Teologo, filosofo, scrittore, Søren Kierkegaard è uno dei pensatori moderni più impegnati nel tentativo di scrutare le possibilità, gli abissi e le speranze dell’esistenza umana. Le sue riflessioni mettono in piena luce la precarietà dell’essere nell’incertissimo mondo reale. Particolare rilievo assume, nel suo pensiero, la categoria del tragico, sentita come chiave suprema ed essenziale per poter affrontare, vivere e comprendere l’esistenza con autentica passione. Se non si tiene nel giusto conto tale categoria, si rischia di cadere nel ridicolo e nel grottesco, nel gesto delirante di un’immaginaria onnipotenza dell’individuo o nel cinismo feroce di chi attribuisce colpe al meno “abile” o chiama banalmente in causa il caso sfortunato davanti all’evidente sussistere di costellazioni e accadimenti che la tradizione greca chiamava, appunto, tragici. Il filosofo danese insiste sul condizionamento contingente e accidentale dell’esistere. L’essenza del tragico risulta dalla contraddizione fra la precarietà dell’individuo e il suo bisogno d’infinito: queste due realtà contrapposte in un modo irrisolvibile sono, per l’uomo, fonte di sofferenza e minaccia. L’indagine qui proposta tenta di ricostruire la riflessione di Kierkegaard sul tragico, percorrendola nella sua evoluzione e dinamica e ricollegandola nella sua altissima potenzialità critica alla tradizione filosofica che la precede. Dall’attento esame della dialettica kierkegaardiana dei tre “stadi” esistenziali, cioè delle configurazioni dell’esistenza “estetica”, “etica” e “religiosa” nel loro rapporto al tragico, emerge così in quale misura un pensatore come Kierkegaard, in cui la vertigine dell’analisi speculativa concerne sempre l’insuperabilità della disequazione di finito e infinito, possa tuttora sconvolgere il suo lettore se questo è disposto a esporsi alla lettura come quel “singolo” a cui il “fondatore” dell’esistenzialismo moderno ha voluto dedicare tutto il suo impegno.

La contraddizione sofferente. La teoria del tragico in Søren Kierkegaard

FABER, Beatrix Ursula Betti
1998-01-01

Abstract

Teologo, filosofo, scrittore, Søren Kierkegaard è uno dei pensatori moderni più impegnati nel tentativo di scrutare le possibilità, gli abissi e le speranze dell’esistenza umana. Le sue riflessioni mettono in piena luce la precarietà dell’essere nell’incertissimo mondo reale. Particolare rilievo assume, nel suo pensiero, la categoria del tragico, sentita come chiave suprema ed essenziale per poter affrontare, vivere e comprendere l’esistenza con autentica passione. Se non si tiene nel giusto conto tale categoria, si rischia di cadere nel ridicolo e nel grottesco, nel gesto delirante di un’immaginaria onnipotenza dell’individuo o nel cinismo feroce di chi attribuisce colpe al meno “abile” o chiama banalmente in causa il caso sfortunato davanti all’evidente sussistere di costellazioni e accadimenti che la tradizione greca chiamava, appunto, tragici. Il filosofo danese insiste sul condizionamento contingente e accidentale dell’esistere. L’essenza del tragico risulta dalla contraddizione fra la precarietà dell’individuo e il suo bisogno d’infinito: queste due realtà contrapposte in un modo irrisolvibile sono, per l’uomo, fonte di sofferenza e minaccia. L’indagine qui proposta tenta di ricostruire la riflessione di Kierkegaard sul tragico, percorrendola nella sua evoluzione e dinamica e ricollegandola nella sua altissima potenzialità critica alla tradizione filosofica che la precede. Dall’attento esame della dialettica kierkegaardiana dei tre “stadi” esistenziali, cioè delle configurazioni dell’esistenza “estetica”, “etica” e “religiosa” nel loro rapporto al tragico, emerge così in quale misura un pensatore come Kierkegaard, in cui la vertigine dell’analisi speculativa concerne sempre l’insuperabilità della disequazione di finito e infinito, possa tuttora sconvolgere il suo lettore se questo è disposto a esporsi alla lettura come quel “singolo” a cui il “fondatore” dell’esistenzialismo moderno ha voluto dedicare tutto il suo impegno.
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