9 Eyes è l’opera, assimilabile all’ambito della “Post-Internet art”, che ha reso celebre Jon Rafman sul finire del decennio scorso. Immagini rubate al sistema di georeferenziazione globale Google Maps, nella sua sotto-applicazione Street View che si propone di mappare e rendere disponibile in visuale soggettiva 1:1 l’intero pianeta, dunque isolate dal flusso attraverso screenshots e trasformate in tableaux. 9 Eyes è un lavoro denso di sottotesti e significati, non ultima la scelta di entrare in un “non visto” della società diurna (Street View non comprende mai immagini notturne), fatto di situazioni borderline di degrado urbano – che richiamano i vecchi topos della fotografia sociale –, ma anche di una visione completamente inedita dei luoghi che, sebbene avvicinati dalla sicurezza dei browser, rappresentano una soluzione assimilabile ad un desiderio psicogeografico, situazionista e contestualmente di ricognizione antropologica, che aggiorna all’era dell’ubiquità digitale l’antica tradizione della flânerie. Termine coniato da Baudelaire, il flâneur si presenta come un esploratore degli spazi urbani, non affrettato, libero ed analitico come un “botanico del marciapiede”, in grado di interrogarsi coscientemente sul rapporto intimo che si genera tra l’individuo, i luoghi e le popolazioni che li abitano, percorrendo i bordi della società dei consumi lontano da ogni spettacolarità funzionalista. Sarà interessante collocare l’opera di Rafman, propria di una selezione esclusivamente creativa, in un complesso rapporto tra il flusso infinito e moltiplicabile delle immagini ed il rimosso sociale dei luoghi fatto emergere dall’automazione algoritmica di Google.

9 Eyes di Jon Rafman: Google Street View nella voragine del reale

Berti, Paolo
2017-01-01

Abstract

9 Eyes è l’opera, assimilabile all’ambito della “Post-Internet art”, che ha reso celebre Jon Rafman sul finire del decennio scorso. Immagini rubate al sistema di georeferenziazione globale Google Maps, nella sua sotto-applicazione Street View che si propone di mappare e rendere disponibile in visuale soggettiva 1:1 l’intero pianeta, dunque isolate dal flusso attraverso screenshots e trasformate in tableaux. 9 Eyes è un lavoro denso di sottotesti e significati, non ultima la scelta di entrare in un “non visto” della società diurna (Street View non comprende mai immagini notturne), fatto di situazioni borderline di degrado urbano – che richiamano i vecchi topos della fotografia sociale –, ma anche di una visione completamente inedita dei luoghi che, sebbene avvicinati dalla sicurezza dei browser, rappresentano una soluzione assimilabile ad un desiderio psicogeografico, situazionista e contestualmente di ricognizione antropologica, che aggiorna all’era dell’ubiquità digitale l’antica tradizione della flânerie. Termine coniato da Baudelaire, il flâneur si presenta come un esploratore degli spazi urbani, non affrettato, libero ed analitico come un “botanico del marciapiede”, in grado di interrogarsi coscientemente sul rapporto intimo che si genera tra l’individuo, i luoghi e le popolazioni che li abitano, percorrendo i bordi della società dei consumi lontano da ogni spettacolarità funzionalista. Sarà interessante collocare l’opera di Rafman, propria di una selezione esclusivamente creativa, in un complesso rapporto tra il flusso infinito e moltiplicabile delle immagini ed il rimosso sociale dei luoghi fatto emergere dall’automazione algoritmica di Google.
2017
La città creativa. Spazi pubblici e luoghi della quotidianità
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