Nel pieno della Riforma gregoriana, il papa Pasquale II (1099-1118) raccolse attorno a sé le migliori forze intellettuali della Chiesa per sostenere il difficile conflitto contro l’Impero, aperto da Gregorio VII. Nel contesto storico di tale periodo il mosaico absidale della chiesa romana di San Clemente, terminato verosimilmente subito durante il pontificato di Gelasio II (1118-1119), si può considerare quale monumento esemplare della politica artistica della Chiesa riformata. La partecipazione (diretta o indiretta) al progetto decorativo di personaggi quali: Leone Ostiense, il cardinale Anastasio, lo stesso Pasquale II e Giovanni da Gaeta, giustifica l’eccezionalità del monumento e gli conferisce il valore di un manifesto programmatico della Chiesa. Inoltre, la ripresa dell’insegnamento della Retorica (Ars dictaminis) nell’abbazia di Montecassino da parte di Alberico (Flores rhethorici), la concezione eccleisologica di Bruno di Segni espressa nelle Sententiae, e i numerosi trattati di Pier Damiani si rivelano oltremodo decisivi per la comprensione del programma ornamentale. Alla luce di tali fonti letterarie, e di confronti con le precedenti decorazioni absidali romane e campane, il libro esamina l’apparato poetico del mosaico la cui iconografia è composta di immagini e scritture epigrafiche. I due diversi “stili” impiegati nell’arco absidale e nella calotta, non sono il frutto di diverse campagne di lavoro (e quindi non recano una diversa cronologia) ma, come è stato confermato dai recenti restauri, devono ricondursi nell’ambito di un solo intervento e, pertanto, di una ragionata strategia artistica che mirava a differenziare la comunicazione del messaggio figurato. Gli elementi decorativi, tra i quali rientrano anche le numerose iscrizioni (studiate con attenzione agli aspetti paleografici e testuali) rivelano che la concezione e la realizzazione del mosaico fu il prodotto di un pensiero retorico che organizzò, in un modello unico, le conoscenze teologiche, scientifiche e dottrinarie, per esaltare gli ideali della Chiesa riformata. L’iconografia del mosaico rispecchia, infatti, la volontà di diffondere un messaggio cristologico unitario, affidato agli stili retorici desunti dalla Rhetorica ad Herennium: il genere sublime o “grave” (nell’arco absidale) e il genere umile o dimesso (nella calotta). Più enigmatiche e complesse appaiono l’iconografia e l’iscrizione del catino absidale. Le numerose raffigurazioni di animali, disposte tra i tralci di acanto, che funziona come un diagramma mnemonico, sono la trasposizione figurata degli exempla. A S. Clemente, per un sottile gioco di richiami grafici e cromatici desunti dalle pratiche dello scriptorium, e dalle tecniche di memoria e di predicazione, essi si rivelano espressamente indirizzati alla lettura privilegiata dei canonici regolari, per i quali la chiesa era stata ricostruita. In particolare, la presenza di un vero e proprio “volario”, interpretato sulla base degli scritti di sant’Ambrogio (De Arca Noe e Hexaemeron), la cui immagine spicca tra gli altri Padri della Chiesa per il colore rosso dell’aureola, ripresi da Pier Damiani nel Bestiario indirizzato a Desiderio, abate di Montecassiono (De bono religiosi status et variarum animantium tropologia) svela il funzionamento del meccanismo iconografico fondato sul rapporto di reciprocità tra testo e immagine. Tale complesso sistema semantico si integra con le pratiche liturgiche della basilica e corrisponde all’unità funzionale degli spazi architettonici e degli arredi. L’esame paleografico delle iscrizioni, inoltre, rivela stringenti collegamenti con la cultura scrittoria dell’Italia meridionale e, in particolare, con il monastero benedettino di Montecassino, suggerendo la presenza di stretti scambi culturali tra l’abbazia benedettina e Roma, finalizzati alla realizzazione dei principi della Riforma gregoriana. Il volume si conclude con una bibliografia che separa le fonti testuali dagli studi storico-critici, un indice dei manoscritti e un indice dei nomi dei luoghi e dei soggetti. ENGLISH Relying on technical analyses of the apse mosaic of the church of S. Clemente in Rome, and drawing on such modern theorists as Michel Foucault and Mary Carruthers, the book argues for a radical re-reading of one of the most famous monuments of medieval Rome. It demonstrates how images, texts, and inscriptions worked together to provide a multi-vocal “discourse.” The argument is developed through close analysis of the intricate visual elements of the work, by investigating the mosaic’s ornamental structure, its appropriation of diverse pictorial sources, and its stylistic heterogeneity, which are constructed using classical rhetorical principles. It traces the ideas that emerge from this analysis in the works by theologians influenced by the Gregorian Reform, particularly Peter Damian and Bruno of Segni, and it uncovers a deep Gregorian message in the panoply of figures, textual references, and inscriptions.

Il mosaico di S. Clemente a Roma. "Exemplum" della Chiesa riformata

RICCIONI, Stefano
2006-01-01

Abstract

Nel pieno della Riforma gregoriana, il papa Pasquale II (1099-1118) raccolse attorno a sé le migliori forze intellettuali della Chiesa per sostenere il difficile conflitto contro l’Impero, aperto da Gregorio VII. Nel contesto storico di tale periodo il mosaico absidale della chiesa romana di San Clemente, terminato verosimilmente subito durante il pontificato di Gelasio II (1118-1119), si può considerare quale monumento esemplare della politica artistica della Chiesa riformata. La partecipazione (diretta o indiretta) al progetto decorativo di personaggi quali: Leone Ostiense, il cardinale Anastasio, lo stesso Pasquale II e Giovanni da Gaeta, giustifica l’eccezionalità del monumento e gli conferisce il valore di un manifesto programmatico della Chiesa. Inoltre, la ripresa dell’insegnamento della Retorica (Ars dictaminis) nell’abbazia di Montecassino da parte di Alberico (Flores rhethorici), la concezione eccleisologica di Bruno di Segni espressa nelle Sententiae, e i numerosi trattati di Pier Damiani si rivelano oltremodo decisivi per la comprensione del programma ornamentale. Alla luce di tali fonti letterarie, e di confronti con le precedenti decorazioni absidali romane e campane, il libro esamina l’apparato poetico del mosaico la cui iconografia è composta di immagini e scritture epigrafiche. I due diversi “stili” impiegati nell’arco absidale e nella calotta, non sono il frutto di diverse campagne di lavoro (e quindi non recano una diversa cronologia) ma, come è stato confermato dai recenti restauri, devono ricondursi nell’ambito di un solo intervento e, pertanto, di una ragionata strategia artistica che mirava a differenziare la comunicazione del messaggio figurato. Gli elementi decorativi, tra i quali rientrano anche le numerose iscrizioni (studiate con attenzione agli aspetti paleografici e testuali) rivelano che la concezione e la realizzazione del mosaico fu il prodotto di un pensiero retorico che organizzò, in un modello unico, le conoscenze teologiche, scientifiche e dottrinarie, per esaltare gli ideali della Chiesa riformata. L’iconografia del mosaico rispecchia, infatti, la volontà di diffondere un messaggio cristologico unitario, affidato agli stili retorici desunti dalla Rhetorica ad Herennium: il genere sublime o “grave” (nell’arco absidale) e il genere umile o dimesso (nella calotta). Più enigmatiche e complesse appaiono l’iconografia e l’iscrizione del catino absidale. Le numerose raffigurazioni di animali, disposte tra i tralci di acanto, che funziona come un diagramma mnemonico, sono la trasposizione figurata degli exempla. A S. Clemente, per un sottile gioco di richiami grafici e cromatici desunti dalle pratiche dello scriptorium, e dalle tecniche di memoria e di predicazione, essi si rivelano espressamente indirizzati alla lettura privilegiata dei canonici regolari, per i quali la chiesa era stata ricostruita. In particolare, la presenza di un vero e proprio “volario”, interpretato sulla base degli scritti di sant’Ambrogio (De Arca Noe e Hexaemeron), la cui immagine spicca tra gli altri Padri della Chiesa per il colore rosso dell’aureola, ripresi da Pier Damiani nel Bestiario indirizzato a Desiderio, abate di Montecassiono (De bono religiosi status et variarum animantium tropologia) svela il funzionamento del meccanismo iconografico fondato sul rapporto di reciprocità tra testo e immagine. Tale complesso sistema semantico si integra con le pratiche liturgiche della basilica e corrisponde all’unità funzionale degli spazi architettonici e degli arredi. L’esame paleografico delle iscrizioni, inoltre, rivela stringenti collegamenti con la cultura scrittoria dell’Italia meridionale e, in particolare, con il monastero benedettino di Montecassino, suggerendo la presenza di stretti scambi culturali tra l’abbazia benedettina e Roma, finalizzati alla realizzazione dei principi della Riforma gregoriana. Il volume si conclude con una bibliografia che separa le fonti testuali dagli studi storico-critici, un indice dei manoscritti e un indice dei nomi dei luoghi e dei soggetti. ENGLISH Relying on technical analyses of the apse mosaic of the church of S. Clemente in Rome, and drawing on such modern theorists as Michel Foucault and Mary Carruthers, the book argues for a radical re-reading of one of the most famous monuments of medieval Rome. It demonstrates how images, texts, and inscriptions worked together to provide a multi-vocal “discourse.” The argument is developed through close analysis of the intricate visual elements of the work, by investigating the mosaic’s ornamental structure, its appropriation of diverse pictorial sources, and its stylistic heterogeneity, which are constructed using classical rhetorical principles. It traces the ideas that emerge from this analysis in the works by theologians influenced by the Gregorian Reform, particularly Peter Damian and Bruno of Segni, and it uncovers a deep Gregorian message in the panoply of figures, textual references, and inscriptions.
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