Sebbene fin dall’inizio degli anni ’80 fosse stata riconosciuta come vero e proprio fossile guida della cultura di Pisa etrusca, la ceramica d’impasto con inclusi di scisto è rimasta piuttosto trascurata per via del suo aspetto poco accattivante. Questa particolare classe è stata individuata e distinta dalle altre produzioni in impasti locali solo nel 1975, grazie alla presenza di un tipo specifico di “degraissant”, ottenuto dalla frantumazione dello scisto. L’aggiunta di scaglie pare essere stata una prerogativa delle officine del bacino dell’Arno e dei suoi affluenti settentrionali, fino alla costa tirrenica, a partire dal VII secolo a.C.: le attestazioni sono distribuite tra la costa Versiliese, la Garfagnana, la Valdinievole, l’entroterra livornese e l'isola d'Elba con caratteri di costanza tecnologica e che riproducono modelli condivisi in tutta l’Etruria Settentrionale, pur attingendo in qualche caso al repertorio vascolare di classi ceramiche più fini. L’esame delle attestazioni ha portato ad elaborare una tipologia ‘aperta’, compatibile con successive integrazioni: essa si basa sulla morfologia dei vasi e tiene conto del criterio tecnologico, ossia della modellazione a mano e della produzione al tornio. I materiali sono distinti in due tipologie aperte in modo da mostrare le eventuali differenze di repertorio tra le forme tornite e quelle realizzate manualmente, così da precisare per entrambe le tecniche quale sia stato l’arco cronologico di utilizzo. Diversamente dalla produzione manuale, sempre numericamente esigua, nell’ambito di quella tornita, il numero di attestazioni è altissimo ed i vasi possiedono un alto grado di serialità e di somiglianza, caratteristiche, queste ultime, conseguite grazie alla ripetizione da parte dei vasai di una sequenza di gesti più o meno consolidata. La sequenza di presentazione delle forme è di tipo tradizionale e prevede in primo luogo le forme aperte (piatti, coppe, ciotole, bacini), poi le forme chiuse (coperchi, olle, dolii, oinochoai, schnabelkannen, situle, crateri, vasi miniaturistici, anfore), ed infine gli utensili, tra cui i foculi ed altri strumenti realizzati nel medesimo impasto (pesi da telaio, rocchetti, sostegni e pilastrini fittili da fornace). Grazie ad alcune analisi archeometriche è stato possibile precisare i caratteri mineralogici e determinare alcuni aspetti inerenti al ciclo produttivo.

La ceramica a scisti microclastici a Pisa e nell’Agro Pisano

MARUCCI, FRANCESCA
In corso di stampa

Abstract

Sebbene fin dall’inizio degli anni ’80 fosse stata riconosciuta come vero e proprio fossile guida della cultura di Pisa etrusca, la ceramica d’impasto con inclusi di scisto è rimasta piuttosto trascurata per via del suo aspetto poco accattivante. Questa particolare classe è stata individuata e distinta dalle altre produzioni in impasti locali solo nel 1975, grazie alla presenza di un tipo specifico di “degraissant”, ottenuto dalla frantumazione dello scisto. L’aggiunta di scaglie pare essere stata una prerogativa delle officine del bacino dell’Arno e dei suoi affluenti settentrionali, fino alla costa tirrenica, a partire dal VII secolo a.C.: le attestazioni sono distribuite tra la costa Versiliese, la Garfagnana, la Valdinievole, l’entroterra livornese e l'isola d'Elba con caratteri di costanza tecnologica e che riproducono modelli condivisi in tutta l’Etruria Settentrionale, pur attingendo in qualche caso al repertorio vascolare di classi ceramiche più fini. L’esame delle attestazioni ha portato ad elaborare una tipologia ‘aperta’, compatibile con successive integrazioni: essa si basa sulla morfologia dei vasi e tiene conto del criterio tecnologico, ossia della modellazione a mano e della produzione al tornio. I materiali sono distinti in due tipologie aperte in modo da mostrare le eventuali differenze di repertorio tra le forme tornite e quelle realizzate manualmente, così da precisare per entrambe le tecniche quale sia stato l’arco cronologico di utilizzo. Diversamente dalla produzione manuale, sempre numericamente esigua, nell’ambito di quella tornita, il numero di attestazioni è altissimo ed i vasi possiedono un alto grado di serialità e di somiglianza, caratteristiche, queste ultime, conseguite grazie alla ripetizione da parte dei vasai di una sequenza di gesti più o meno consolidata. La sequenza di presentazione delle forme è di tipo tradizionale e prevede in primo luogo le forme aperte (piatti, coppe, ciotole, bacini), poi le forme chiuse (coperchi, olle, dolii, oinochoai, schnabelkannen, situle, crateri, vasi miniaturistici, anfore), ed infine gli utensili, tra cui i foculi ed altri strumenti realizzati nel medesimo impasto (pesi da telaio, rocchetti, sostegni e pilastrini fittili da fornace). Grazie ad alcune analisi archeometriche è stato possibile precisare i caratteri mineralogici e determinare alcuni aspetti inerenti al ciclo produttivo.
In corso di stampa
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