Il I secolo a.C. fu un tempo di crisi e trasformazione per lo stato romano e in questo periodo di guerre esterne e scontri intestini, sovvertimenti sociali, reiterate infrazioni istituzionali le matrone - mogli, madri, figlie e sorelle dei detentori del potere - assunsero un ruolo per la prima volta incisivo nella vita pubblica e nelle dinamiche politiche. In conseguenza dell’assenza protratta dei loro uomini, esiliati o uccisi dai loro nemici politici, al comando di eserciti e province, le donne agirono in loro vece, talvolta come mere esecutrici del mandato della componente maschile della loro famiglia, talvolta concertando le proprie iniziative con essa, talvolta, infine, in termini di assoluta autonomia. Attraverso tali azioni le matrone romane violarono quel canone di comportamento, il modello, che fin dall’età arcaica vincolava le loro iniziative all’esclusivo ambito domestico e le costringeva in pubblico ad un uso contingentato della parola. Quest’ultima era percepita, infatti, come prerogativa esclusiva degli uomini, strumento imprescindibile nelle assemblee, nei tribunali, davanti agli eserciti nell’imminenza della battaglia, ambiti di azione per natura congrui con il loro genere ed estranei a quello femminile. L’esperienza matronale nel I secolo a.C. si concretizzò, al contrario, nella violazione da parte delle donne del perimetro al contempo fisico e ideologico delle domus e nella contestuale acquisizione della comunicazione verbale e si sostanziò nella sperimentazione di nuove modalità di azione: mediazioni politiche; elaborazione di quelle strategie matrimoniali che rappresentavano uno strumento collaudato della politica e che in precedenza erano state di prevalente competenza maschile; gestione finanziaria del patrimonio proprio e familiare; ruolo di consulenza per i propri mariti, figli, fratelli; organizzazione di funerali pubblici intesi come momenti di codificazione di una memoria familiare divenuta collettiva ma anche come occasioni per impostare iniziative politiche; leve di eserciti; elaborazione di strategie belliche; presenza nei tribunali, nel foro, presso il senato e le assemblee del popolo, presso le truppe sul campo di battaglia e negli accampamenti. Le donne divennero quindi co-artefici e custodi del potere politico. Tale invasione di spazi tradizionalmente maschili concorse alla trasformazione della res publica in principato, soluzione che dopo un secolo di laceranti guerre civili assicurò ai Romani la pace e la securitas. Alcune esperienze di questo tempo vennero sì condannate come tradimenti del proprio genere perpetrati dalle donne, pericolosamente assimilate agli uomini, ma altre furono acquisite e divennero in seguito modalità ricorrenti nell’agire delle matrone e in particolare delle ‘imperatrici’.

Le custodi del potere. Donne e politica alla fine della Repubblica romana.

ROHR, Francesca
2019-01-01

Abstract

Il I secolo a.C. fu un tempo di crisi e trasformazione per lo stato romano e in questo periodo di guerre esterne e scontri intestini, sovvertimenti sociali, reiterate infrazioni istituzionali le matrone - mogli, madri, figlie e sorelle dei detentori del potere - assunsero un ruolo per la prima volta incisivo nella vita pubblica e nelle dinamiche politiche. In conseguenza dell’assenza protratta dei loro uomini, esiliati o uccisi dai loro nemici politici, al comando di eserciti e province, le donne agirono in loro vece, talvolta come mere esecutrici del mandato della componente maschile della loro famiglia, talvolta concertando le proprie iniziative con essa, talvolta, infine, in termini di assoluta autonomia. Attraverso tali azioni le matrone romane violarono quel canone di comportamento, il modello, che fin dall’età arcaica vincolava le loro iniziative all’esclusivo ambito domestico e le costringeva in pubblico ad un uso contingentato della parola. Quest’ultima era percepita, infatti, come prerogativa esclusiva degli uomini, strumento imprescindibile nelle assemblee, nei tribunali, davanti agli eserciti nell’imminenza della battaglia, ambiti di azione per natura congrui con il loro genere ed estranei a quello femminile. L’esperienza matronale nel I secolo a.C. si concretizzò, al contrario, nella violazione da parte delle donne del perimetro al contempo fisico e ideologico delle domus e nella contestuale acquisizione della comunicazione verbale e si sostanziò nella sperimentazione di nuove modalità di azione: mediazioni politiche; elaborazione di quelle strategie matrimoniali che rappresentavano uno strumento collaudato della politica e che in precedenza erano state di prevalente competenza maschile; gestione finanziaria del patrimonio proprio e familiare; ruolo di consulenza per i propri mariti, figli, fratelli; organizzazione di funerali pubblici intesi come momenti di codificazione di una memoria familiare divenuta collettiva ma anche come occasioni per impostare iniziative politiche; leve di eserciti; elaborazione di strategie belliche; presenza nei tribunali, nel foro, presso il senato e le assemblee del popolo, presso le truppe sul campo di battaglia e negli accampamenti. Le donne divennero quindi co-artefici e custodi del potere politico. Tale invasione di spazi tradizionalmente maschili concorse alla trasformazione della res publica in principato, soluzione che dopo un secolo di laceranti guerre civili assicurò ai Romani la pace e la securitas. Alcune esperienze di questo tempo vennero sì condannate come tradimenti del proprio genere perpetrati dalle donne, pericolosamente assimilate agli uomini, ma altre furono acquisite e divennero in seguito modalità ricorrenti nell’agire delle matrone e in particolare delle ‘imperatrici’.
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