Da anni ormai, la domenica di Pentecoste, petali di rose rosse vengono gettati dall’occhio del Pantheon per celebrare la discesa dello Spirito Santo, in omaggio ad un’usanza millenaria documentata a partire dal XII secolo. Una fonte coeva, il diario di un pellegrino islandese, racconta di come, nel giorno del solstizio d’estate, un raggio di sole entrasse a perpendicolo nella rotonda del Santo Sepolcro attraverso il vuoto in cima alla cupola, a riprova della credenza – all’epoca assai diffusa – che l’Anastasis di Gerusalemme fosse al centro del mondo. Sono solo due esempi, fra i più limpidi, di riuso dell’oculus antico a fini altamente simbolici. La prima parte del libro è incentrata su una nutrita serie di edifici di culto del Medio Evo, costruiti ex novo o di reimpiego, che presentano tracce – fisiche o documentarie – di un’apertura sommitale. La memoria oculus in età medievale non è, però, un fenomeno limitato alla dimensione architettonica. Accade che riaffiori, in modo più o meno esplicito, al centro dei programmi iconografici delle cupole o di altri generi di volte, mediante finte cornici circolari di sapore classico, sofisticati effetti di «trompe l’oeuil», temi alludenti al moto verticale della trascendenza. La seconda parte del volume è quindi rivolta all’illusorietà dei medaglioni sommitali prodotti dall’arte figurativa, tra Medio Evo latino e Bisanzio, e ai loro derivati presenti talvolta nelle conche absidali, i cosiddetti «menischi». Architettonico o evocato in pittura, oculus, al vertice della gerarchia dello spazio sacrale, diventa tramite fra uomo e Dio.

Allo zenit della cupola. L'eredità dell'oculus nell'arte cristiana fra Medio Evo latino e Bisanzio

PIAZZA S
2018-01-01

Abstract

Da anni ormai, la domenica di Pentecoste, petali di rose rosse vengono gettati dall’occhio del Pantheon per celebrare la discesa dello Spirito Santo, in omaggio ad un’usanza millenaria documentata a partire dal XII secolo. Una fonte coeva, il diario di un pellegrino islandese, racconta di come, nel giorno del solstizio d’estate, un raggio di sole entrasse a perpendicolo nella rotonda del Santo Sepolcro attraverso il vuoto in cima alla cupola, a riprova della credenza – all’epoca assai diffusa – che l’Anastasis di Gerusalemme fosse al centro del mondo. Sono solo due esempi, fra i più limpidi, di riuso dell’oculus antico a fini altamente simbolici. La prima parte del libro è incentrata su una nutrita serie di edifici di culto del Medio Evo, costruiti ex novo o di reimpiego, che presentano tracce – fisiche o documentarie – di un’apertura sommitale. La memoria oculus in età medievale non è, però, un fenomeno limitato alla dimensione architettonica. Accade che riaffiori, in modo più o meno esplicito, al centro dei programmi iconografici delle cupole o di altri generi di volte, mediante finte cornici circolari di sapore classico, sofisticati effetti di «trompe l’oeuil», temi alludenti al moto verticale della trascendenza. La seconda parte del volume è quindi rivolta all’illusorietà dei medaglioni sommitali prodotti dall’arte figurativa, tra Medio Evo latino e Bisanzio, e ai loro derivati presenti talvolta nelle conche absidali, i cosiddetti «menischi». Architettonico o evocato in pittura, oculus, al vertice della gerarchia dello spazio sacrale, diventa tramite fra uomo e Dio.
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