La condizionalità è lo strumento regolativo che funge da raccordo tra politiche attive e passive del lavoro, subordinando il godimento di un sostegno al reddito alla partecipazione del fruitore alle attività erogate dai servizi per l’impiego per la ricollocazione nel mercato. Insieme alle politiche del lavoro, è sempre esistito quell’equilibrio di pesi e contrappesi rappresentato dai doveri in carico ai beneficiari di sussidi economici: ciò che è cambiato, piuttosto, è il contenuto e la propensione verso un sistema rigidamente sanzionatorio, che progressivamente ha compresso la fruizione dei diritti sociali e la libertà di scegliere, secondo le proprie aspirazioni e inclinazioni, il proprio percorso lavorativo. Da qui il senso di un’indagine che fotografi lo “stato di salute” dei diritti sociali, primo fra tutti quello al lavoro, per prevenire possibili future criticità in un tempo in cui non solo il diritto previdenziale, storicamente terreno di gioco prediletto di schemi regolativi condizionati, ne subisce le dirette conseguenze, ma ne viene a fortiori attratto l’alveo assistenziale. Filtrando gli istituti delineati dal legislatore ordinario attraverso le lenti dei principi costituzionali, si individuerà il discrimen tra una condizionalità cattiva e una buona: tra un meccanismo regolativo che abbia come fine esclusivo il contenimento della spesa pubblica attraverso il lavoro purchessia e un altro, antropocentrico, che invece metta al centro l’individuo, prima ancora che il potenziale lavoratore, richiedendone certamente operosità, ma coltivandone l’occupabilità come mezzo di sviluppo personale e partecipazione alla vita politica.

Politiche del lavoro e condizionalità

chiara Garbuio
2021-01-01

Abstract

La condizionalità è lo strumento regolativo che funge da raccordo tra politiche attive e passive del lavoro, subordinando il godimento di un sostegno al reddito alla partecipazione del fruitore alle attività erogate dai servizi per l’impiego per la ricollocazione nel mercato. Insieme alle politiche del lavoro, è sempre esistito quell’equilibrio di pesi e contrappesi rappresentato dai doveri in carico ai beneficiari di sussidi economici: ciò che è cambiato, piuttosto, è il contenuto e la propensione verso un sistema rigidamente sanzionatorio, che progressivamente ha compresso la fruizione dei diritti sociali e la libertà di scegliere, secondo le proprie aspirazioni e inclinazioni, il proprio percorso lavorativo. Da qui il senso di un’indagine che fotografi lo “stato di salute” dei diritti sociali, primo fra tutti quello al lavoro, per prevenire possibili future criticità in un tempo in cui non solo il diritto previdenziale, storicamente terreno di gioco prediletto di schemi regolativi condizionati, ne subisce le dirette conseguenze, ma ne viene a fortiori attratto l’alveo assistenziale. Filtrando gli istituti delineati dal legislatore ordinario attraverso le lenti dei principi costituzionali, si individuerà il discrimen tra una condizionalità cattiva e una buona: tra un meccanismo regolativo che abbia come fine esclusivo il contenimento della spesa pubblica attraverso il lavoro purchessia e un altro, antropocentrico, che invece metta al centro l’individuo, prima ancora che il potenziale lavoratore, richiedendone certamente operosità, ma coltivandone l’occupabilità come mezzo di sviluppo personale e partecipazione alla vita politica.
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