Il Mo.S.E. (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), come è comunemente denominato, è considerato una delle più imponenti e ambiziose opere di ingegneria idraulica mai intraprese sul territorio italiano. Consiste nel posizionamento di 78 dighe mobili nei tre porti d'ingresso che dividono la laguna di Venezia dal mare e che in caso di alte maree sostenute verranno alzate per impedire all’acqua di entrare. L'esecuzione dei lavori è stata affidata al Consorzio Venezia Nuova, il concessionario unico che agisce per conto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Magistrato alle Acque di Venezia (oggi Soprintendenza Interregionale per le Opere pubbliche del Triveneto). A partire dal XX secolo nella laguna di Venezia il fenomeno delle alte maree, l’acqua alta nella parlata locale, sta aumentando costantemente nella frequenza e nelle escursioni ed è culminato con l’evento del 4 novembre 1966 quando la marea ha raggiunto un massimo di 1,94 metri sopra il livello medio del mare. In questa occasione Venezia e le altre isole della laguna furono sommerse per due giorni. Da questo momento la ricerca di possibili soluzioni si è trasformata in un lungo processo che ha visto il coinvolgimento e l’interessamento di più partner, sia pubblici che privati. Nel corso di questo lungo processo legislativo e tecnico, caratterizzato da ritardi e fenomeni di corruzione, ciò che appare mancare sono delle valutazioni concrete circa l'impatto ambientale dell’opera. Inoltre, l'opinione pubblica è stata ignorata e le conoscenze locali trascurate a favore delle abilità tecniche e ingegneristiche. La molteplicità di operatori coinvolti ha creato una situazione di scarsa trasparenza scientifica, e politica, in cui nessuno sembra assumersi la responsabilità per i lavori mal eseguiti e per i ripetuti ritardi nel portare a termine l’opera. Nel frattempo, i costi via via crescenti sono stati giustificati con un generico investimento pubblico infrastrutturale finalizzato alla sicurezza della laguna e della città di Venezia, mentre alcune categorie economiche – come per esempio i pescatori lagunari che non possono più pescare in determinate aree a causa delle variazioni nella circolazione delle correnti lagunari conseguenti agli interventi svolti nelle bocche di porto - sono diventate delle categorie sacrificabili di fronte al bene comune più elevato rappresentato dalla protezione dalle inondazioni. Tale scelta, legata ad un approccio di tipo top-down, sta comportando anche la perdita di una parte del patrimonio culturale locale legato alla pesca. Infine, la mancanza di forme di comunicazione e di negoziazione, la scelta di trascurare le dimensioni e le implicazioni legali, etiche, affettive e ambientali, nonché l’ormai cinquantennale gestazione del progetto hanno portato alla creazione spontanea di movimenti d’opposizione da parte di cittadini e pescatori (ma anche da parte di esperti di ingegneria idraulica) e alla mancanza diffusa di fiducia nel suo corretto funzionamento. Nel mio saggio esplorerò le reazioni e le percezioni dei cittadini e dei pescatori relative a questa imponente e invasiva infrastruttura, ponendo l’accento sugli aspetti conflittuali che si sono venuti a formare tra la conoscenza locale e la conoscenza tecno-scientifica.

MoSE: (Modulo Sperimentale Elettromeccanico) un conflitto fra saperi locali e saperi tecnici nella laguna di Venezia.

Vianello Rita
2020-01-01

Abstract

Il Mo.S.E. (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), come è comunemente denominato, è considerato una delle più imponenti e ambiziose opere di ingegneria idraulica mai intraprese sul territorio italiano. Consiste nel posizionamento di 78 dighe mobili nei tre porti d'ingresso che dividono la laguna di Venezia dal mare e che in caso di alte maree sostenute verranno alzate per impedire all’acqua di entrare. L'esecuzione dei lavori è stata affidata al Consorzio Venezia Nuova, il concessionario unico che agisce per conto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Magistrato alle Acque di Venezia (oggi Soprintendenza Interregionale per le Opere pubbliche del Triveneto). A partire dal XX secolo nella laguna di Venezia il fenomeno delle alte maree, l’acqua alta nella parlata locale, sta aumentando costantemente nella frequenza e nelle escursioni ed è culminato con l’evento del 4 novembre 1966 quando la marea ha raggiunto un massimo di 1,94 metri sopra il livello medio del mare. In questa occasione Venezia e le altre isole della laguna furono sommerse per due giorni. Da questo momento la ricerca di possibili soluzioni si è trasformata in un lungo processo che ha visto il coinvolgimento e l’interessamento di più partner, sia pubblici che privati. Nel corso di questo lungo processo legislativo e tecnico, caratterizzato da ritardi e fenomeni di corruzione, ciò che appare mancare sono delle valutazioni concrete circa l'impatto ambientale dell’opera. Inoltre, l'opinione pubblica è stata ignorata e le conoscenze locali trascurate a favore delle abilità tecniche e ingegneristiche. La molteplicità di operatori coinvolti ha creato una situazione di scarsa trasparenza scientifica, e politica, in cui nessuno sembra assumersi la responsabilità per i lavori mal eseguiti e per i ripetuti ritardi nel portare a termine l’opera. Nel frattempo, i costi via via crescenti sono stati giustificati con un generico investimento pubblico infrastrutturale finalizzato alla sicurezza della laguna e della città di Venezia, mentre alcune categorie economiche – come per esempio i pescatori lagunari che non possono più pescare in determinate aree a causa delle variazioni nella circolazione delle correnti lagunari conseguenti agli interventi svolti nelle bocche di porto - sono diventate delle categorie sacrificabili di fronte al bene comune più elevato rappresentato dalla protezione dalle inondazioni. Tale scelta, legata ad un approccio di tipo top-down, sta comportando anche la perdita di una parte del patrimonio culturale locale legato alla pesca. Infine, la mancanza di forme di comunicazione e di negoziazione, la scelta di trascurare le dimensioni e le implicazioni legali, etiche, affettive e ambientali, nonché l’ormai cinquantennale gestazione del progetto hanno portato alla creazione spontanea di movimenti d’opposizione da parte di cittadini e pescatori (ma anche da parte di esperti di ingegneria idraulica) e alla mancanza diffusa di fiducia nel suo corretto funzionamento. Nel mio saggio esplorerò le reazioni e le percezioni dei cittadini e dei pescatori relative a questa imponente e invasiva infrastruttura, ponendo l’accento sugli aspetti conflittuali che si sono venuti a formare tra la conoscenza locale e la conoscenza tecno-scientifica.
2020
Il ritmo dell'esperienza. Dieci casi etnogratici per pensare i conflitti ambientali.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/3729705
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