La novella, uno dei generi brevi per eccellenza, ha goduto nel Cinquecento italiano di una certa fortuna. Diversi autori si sono, infatti, cimentati nella realizzazione di raccolte di racconti sul modello del “Decameron”, raccogliendo i singoli frammenti novellistici, di per sé irrelati e autoconclusi, all’interno di cornici volte a dare coesione al testo. Uno dei criteri più sfruttati per garantire organicità consiste nel raggruppare la novelle su base tematica, espediente risalente allo stesso Boccaccio. Le “Cene” di Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, costituiscono un’interessante eccezione a tal proposito, dato che i racconti appartenenti alle tre sezioni in cui l’opera è articolata sono distinti sulla base della loro lunghezza: la Prima Cena contiene le novelle “piccole”, la Seconda quelle “mezzane”, la Terza quelle “grandi”. La brevitas, da sempre considerata una caratteristica fondamentale della novella, viene qui manipolata e piegata dal Lasca, dando vita a singoli frammenti narrativi che pretendono di somigliarsi o di differenziarsi solo per la loro estensione. A fare maggiore chiarezza sul caso delle “Cene” è la lettera che Grazzini ha scritto a Masaccio di Calorigna, nella quale l’autore discute il progetto dell’opera e propone tre novelle, ciascuna rappresentativa della propria categoria di appartenenza. Il presente intervento si propone di analizzare il modo in cui il Lasca ha manipolato la brevitas novellistica per costruire la sua opera. Se il confronto tra alcuni loci rilevanti delle “Cene” e la lettera a Masaccio mette in luce le idee dell’autore sul genere novella, l’analisi di alcuni racconti significativi nell’ambito dello studio della brevità novellistica è utile per verificare se la lunghezza dei testi abbia comportato al contempo esiti specifici a livello tematico che possano rispondere a delle costanti.

La manipolazione della brevitas novellistica nelle "Cene" del Lasca

Palma Flavia
2018-01-01

Abstract

La novella, uno dei generi brevi per eccellenza, ha goduto nel Cinquecento italiano di una certa fortuna. Diversi autori si sono, infatti, cimentati nella realizzazione di raccolte di racconti sul modello del “Decameron”, raccogliendo i singoli frammenti novellistici, di per sé irrelati e autoconclusi, all’interno di cornici volte a dare coesione al testo. Uno dei criteri più sfruttati per garantire organicità consiste nel raggruppare la novelle su base tematica, espediente risalente allo stesso Boccaccio. Le “Cene” di Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, costituiscono un’interessante eccezione a tal proposito, dato che i racconti appartenenti alle tre sezioni in cui l’opera è articolata sono distinti sulla base della loro lunghezza: la Prima Cena contiene le novelle “piccole”, la Seconda quelle “mezzane”, la Terza quelle “grandi”. La brevitas, da sempre considerata una caratteristica fondamentale della novella, viene qui manipolata e piegata dal Lasca, dando vita a singoli frammenti narrativi che pretendono di somigliarsi o di differenziarsi solo per la loro estensione. A fare maggiore chiarezza sul caso delle “Cene” è la lettera che Grazzini ha scritto a Masaccio di Calorigna, nella quale l’autore discute il progetto dell’opera e propone tre novelle, ciascuna rappresentativa della propria categoria di appartenenza. Il presente intervento si propone di analizzare il modo in cui il Lasca ha manipolato la brevitas novellistica per costruire la sua opera. Se il confronto tra alcuni loci rilevanti delle “Cene” e la lettera a Masaccio mette in luce le idee dell’autore sul genere novella, l’analisi di alcuni racconti significativi nell’ambito dello studio della brevità novellistica è utile per verificare se la lunghezza dei testi abbia comportato al contempo esiti specifici a livello tematico che possano rispondere a delle costanti.
2018
Brevitas. Percorsi estetici tra forma breve e frammento nelle letterature occidentali
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