Il contributo studia l'acquisizione da parte di alcune matrone romane di virtutes virili appartenute ai loro padri e trasmesse per via genetica, come abitualmente in una linea di successione maschile nell'ambito dell'aristocrazia. Le particolari condizioni di emergenza della tarda repubblica, che aprono alle matrone spazi di azione in precedenza esclusivamente maschili, giustificano l'esercizio da parte di queste ultime di virtù virili quali il coraggio, la padronanza della parola in sede pubblica, la capacità di comprendere la dialettica politica e agire in politica. Tali prerogative, esercitate in rebus ma soprattutto enfatizzate nella rappresentazione letteraria di queste donne post eventum, si possono identificare in primo luogo nelle figlie di uomini privi di eredi maschi, che quindi devono affidare la propria eredità materiale ma ancor più ideologica alle proprie discendenti. Il contributo analizza i casi di Porcia, figlia di Marco Porcio Catone; Ortensia, figlia di Quinto Ortensio Ortalo; Marcia, figlia di Aulo Cremuzio Cordo.
Il contributo indaga come tra età tardo repubblicana e proto imperiale all'interno dell'aristocrazia romana alcune matrone rivendicarono il possesso di virtutes acquisite per via ereditaria dai propri padri, acquisendo una prassi riconosciuta dall'etica aristocratica in linea di discendenza maschile. Porcia, mulier virilis, esplicitava di aver ereditato il coraggio e l'integrità dal padre Marco Porcio Catone. Ortensia dimostrava una competenza oratoria acquisita dal padre Quinto Ortensio Ortalo, che, ormai defunto, 'parlava' ancora attraverso la voce della propria figlia. Marcia, matrona colta, agiva con coraggio grazie alle virtù ereditate dal padre Aulo Cremuzio Cordo. Porcia, Ortensia e Marcia suppliscono per i loro padri l'assenza di eredi maschi in vita o in grado di raccoglierne l'eredità. In ciò, pur donne, assumono una funzione esemplare in cui proprio la valorizzazione dell’eredità paterna diviene la giustificazione più efficace di iniziative pubbliche necessarie ma estranee al tradizionale agire matronale. Tradiscono la propria identità di genere per valori più alti e impongono significative integrazioni al codice etico aristocratico, in una regia, tuttavia, che non pare essere la loro, ma ancora sembra marcatamente maschile
Il potere della parola femminile: le virtutes ereditarie di Porcia, Ortensia e Marcia al servizio della politica romana.
Rohr Vio F.
2022-01-01
Abstract
Il contributo indaga come tra età tardo repubblicana e proto imperiale all'interno dell'aristocrazia romana alcune matrone rivendicarono il possesso di virtutes acquisite per via ereditaria dai propri padri, acquisendo una prassi riconosciuta dall'etica aristocratica in linea di discendenza maschile. Porcia, mulier virilis, esplicitava di aver ereditato il coraggio e l'integrità dal padre Marco Porcio Catone. Ortensia dimostrava una competenza oratoria acquisita dal padre Quinto Ortensio Ortalo, che, ormai defunto, 'parlava' ancora attraverso la voce della propria figlia. Marcia, matrona colta, agiva con coraggio grazie alle virtù ereditate dal padre Aulo Cremuzio Cordo. Porcia, Ortensia e Marcia suppliscono per i loro padri l'assenza di eredi maschi in vita o in grado di raccoglierne l'eredità. In ciò, pur donne, assumono una funzione esemplare in cui proprio la valorizzazione dell’eredità paterna diviene la giustificazione più efficace di iniziative pubbliche necessarie ma estranee al tradizionale agire matronale. Tradiscono la propria identità di genere per valori più alti e impongono significative integrazioni al codice etico aristocratico, in una regia, tuttavia, che non pare essere la loro, ma ancora sembra marcatamente maschileFile | Dimensione | Formato | |
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