L’articolo analizza le tappe che hanno contraddistinto l’evoluzione del principio di leale collaborazione, principale banco di prova dei rapporti tra Stato e Regioni e, più in generale, tra istanze unitarie e autonomistiche. Tale evoluzione risulta contraddistinta da tre fasi: l'originaria elaborazione da parte della Corte costituzionale; la costituzionalizzazione ad opera della Novella del 2001; gli orientamenti giurisprudenziali maturati in epoca successiva alla riforma del Titolo V. Particolare attenzione è stata rivolta agli ambiti competenziali riguardo ai quali il principio è destinato a ricevere applicazione, alle sedi e agli strumenti attraverso i quali deve ricevere concreta realizzazione (collaborazione istituzionale e funzionale). Al riguardo, la Corte costituzionale ha ormai statuito l'applicazione generalizzata del principio in parola rispetto a tutti gli ambiti materiali in cui si riscontrano inestricabili intrecci tra competenze statali e competenze regionali. Nonostante ciò, in virtù degli ormai consolidati orientamenti della Corte costituzionale il principio di leale collaborazione risulta fortemente depotenziato sotto almeno tre profili. In primo luogo, la Corte ha chiarito che è destinato ad operare sul piano meramente amministrativo e non legislativo. In secondo luogo le sedi entro le quali deve avvenire il confronto tra istanze unitarie e istanze regionali non risultano idonee, per composizione e funzioni, ad assicurarne un'efficace applicazione. In terzo ed ultimo luogo la Corte costituzionale, soprattutto in riferimento al principale ambito applicativo del principio, quello della "chiamata in sussidiarietà", ha previsto che possa ricevere concreta realizzazione soltanto attraverso strumenti meramente consultivi e intese provviste di ridotta efficacia (c.d. deboli) o comunque attraverso modalità inidonee a garantire un'effettiva posizione di parità tra Stato e Regioni e volte piuttosto ad assicurare, in ultima istanza, la prevalenza delle istanze unitarie rispetto a quelle autonomistiche. A fronte del conclamato declino del principio di leale collaborazione e nell'ottica di un suo auspicabile rilancio sarebbe pertanto opportuno pervenire alla diretta previsione a livello costituzionale dei suoi strumenti applicativi e delle sedi all'interno delle quali sviluppare il previo confronto tra le contrapposte istanze statali e regionali.

La resistibile ascesa, l’inesorabile declino e l’auspicabile rilancio del principio di leale collaborazione

MANCINI, Marco
2013-01-01

Abstract

L’articolo analizza le tappe che hanno contraddistinto l’evoluzione del principio di leale collaborazione, principale banco di prova dei rapporti tra Stato e Regioni e, più in generale, tra istanze unitarie e autonomistiche. Tale evoluzione risulta contraddistinta da tre fasi: l'originaria elaborazione da parte della Corte costituzionale; la costituzionalizzazione ad opera della Novella del 2001; gli orientamenti giurisprudenziali maturati in epoca successiva alla riforma del Titolo V. Particolare attenzione è stata rivolta agli ambiti competenziali riguardo ai quali il principio è destinato a ricevere applicazione, alle sedi e agli strumenti attraverso i quali deve ricevere concreta realizzazione (collaborazione istituzionale e funzionale). Al riguardo, la Corte costituzionale ha ormai statuito l'applicazione generalizzata del principio in parola rispetto a tutti gli ambiti materiali in cui si riscontrano inestricabili intrecci tra competenze statali e competenze regionali. Nonostante ciò, in virtù degli ormai consolidati orientamenti della Corte costituzionale il principio di leale collaborazione risulta fortemente depotenziato sotto almeno tre profili. In primo luogo, la Corte ha chiarito che è destinato ad operare sul piano meramente amministrativo e non legislativo. In secondo luogo le sedi entro le quali deve avvenire il confronto tra istanze unitarie e istanze regionali non risultano idonee, per composizione e funzioni, ad assicurarne un'efficace applicazione. In terzo ed ultimo luogo la Corte costituzionale, soprattutto in riferimento al principale ambito applicativo del principio, quello della "chiamata in sussidiarietà", ha previsto che possa ricevere concreta realizzazione soltanto attraverso strumenti meramente consultivi e intese provviste di ridotta efficacia (c.d. deboli) o comunque attraverso modalità inidonee a garantire un'effettiva posizione di parità tra Stato e Regioni e volte piuttosto ad assicurare, in ultima istanza, la prevalenza delle istanze unitarie rispetto a quelle autonomistiche. A fronte del conclamato declino del principio di leale collaborazione e nell'ottica di un suo auspicabile rilancio sarebbe pertanto opportuno pervenire alla diretta previsione a livello costituzionale dei suoi strumenti applicativi e delle sedi all'interno delle quali sviluppare il previo confronto tra le contrapposte istanze statali e regionali.
2013
1
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