«È uno scrittore destinato probabilmente a restare senza lettori e senza seguaci» - così sentenziava, parlando di Aleksej Skaldin, il critico E. Lundberg. Se guardiamo alla tragica vicenda personale dell’ultimo simbolista russo, arrestato tre volte nella Russia di Lenin e Stalin e morto in circostanze oscure nel lager di Karaganda due anni prima della fine della seconda guerra mondiale, con una fama assai fragile e un archivio quasi totalmente distrutto, non possiamo che sottoscrivere l’affermazione di Lundberg. Ma basta sfogliare le pagine del romanzo mistico-filosofico Stranstvija i priključenija Nikodima Staršego [Peregrinazioni e avventure di Nikodim il Vecchio], gli articoli sull’arte rivoluzionaria e sull’idea nazionale, il saggio su Lenin, perfino i libri per bambini ideati da Skaldin, per rendersi conto dell’insolita originalità e profondità di questo autore “minore”. E così Skaldin ci ha già “catturato” con la sua fantasia e la potenza evocativa della sua scrittura: siamo “noi” i suoi «lettori» e i suoi «seguaci». Queste sono le emozioni che ci donano opere come il Rasskaz o Gospodine Prosto [Racconto del Signor Semplice], scritto tra il 1919 e il 1924, in cui il tema della città viene affrontato da una prospettiva avanguardistica che concepisce il nucleo urbano come un “luogo” e un “non-luogo”, “russo” e “non-russo”, “familiare” e “straniero” al tempo stesso. Con la città si immedesima il protagonista del racconto, i cui pensieri, sentimenti, desideri, pulsioni ne ridisegnano la topografia. Una città senza nome, quella del Signor Semplice e di Skaldin, che è la città moderna per eccellenza, intesa come «spazio liminare extraetnico e universale in cui indigeno e allogeno, svoë (proprio) e čužoe (altrui) si intrecciano», ma anche come emblema della frammentazione della società russa rivoluzionaria.
La "città-anticittà" dell’ultimo simbolista russo: note sul "Rasskaz o Gospodine Prosto" di A. Skaldin
TORRESIN, LINDA
2013-01-01
Abstract
«È uno scrittore destinato probabilmente a restare senza lettori e senza seguaci» - così sentenziava, parlando di Aleksej Skaldin, il critico E. Lundberg. Se guardiamo alla tragica vicenda personale dell’ultimo simbolista russo, arrestato tre volte nella Russia di Lenin e Stalin e morto in circostanze oscure nel lager di Karaganda due anni prima della fine della seconda guerra mondiale, con una fama assai fragile e un archivio quasi totalmente distrutto, non possiamo che sottoscrivere l’affermazione di Lundberg. Ma basta sfogliare le pagine del romanzo mistico-filosofico Stranstvija i priključenija Nikodima Staršego [Peregrinazioni e avventure di Nikodim il Vecchio], gli articoli sull’arte rivoluzionaria e sull’idea nazionale, il saggio su Lenin, perfino i libri per bambini ideati da Skaldin, per rendersi conto dell’insolita originalità e profondità di questo autore “minore”. E così Skaldin ci ha già “catturato” con la sua fantasia e la potenza evocativa della sua scrittura: siamo “noi” i suoi «lettori» e i suoi «seguaci». Queste sono le emozioni che ci donano opere come il Rasskaz o Gospodine Prosto [Racconto del Signor Semplice], scritto tra il 1919 e il 1924, in cui il tema della città viene affrontato da una prospettiva avanguardistica che concepisce il nucleo urbano come un “luogo” e un “non-luogo”, “russo” e “non-russo”, “familiare” e “straniero” al tempo stesso. Con la città si immedesima il protagonista del racconto, i cui pensieri, sentimenti, desideri, pulsioni ne ridisegnano la topografia. Una città senza nome, quella del Signor Semplice e di Skaldin, che è la città moderna per eccellenza, intesa come «spazio liminare extraetnico e universale in cui indigeno e allogeno, svoë (proprio) e čužoe (altrui) si intrecciano», ma anche come emblema della frammentazione della società russa rivoluzionaria.I documenti in ARCA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.