentate in mostre e/o in volumi fotografici che tuttavia, forse per via della loro “classicità”, non hanno destato particolare interesse nella letteratura critica (fanno eccezione due brillanti pamphlet di Ciment, 1999 e Ishaghpour, 2012). Il proposito di questo contributo è dunque quello di verificare se, al contrario di quanto finora emerso, anche collezioni come Snow White (1978-2003), Roads and Trees (1978-2003), Rain (2006), The Walls (2008-2010) o A Window into Life (2013) abbiano saputo intercettare questioni proprie della teoria delle immagini, a partire da quelle più recenti riguardanti il rapporto tra teorie ecologiche, antropocene e forme di espressione artistica. In questo modo e in seconda battuta, si intende così collocare il contributo di Abbas Kiarostami non solo all’interno della storia del cinema, bensì nel più ampio sistema delle arti visive.File | Dimensione | Formato | |
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