Quando nel 1988 Sorgo rosso vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino, Zhang Yimou fa già parte, insieme ad altri registi cinesi, della cosiddetta Quinta generazione, il movimento di giovani talenti che tentano di innovare il cinema del proprio paese a partire dalla prima metà degli anni Ottanta. In breve tempo Zhang diviene il regista cinese più conosciuto al mondo grazie a film come Lanterne rosse (Leone d’argento al Festival di Venezia del 1991) e La storia di Qiu Ju (Leone d’oro 1992). La sua poetica, all’insegna della sperimentazione degli stili e dei generi, e allo stesso tempo improntata alla classicità del linguaggio e della narrazione cinematografica, delinea un profilo autoriale che riesce nel difficile compito di coniugare creazione colta di universi cinematografici sofisticati e autoreferenziali e desiderio artigianale di narrare storie per il più ampio numero di spettatori possibile. Un cinema, insomma, che parla direttamente ai cinesi ma non disdegna di rivolgersi al pubblico di tutto il mondo, e che fa leva su due costanti: la centralità dell’individuo e la fiducia nella sempre attuale modernità delle «ombre elettriche».

Il cinema di Zhang Yimou

Marco Dalla Gassa
2003-01-01

Abstract

Quando nel 1988 Sorgo rosso vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino, Zhang Yimou fa già parte, insieme ad altri registi cinesi, della cosiddetta Quinta generazione, il movimento di giovani talenti che tentano di innovare il cinema del proprio paese a partire dalla prima metà degli anni Ottanta. In breve tempo Zhang diviene il regista cinese più conosciuto al mondo grazie a film come Lanterne rosse (Leone d’argento al Festival di Venezia del 1991) e La storia di Qiu Ju (Leone d’oro 1992). La sua poetica, all’insegna della sperimentazione degli stili e dei generi, e allo stesso tempo improntata alla classicità del linguaggio e della narrazione cinematografica, delinea un profilo autoriale che riesce nel difficile compito di coniugare creazione colta di universi cinematografici sofisticati e autoreferenziali e desiderio artigianale di narrare storie per il più ampio numero di spettatori possibile. Un cinema, insomma, che parla direttamente ai cinesi ma non disdegna di rivolgersi al pubblico di tutto il mondo, e che fa leva su due costanti: la centralità dell’individuo e la fiducia nella sempre attuale modernità delle «ombre elettriche».
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