Oggetto di studio sono le bonifiche a scolo meccanico (attuate grazie all’impiego di macchine idrovore) otto e novecentesche: spazi che interessano una parte consistente del territorio italiano, in particolare le pianure costiere altimetricamente depresse situate lungo le coste, tanto adriatiche quanto tirreniche della penisola, come pure nelle isole maggiori. Il pur vasto repertorio di testi sull’argomento è costituito, in primo luogo, da studi a carattere geostorico che ricostruiscono l’evoluzione idraulica e territoriale di un singolo comprensorio di bonifica; spesso si tratta di lavori di elevata qualità che, tuttavia, rivestono un interesse essenzialmente locale, o, tutt’al più metodologico, ma che, per loro stessa natura, non guardano al fenomeno della bonifica idraulica meccanica nel suo insieme, nonostante l’evidenza di marcati tratti sostanzialmente comuni a tutti territori dove questa sia stata realizzata. Esistono poi studi, di taglio prevalentemente storiografico, che ricostruiscono, questa volta talvolta anche a scala nazionale, elementi specifici connessi allo sviluppo delle bonifiche: ad esempio aspetti strettamente economici (quali l’organizzazione del credito alle bonifiche), oppure sociali come il nesso tra bonifica e rivendicazioni bracciantili, o ancora le relazioni tra bonifica e ideologia ruralista o tra bonifica e malaria. Tuttavia, per trovare una riflessione complessiva sul fenomeno, che consenta di ricomprendere vicende locali ed elementi specifici all’interno di un quadro interpretativo più ampio, occorre risalire agli scritti di Arrigo Serpieri (che datano agli anni Trenta e Quaranta del Novecento). Sebbene significativi riferimenti alla bonifica idraulica meccanica compaiano talvolta in recenti lavori dei geografi e degli storici dell’ambiente, manca, invece, una lettura complessiva di tipo geografico, oltre che storico-sociale: un vuoto che stupisce se si considera quale poderoso fattore di costruzione territoriale la bonifica idraulica meccanica sia stata, quanta parte degli assetti territoriali attuali derivino da quel processo, quante problematiche idrauliche, produttive, insediative trovino in esso spiegazione. Il testo si propone di contribuire a colmare questo vuoto. Il primo capitolo è, dunque, dedicato a “scrollare la polvere” da un tema percepito come obsoleto (e per di più non immune da implicazioni nostalgiche). Per queste ragioni occorre definire, in senso contenutistico, spaziale e temporale, lo specifico oggetto di studio (la bonifica idraulica meccanica otto e novecentesca in Italia, con particolare riferimento alle pianure retrocostiere alto-adriatiche e venete nella fattispecie). Inoltre, è essenziale chiamare a raccolta le molteplici ragioni per occuparsi di territori di bonifica oggi e in una chiave contemporanea (sebbene illuminata dalla profondità delle vicende storiche): ragioni che spaziano da quelle idrogeologiche e ambientali, a quelle urbanistiche, passando per quelle patrimoniali e memoriali. Il secondo capitolo affronta la complessità storica della bonifica idraulica meccanica, fenomeno che può essere interpretato (ed è effettivamente stato inteso dai suoi promotori e fruitori) da diversi punti di vista. In un’ottica strettamente economica, la bonifica è stata un’impresa produttiva, un investimento (tanto per il pubblico, quanto per i privati) sulla redditività del quale vale la pena riflettere. Essa è stata pure intesa come missione evergetica e filantropica, ammantata di un paternalismo all’insegna della stabilità sociale: si voleva promuovere la dignità e l’insediamento stabile, ma pure il controllo delle classi subalterne (tanto che, nel nostro Paese, la bonifica di fatto si pone a lungo in alternativa alla riforma agraria). Né si può trascurare che la bonifica è un atto demiurgico e auto-celebrativo: aspetto che si ritrova tanto nelle “campagna di fondazione” delle agenzie private ottocentesche, quanto, amplificato, nella retorica del regime fascista. La creazione di questi nuovi territori è stata pure sostenuta da motivazioni igienico-sanitarie, dato che la bonifica era concepita (a torto o a ragione) come chiave di volta della lotta alla secolare piaga della malaria endemica. Infine, la bonifica può essere interpretata come saggio di pianificazione territoriale integrata e “integrale” o come vero e proprio “totalitarismo territoriale”: e ciò non solo in relazione al regime fascista, ma pure, in senso più lato, come proiezione territoriale dello Stato moderno. Alle citate ragioni della bonifica è utile giustapporre i “torti”, rilevabili implicitamente nei numerosi episodi di resistenza e opposizione alla bonifica (in ultima analisi, reazioni alla cancellazione di zone umide che alimentavano specifiche economie di mercato e di sussistenza), oppure denunciati dagli esponenti del pensiero ambientalista nel secondo Dopoguerra e riferibili alle problematiche ecologiche e idrogeologiche. Il terzo capitolo porta specificamente al centro dell’attenzione un aspetto già presente in nuce nel secondo (ad esempio nelle considerazioni sulla produttività agricola o sul controllo/privatizzazione dello spazio), ovvero il legame tra bonifica idraulica meccanica e modernità. In questa sede l’impostazione geostorica si riallaccia espressamente al piano teorico-epistemologico. Ci si chiede anzitutto se sia legittimo considerare la bonifica idraulica meccanica come “bonifica moderna”, se essa costituisca, almeno per il contesto italiano, una cesura di modernità rispetto alle precedenti e secolari pratiche di drenaggio e colmata. Per rispondere a questa domanda viene preliminarmente chiamata in causa la questione dell’essenza della modernità, dei rischi insiti della sua costruzione retorica e dei rispettivi antidoti: per non cedere alla tentazione banalizzante di una modernità che irrompe dal nulla, facendo piazza pulita di quanto precedentemente realizzato, occorre tenere presente la lezione della storia e quella della comparazione. Segue un affondo territoriale specifico (le bonifiche nel territorio della Serenissima) che illustra come, effettivamente, in questo contesto la bonifica idraulica meccanica abbia effettivamente rappresentato l’avvento della modernità. Inoltre, vengono presi in considerazione due caratteri schiettamente moderni della bonifica idraulica meccanica. Anzitutto, il carattere di mimesi della carta geografica (ben solido è il nesso tra cartografia e modernità) che i territori di bonifica mostrano nei loro spazi geometrici, “piatti”, fortemente omogenei, dalle linee orientate in maniera unitaria. In secondo luogo, il carattere di “macchina territoriale” (ed è superfluo ricordare che la macchina sia un archetipo della modernità). Infatti, in questi spazi la natura macchinica sembra travalicare le idrovore, per cui l’intero territorio di bonifica appare come una sorta di estensione spaziale della macchina idraulica. Nel capitolo quarto viene posato sulla bonifica uno sguardo di tipo geoculturale, al fine di delineare i caratteri iconici e simbolici dei paesaggi di bonifica così come sono stati trasfigurati dalla cultura, in particolare tramite le espressioni letterarie e visuali. Prende forma in tal modo una sorta di estetica della bonifica, a sua volta tributaria dell’estetica delle pianure e degli spazi aperti, ma pure del mito modernista della macchina e delle grandi realizzazioni ingegneristiche. Specifici approfondimenti sono poi riservati alla produzione cinematografica (documentaristica e non), alla fotografia e alla pittura. Le prime risentono maggiormente di un’impronta propagandistica che travalica la produzione di regime per proiettare retoriche e cliché (non solo sulle bonifiche, ma sulle paludi che agiscono da contraltare simbolico) anche nel secondo Dopoguerra: La produzione letteraria appare, invece, più libera nei suoi approcci ai paesaggi delle terre bonificate. Infine, il quinto capitolo è dedicato al presente della bonifica, al destino di un territorio e di un paesaggio costruito che sopravvive all’epoca che lo ha concepito e realizzato. L’inadeguatezza contemporanea della concezione tradizionale della bonifica si rivela in molteplici aspetti che spaziano dall’abbandono rurale, alla produttività agricola, alla gestione del rischio idraulico. Per tali ragioni è opportuno un dibattito sul destino della bonifica idraulica meccanica (o almeno di certi suoi comprensori), che contempli la possibilità di una “de-bonificazione”, di una riconversione nella forma, ad esempio, di ripristino delle zone umide o di una forestazione che possa produrre brani di bosco planiziale. Tuttavia, nonostante gli errori commessi e le ricadute negative, i paesaggi e i territori della bonifica (o almeno alcuni di essi) costituiscono pur sempre la testimonianza di un’epoca, un palinsesto di modernità che solo puntualmente è stato fatto oggetto di patrimonializzazione e tutela (si pensi alle idrovore trasformate in Musei della bonifica). A ciò si ricollega, peraltro, la possibilità di promuovere forme di fruizione sostenibile delle aree di bonifica, non avulse dalla comprensione del suo disegno territoriale.

Terre, acque, macchine. Geografie della bonifica in Italia tra Ottocento e Novecento.

CAVALLO, Federica
2011-01-01

Abstract

Oggetto di studio sono le bonifiche a scolo meccanico (attuate grazie all’impiego di macchine idrovore) otto e novecentesche: spazi che interessano una parte consistente del territorio italiano, in particolare le pianure costiere altimetricamente depresse situate lungo le coste, tanto adriatiche quanto tirreniche della penisola, come pure nelle isole maggiori. Il pur vasto repertorio di testi sull’argomento è costituito, in primo luogo, da studi a carattere geostorico che ricostruiscono l’evoluzione idraulica e territoriale di un singolo comprensorio di bonifica; spesso si tratta di lavori di elevata qualità che, tuttavia, rivestono un interesse essenzialmente locale, o, tutt’al più metodologico, ma che, per loro stessa natura, non guardano al fenomeno della bonifica idraulica meccanica nel suo insieme, nonostante l’evidenza di marcati tratti sostanzialmente comuni a tutti territori dove questa sia stata realizzata. Esistono poi studi, di taglio prevalentemente storiografico, che ricostruiscono, questa volta talvolta anche a scala nazionale, elementi specifici connessi allo sviluppo delle bonifiche: ad esempio aspetti strettamente economici (quali l’organizzazione del credito alle bonifiche), oppure sociali come il nesso tra bonifica e rivendicazioni bracciantili, o ancora le relazioni tra bonifica e ideologia ruralista o tra bonifica e malaria. Tuttavia, per trovare una riflessione complessiva sul fenomeno, che consenta di ricomprendere vicende locali ed elementi specifici all’interno di un quadro interpretativo più ampio, occorre risalire agli scritti di Arrigo Serpieri (che datano agli anni Trenta e Quaranta del Novecento). Sebbene significativi riferimenti alla bonifica idraulica meccanica compaiano talvolta in recenti lavori dei geografi e degli storici dell’ambiente, manca, invece, una lettura complessiva di tipo geografico, oltre che storico-sociale: un vuoto che stupisce se si considera quale poderoso fattore di costruzione territoriale la bonifica idraulica meccanica sia stata, quanta parte degli assetti territoriali attuali derivino da quel processo, quante problematiche idrauliche, produttive, insediative trovino in esso spiegazione. Il testo si propone di contribuire a colmare questo vuoto. Il primo capitolo è, dunque, dedicato a “scrollare la polvere” da un tema percepito come obsoleto (e per di più non immune da implicazioni nostalgiche). Per queste ragioni occorre definire, in senso contenutistico, spaziale e temporale, lo specifico oggetto di studio (la bonifica idraulica meccanica otto e novecentesca in Italia, con particolare riferimento alle pianure retrocostiere alto-adriatiche e venete nella fattispecie). Inoltre, è essenziale chiamare a raccolta le molteplici ragioni per occuparsi di territori di bonifica oggi e in una chiave contemporanea (sebbene illuminata dalla profondità delle vicende storiche): ragioni che spaziano da quelle idrogeologiche e ambientali, a quelle urbanistiche, passando per quelle patrimoniali e memoriali. Il secondo capitolo affronta la complessità storica della bonifica idraulica meccanica, fenomeno che può essere interpretato (ed è effettivamente stato inteso dai suoi promotori e fruitori) da diversi punti di vista. In un’ottica strettamente economica, la bonifica è stata un’impresa produttiva, un investimento (tanto per il pubblico, quanto per i privati) sulla redditività del quale vale la pena riflettere. Essa è stata pure intesa come missione evergetica e filantropica, ammantata di un paternalismo all’insegna della stabilità sociale: si voleva promuovere la dignità e l’insediamento stabile, ma pure il controllo delle classi subalterne (tanto che, nel nostro Paese, la bonifica di fatto si pone a lungo in alternativa alla riforma agraria). Né si può trascurare che la bonifica è un atto demiurgico e auto-celebrativo: aspetto che si ritrova tanto nelle “campagna di fondazione” delle agenzie private ottocentesche, quanto, amplificato, nella retorica del regime fascista. La creazione di questi nuovi territori è stata pure sostenuta da motivazioni igienico-sanitarie, dato che la bonifica era concepita (a torto o a ragione) come chiave di volta della lotta alla secolare piaga della malaria endemica. Infine, la bonifica può essere interpretata come saggio di pianificazione territoriale integrata e “integrale” o come vero e proprio “totalitarismo territoriale”: e ciò non solo in relazione al regime fascista, ma pure, in senso più lato, come proiezione territoriale dello Stato moderno. Alle citate ragioni della bonifica è utile giustapporre i “torti”, rilevabili implicitamente nei numerosi episodi di resistenza e opposizione alla bonifica (in ultima analisi, reazioni alla cancellazione di zone umide che alimentavano specifiche economie di mercato e di sussistenza), oppure denunciati dagli esponenti del pensiero ambientalista nel secondo Dopoguerra e riferibili alle problematiche ecologiche e idrogeologiche. Il terzo capitolo porta specificamente al centro dell’attenzione un aspetto già presente in nuce nel secondo (ad esempio nelle considerazioni sulla produttività agricola o sul controllo/privatizzazione dello spazio), ovvero il legame tra bonifica idraulica meccanica e modernità. In questa sede l’impostazione geostorica si riallaccia espressamente al piano teorico-epistemologico. Ci si chiede anzitutto se sia legittimo considerare la bonifica idraulica meccanica come “bonifica moderna”, se essa costituisca, almeno per il contesto italiano, una cesura di modernità rispetto alle precedenti e secolari pratiche di drenaggio e colmata. Per rispondere a questa domanda viene preliminarmente chiamata in causa la questione dell’essenza della modernità, dei rischi insiti della sua costruzione retorica e dei rispettivi antidoti: per non cedere alla tentazione banalizzante di una modernità che irrompe dal nulla, facendo piazza pulita di quanto precedentemente realizzato, occorre tenere presente la lezione della storia e quella della comparazione. Segue un affondo territoriale specifico (le bonifiche nel territorio della Serenissima) che illustra come, effettivamente, in questo contesto la bonifica idraulica meccanica abbia effettivamente rappresentato l’avvento della modernità. Inoltre, vengono presi in considerazione due caratteri schiettamente moderni della bonifica idraulica meccanica. Anzitutto, il carattere di mimesi della carta geografica (ben solido è il nesso tra cartografia e modernità) che i territori di bonifica mostrano nei loro spazi geometrici, “piatti”, fortemente omogenei, dalle linee orientate in maniera unitaria. In secondo luogo, il carattere di “macchina territoriale” (ed è superfluo ricordare che la macchina sia un archetipo della modernità). Infatti, in questi spazi la natura macchinica sembra travalicare le idrovore, per cui l’intero territorio di bonifica appare come una sorta di estensione spaziale della macchina idraulica. Nel capitolo quarto viene posato sulla bonifica uno sguardo di tipo geoculturale, al fine di delineare i caratteri iconici e simbolici dei paesaggi di bonifica così come sono stati trasfigurati dalla cultura, in particolare tramite le espressioni letterarie e visuali. Prende forma in tal modo una sorta di estetica della bonifica, a sua volta tributaria dell’estetica delle pianure e degli spazi aperti, ma pure del mito modernista della macchina e delle grandi realizzazioni ingegneristiche. Specifici approfondimenti sono poi riservati alla produzione cinematografica (documentaristica e non), alla fotografia e alla pittura. Le prime risentono maggiormente di un’impronta propagandistica che travalica la produzione di regime per proiettare retoriche e cliché (non solo sulle bonifiche, ma sulle paludi che agiscono da contraltare simbolico) anche nel secondo Dopoguerra: La produzione letteraria appare, invece, più libera nei suoi approcci ai paesaggi delle terre bonificate. Infine, il quinto capitolo è dedicato al presente della bonifica, al destino di un territorio e di un paesaggio costruito che sopravvive all’epoca che lo ha concepito e realizzato. L’inadeguatezza contemporanea della concezione tradizionale della bonifica si rivela in molteplici aspetti che spaziano dall’abbandono rurale, alla produttività agricola, alla gestione del rischio idraulico. Per tali ragioni è opportuno un dibattito sul destino della bonifica idraulica meccanica (o almeno di certi suoi comprensori), che contempli la possibilità di una “de-bonificazione”, di una riconversione nella forma, ad esempio, di ripristino delle zone umide o di una forestazione che possa produrre brani di bosco planiziale. Tuttavia, nonostante gli errori commessi e le ricadute negative, i paesaggi e i territori della bonifica (o almeno alcuni di essi) costituiscono pur sempre la testimonianza di un’epoca, un palinsesto di modernità che solo puntualmente è stato fatto oggetto di patrimonializzazione e tutela (si pensi alle idrovore trasformate in Musei della bonifica). A ciò si ricollega, peraltro, la possibilità di promuovere forme di fruizione sostenibile delle aree di bonifica, non avulse dalla comprensione del suo disegno territoriale.
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