Intendiamo aprire, con questo studio, una discussione sulla poetica e sulla filosofia della natura nell’opera di Mīrzā ‘Abd al-Qādir Bīdil (1644-1720), il maggiore poeta di lingua persiana dell’India mughal, e nella sua scuola. Riprendendo alcune suggestioni di Alessandro Bausani, ormai risalenti a quasi sessant’anni fa, ci concentriamo qui in modo particolare sull’ecologia testuale e metaforica della nuvola (abr) e di alcune realtà fisiche a questa connessa, in modo particolare la bolla (ḥabāb), che si trasformano, nella lettura bideliana, in veri e propri specchi per una riflessione concettuale fondata sul metodo del taḥqīq, insieme “indagine” e “realizzazione”. Il principale testo di nostro interesse è un mathnawī relativamente breve, il Ṭūr-i maʿrifat (Sinai della conoscenza), recentemente tradotto in italiano e tra le opere meno note del maestro di Patna: un vero e proprio safarnāma, o resoconto di viaggio, focalizzato esclusivamente sull’osservazione e la narrazione del paesaggio naturale dell’India del nord nel momento del monsone. A questo poema si affiancano, nell’analisi, alcuni versi tratti dai ghazal di Bīdil e, soprattutto, dall’opera di due suoi discepoli krishnaiti, Amānat Rāy e Shivrām Dās Ḥayā (entrambi attivi nella prima metà del Settecento), che riprendono, nei loro versi persiani, la tematica naturale del maestro declinandola in chiave vedantica e devozionale.
Atmosfere indo-persiane: cumulonembi, bolle e avatāra monsonici in Mīrza 'Abd al-Qādir Bīdil e nella sua scuola
Stefano Pellò
2021-01-01
Abstract
Intendiamo aprire, con questo studio, una discussione sulla poetica e sulla filosofia della natura nell’opera di Mīrzā ‘Abd al-Qādir Bīdil (1644-1720), il maggiore poeta di lingua persiana dell’India mughal, e nella sua scuola. Riprendendo alcune suggestioni di Alessandro Bausani, ormai risalenti a quasi sessant’anni fa, ci concentriamo qui in modo particolare sull’ecologia testuale e metaforica della nuvola (abr) e di alcune realtà fisiche a questa connessa, in modo particolare la bolla (ḥabāb), che si trasformano, nella lettura bideliana, in veri e propri specchi per una riflessione concettuale fondata sul metodo del taḥqīq, insieme “indagine” e “realizzazione”. Il principale testo di nostro interesse è un mathnawī relativamente breve, il Ṭūr-i maʿrifat (Sinai della conoscenza), recentemente tradotto in italiano e tra le opere meno note del maestro di Patna: un vero e proprio safarnāma, o resoconto di viaggio, focalizzato esclusivamente sull’osservazione e la narrazione del paesaggio naturale dell’India del nord nel momento del monsone. A questo poema si affiancano, nell’analisi, alcuni versi tratti dai ghazal di Bīdil e, soprattutto, dall’opera di due suoi discepoli krishnaiti, Amānat Rāy e Shivrām Dās Ḥayā (entrambi attivi nella prima metà del Settecento), che riprendono, nei loro versi persiani, la tematica naturale del maestro declinandola in chiave vedantica e devozionale.File | Dimensione | Formato | |
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