L’inventiva di Henry James ha nutrito abbondantemente le drammaturgie moderne: la sua prosa elegante, imbevuta di psicologia, l’uso raffinato del monologo interiore, il dono di saper maneggiare con maestria la suspense e, più in generale, il suo metodo di raccontare adottando il punto di vista di un personaggio esteriorizzandone le reazioni profonde, gli hanno guadagnato un posto d’onore fra gli scrittori tardo ottecenteschi e fin de siècle. Nessun melomane potrà mai scordare l’inquietudine sottile che permea le pagine di The turn of the Screw, per citare uno dei suoi titoli più famosi e meglio adattati per la scena lirica. Sciarrino allude al capolavoro di Benjamin Britten mediante riferimenti formali (forma con variazione e Singspiel) e timbrici (orchestra da camera), come notava Giorgio Pestelli nella sua esemplare recensione della première (che ripubblichiamo in questo volume), ma anche per nessi intertestuali voluti, come la presenza di due bambini, i fratelli Georgia e Davide Lepore, anche se la prima (scelta di gran peso drammatico) sosteneva il ruolo della decrepita Giuliana, e se il secondo interpretò il ruolo dell’ermafrodito solo perché a Firenze nel 1978 fu separato da quello del doppio di Giuliana. Come nota Tarcisio Balbo nell’In breve, la prima rappresentazione di The Turn of the Screw avviene, nel 1954, nella Venezia in cui è ambientato anche The Aspern Papers dello stesso James, ed è sin troppo facile creare, a scopo esplicativo, un artificioso gioco di specchi che rimanda dal modello di Britten all’opera letteraria di James; e ad Aspern di Salvatore Sciarrino che, manco a farlo apposta, è stata rappresentata per la prima volta nel 1978 a Firenze: la stessa città in cui James concepì e terminò il proprio racconto nel 1877. Non solo inquietudine, ma anche orrore circola nell’opera di Sciarrino, a cominciare dall’immagine di Giuliana che il narratore recepisce come una «reliquia» che «portava sopra gli occhi un orrendo schermo verde» (I, n. 4). Vi si aggiunga un parallelo che sorge spontaneo nell’appassionato d’opera, fra la scena del tentato furto in cui il protagonista, invaso dalla sua passione, causa la morte di Giuliana (II, n. 15), e quella in cui Hermann, nella Dama di picche, provoca il decesso dell’incartapecorita contessa nella Dama di picche, roso dalla pazzia, per rubarle il segreto delle tre carte. Scelte drammatiche raffinate, che assecondano magnificamente il carattere della musica di Sciarrino. The Aspern Papers è forse una delle novelle più celebri e riuscite di James, ed è forse tra le sue vicende quella che ha incontrato maggior favore di musicisti e registi, teatrali, cinematografici e televisivi. Dal 1947 a oggi quattro pellicole, a cominciare da The lost Moment (in italiano Gli amanti di Venezia), un thriller di Martin Gabel con molti tratti dell’horror, fra le quali un film per la televisione italiana diretto da Sandro Sequi nel 1972, con Nando Gazzolo, fratello maggiore di Virginio interprete del narratore nella première di Aspern di Sciarrino sei anni dopo (solo un caso?). E se l’adattamento più celebre per il teatro di parola vide impegnata Vanessa Redgrave nel ruolo di Tita al Theatre Royal, Haymarket, London, ben due opere sono state ricavate dal racconto: oltre a quella di Sciarrino (1978) The Aspern Papers di Dominick Argento presentata dall’Opera di Dallas dieci anni dopo. In quest’ultimo lavoro il luogo dell’azione passa da Venezia al Lago di Como, ma già la vicenda era trasmigrata una volta nelle Baleari (Els papers d’Aspern, 1991) e persino nella foresta venezuelana (nel film di Marianne Helmund, 2010). Strano, perché Venezia sembra proprio una sede ideale dove ambientare la fosca vicenda, e venne scelta proprio per il suo fascino cupo da James, che scrisse gran parte del racconto ospite di un’amica americana in un palazzo veneziano, nel febbraio 1887. Sciarrino valorizza questa scelta affidando al timbro del complesso strumentale un ruolo di primo piano, visto che l’opera, in realtà, è prevalentemente recitata dai tre attori. Una sola voce, di soprano, interviene intonando versi di Lorenzo Da Ponte, in maniera emblematica, inspessendo il tessuto simbolico della drammaturgia, pur rimanendo quasi sempre assente dalla scena. Come nota Gianfranco Vinay nel saggio iniziale Introducendo, nel corso di cinque scene, frammenti di celebri testi di Da Ponte tratti dalle Nozze di Figaro, Sciarrino realizza in Aspern uno scarto ironico della stessa natura, ma ben più accentuato per l’importanza che esso assume nella struttura formale dell’opera. Il soprano fuori scena (nella loggia reale, lo ricordiamo, in mezzo agli strumentisti in occasione della première fiorentina) sminuzza il testo in vocalizzi basati su figure musicali del tipo: messe di voce trillate seguite da salti intervallari preceduti da acciaccature. Si viene così a realizzare un doppio straniamento: fra il canto e la scena, e fra il testo di Da Ponte e la musica di Sciarrino. Un altro tipo di straniamento consiste nel fatto che i frammenti realizzano una sorta di commento ironico nei confronti dell’azione in corso. In questo volume pubblichiamo anche un’intervista che Salvatore Sciarrino ha espressamente rilasciato a Anna Maria Morazzoni. Il lettore scoprirà in questa conversazione un uomo colto e curioso, attento a ogni sfumatura del reale, e ben consapevole del suo ruolo nel panorama musicale di oggi (e si legga la ricca bibliografia curata da Emanuele Bonomi in proposito). Con questa ripresa di Aspern, tappa importante del suo teatro di Sciarrino, il Teatro La Fenice riprende un discorso fattosi discontinuo, dopo aver offerto un posto al sole all’enfant prodige siciliano fin dal 1969. Come auspica Franco Rossi, valutando il rapporto tra il compositore e le istituzioni musicale veneziani, ora si apre ancora un’altra storia.

Salvatore Sciarrino, «Aspern»

GIRARDI, Michele
2013-01-01

Abstract

L’inventiva di Henry James ha nutrito abbondantemente le drammaturgie moderne: la sua prosa elegante, imbevuta di psicologia, l’uso raffinato del monologo interiore, il dono di saper maneggiare con maestria la suspense e, più in generale, il suo metodo di raccontare adottando il punto di vista di un personaggio esteriorizzandone le reazioni profonde, gli hanno guadagnato un posto d’onore fra gli scrittori tardo ottecenteschi e fin de siècle. Nessun melomane potrà mai scordare l’inquietudine sottile che permea le pagine di The turn of the Screw, per citare uno dei suoi titoli più famosi e meglio adattati per la scena lirica. Sciarrino allude al capolavoro di Benjamin Britten mediante riferimenti formali (forma con variazione e Singspiel) e timbrici (orchestra da camera), come notava Giorgio Pestelli nella sua esemplare recensione della première (che ripubblichiamo in questo volume), ma anche per nessi intertestuali voluti, come la presenza di due bambini, i fratelli Georgia e Davide Lepore, anche se la prima (scelta di gran peso drammatico) sosteneva il ruolo della decrepita Giuliana, e se il secondo interpretò il ruolo dell’ermafrodito solo perché a Firenze nel 1978 fu separato da quello del doppio di Giuliana. Come nota Tarcisio Balbo nell’In breve, la prima rappresentazione di The Turn of the Screw avviene, nel 1954, nella Venezia in cui è ambientato anche The Aspern Papers dello stesso James, ed è sin troppo facile creare, a scopo esplicativo, un artificioso gioco di specchi che rimanda dal modello di Britten all’opera letteraria di James; e ad Aspern di Salvatore Sciarrino che, manco a farlo apposta, è stata rappresentata per la prima volta nel 1978 a Firenze: la stessa città in cui James concepì e terminò il proprio racconto nel 1877. Non solo inquietudine, ma anche orrore circola nell’opera di Sciarrino, a cominciare dall’immagine di Giuliana che il narratore recepisce come una «reliquia» che «portava sopra gli occhi un orrendo schermo verde» (I, n. 4). Vi si aggiunga un parallelo che sorge spontaneo nell’appassionato d’opera, fra la scena del tentato furto in cui il protagonista, invaso dalla sua passione, causa la morte di Giuliana (II, n. 15), e quella in cui Hermann, nella Dama di picche, provoca il decesso dell’incartapecorita contessa nella Dama di picche, roso dalla pazzia, per rubarle il segreto delle tre carte. Scelte drammatiche raffinate, che assecondano magnificamente il carattere della musica di Sciarrino. The Aspern Papers è forse una delle novelle più celebri e riuscite di James, ed è forse tra le sue vicende quella che ha incontrato maggior favore di musicisti e registi, teatrali, cinematografici e televisivi. Dal 1947 a oggi quattro pellicole, a cominciare da The lost Moment (in italiano Gli amanti di Venezia), un thriller di Martin Gabel con molti tratti dell’horror, fra le quali un film per la televisione italiana diretto da Sandro Sequi nel 1972, con Nando Gazzolo, fratello maggiore di Virginio interprete del narratore nella première di Aspern di Sciarrino sei anni dopo (solo un caso?). E se l’adattamento più celebre per il teatro di parola vide impegnata Vanessa Redgrave nel ruolo di Tita al Theatre Royal, Haymarket, London, ben due opere sono state ricavate dal racconto: oltre a quella di Sciarrino (1978) The Aspern Papers di Dominick Argento presentata dall’Opera di Dallas dieci anni dopo. In quest’ultimo lavoro il luogo dell’azione passa da Venezia al Lago di Como, ma già la vicenda era trasmigrata una volta nelle Baleari (Els papers d’Aspern, 1991) e persino nella foresta venezuelana (nel film di Marianne Helmund, 2010). Strano, perché Venezia sembra proprio una sede ideale dove ambientare la fosca vicenda, e venne scelta proprio per il suo fascino cupo da James, che scrisse gran parte del racconto ospite di un’amica americana in un palazzo veneziano, nel febbraio 1887. Sciarrino valorizza questa scelta affidando al timbro del complesso strumentale un ruolo di primo piano, visto che l’opera, in realtà, è prevalentemente recitata dai tre attori. Una sola voce, di soprano, interviene intonando versi di Lorenzo Da Ponte, in maniera emblematica, inspessendo il tessuto simbolico della drammaturgia, pur rimanendo quasi sempre assente dalla scena. Come nota Gianfranco Vinay nel saggio iniziale Introducendo, nel corso di cinque scene, frammenti di celebri testi di Da Ponte tratti dalle Nozze di Figaro, Sciarrino realizza in Aspern uno scarto ironico della stessa natura, ma ben più accentuato per l’importanza che esso assume nella struttura formale dell’opera. Il soprano fuori scena (nella loggia reale, lo ricordiamo, in mezzo agli strumentisti in occasione della première fiorentina) sminuzza il testo in vocalizzi basati su figure musicali del tipo: messe di voce trillate seguite da salti intervallari preceduti da acciaccature. Si viene così a realizzare un doppio straniamento: fra il canto e la scena, e fra il testo di Da Ponte e la musica di Sciarrino. Un altro tipo di straniamento consiste nel fatto che i frammenti realizzano una sorta di commento ironico nei confronti dell’azione in corso. In questo volume pubblichiamo anche un’intervista che Salvatore Sciarrino ha espressamente rilasciato a Anna Maria Morazzoni. Il lettore scoprirà in questa conversazione un uomo colto e curioso, attento a ogni sfumatura del reale, e ben consapevole del suo ruolo nel panorama musicale di oggi (e si legga la ricca bibliografia curata da Emanuele Bonomi in proposito). Con questa ripresa di Aspern, tappa importante del suo teatro di Sciarrino, il Teatro La Fenice riprende un discorso fattosi discontinuo, dopo aver offerto un posto al sole all’enfant prodige siciliano fin dal 1969. Come auspica Franco Rossi, valutando il rapporto tra il compositore e le istituzioni musicale veneziani, ora si apre ancora un’altra storia.
2013
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