L’attenzione è rivolta alla “Scythia”, al mondo centrasiatico descritto in un importante trattato geografico (il De Asia, con- cepito nel 1461; pubblicato a Venezia nel 1477, in latino, e nel 1544, in volgare) di Pio II. Colpisce l’impiego, da parte di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464, Pontefice dal 1458), di toponimi ed etnonimi classici, diciamo tolemaici, raramente cedendo a una onomastica sempre più attualizzata, come si riscontra nelle relazioni di viaggio, nelle trattazioni, nelle carte e mappe di altri autori precedenti e coevi. Fanno eccezione i rimandi al “Nicolò Venetiano” (N. De’ Conti/”Co- mite di cognome”, Gambaleschia = Khanbalìq/Pechino, e al “gran Cane del Cathaio”) Si prova, da parte nostra, con cautela, ad avanzare l’ipotesi di un atteggiamento, sia aggressivo che difensivo, assunto da Pio II e applicato alle sue opere geografiche. Quel papa – forse indotto a ricalcare tali schemi arcaizzanti, sia per aderire a una “maniera geografica” esemplare, in auge allora, sia al fine di negare un riconoscimento simboleggiato da nomi più aderenti alle realtà etnico/ politiche coeve – potrebbe aver perseguito l’idea, cioè l’ideologia, di fissare, imbrigliare in un reticolo irrigidito quella da lui ridefinita, ridenominata, sulle orme antiche, “infinita barbarie”, mutuata dai Turchi più vicini a noi. “Barbarie” minacciosa, rappresentata dalle popolazioni e dalle statualità venute a succedersi, stabilirsi e conformarsi in Centrasia. Genti, persone, confederazioni sfuggite a una penetrazione cristiano-romana (preparata da missioni, relazioni, narra- zioni assai aggiornate, promettenti, come quelle di Giovanni da Piano Carpine, Guglielmo di Rubruck, Odorico da Pordenone, per non dire di Marco Polo...), e caratterizzate nondimeno dal passaggio e dall’adesione all’islam di quelle aree. Né sarebbe forse così fuori luogo cercare qui, nel cuore “miscredente” dell’Asia barbarica – incasellata, trattenuta nelle maglie della rete rassicurante degli stereotipi – un’altra allegoria, o proiezione, del disordine d’Europa, del gregge sconvolto da ricondursi in un unico grembo: uno solo l’ovile, e uno il Pastore/Imperatore.

Mutazioni celesti, o terrene negazioni e censure dei nomi di genti e provincie della “Scizia infedele”?

Giampiero Bellingeri
2020-01-01

Abstract

L’attenzione è rivolta alla “Scythia”, al mondo centrasiatico descritto in un importante trattato geografico (il De Asia, con- cepito nel 1461; pubblicato a Venezia nel 1477, in latino, e nel 1544, in volgare) di Pio II. Colpisce l’impiego, da parte di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464, Pontefice dal 1458), di toponimi ed etnonimi classici, diciamo tolemaici, raramente cedendo a una onomastica sempre più attualizzata, come si riscontra nelle relazioni di viaggio, nelle trattazioni, nelle carte e mappe di altri autori precedenti e coevi. Fanno eccezione i rimandi al “Nicolò Venetiano” (N. De’ Conti/”Co- mite di cognome”, Gambaleschia = Khanbalìq/Pechino, e al “gran Cane del Cathaio”) Si prova, da parte nostra, con cautela, ad avanzare l’ipotesi di un atteggiamento, sia aggressivo che difensivo, assunto da Pio II e applicato alle sue opere geografiche. Quel papa – forse indotto a ricalcare tali schemi arcaizzanti, sia per aderire a una “maniera geografica” esemplare, in auge allora, sia al fine di negare un riconoscimento simboleggiato da nomi più aderenti alle realtà etnico/ politiche coeve – potrebbe aver perseguito l’idea, cioè l’ideologia, di fissare, imbrigliare in un reticolo irrigidito quella da lui ridefinita, ridenominata, sulle orme antiche, “infinita barbarie”, mutuata dai Turchi più vicini a noi. “Barbarie” minacciosa, rappresentata dalle popolazioni e dalle statualità venute a succedersi, stabilirsi e conformarsi in Centrasia. Genti, persone, confederazioni sfuggite a una penetrazione cristiano-romana (preparata da missioni, relazioni, narra- zioni assai aggiornate, promettenti, come quelle di Giovanni da Piano Carpine, Guglielmo di Rubruck, Odorico da Pordenone, per non dire di Marco Polo...), e caratterizzate nondimeno dal passaggio e dall’adesione all’islam di quelle aree. Né sarebbe forse così fuori luogo cercare qui, nel cuore “miscredente” dell’Asia barbarica – incasellata, trattenuta nelle maglie della rete rassicurante degli stereotipi – un’altra allegoria, o proiezione, del disordine d’Europa, del gregge sconvolto da ricondursi in un unico grembo: uno solo l’ovile, e uno il Pastore/Imperatore.
2020
Imago Orientis. Venezia e gli Orienti, geografie dell’Asia
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