Nell’ultima fiaba teatrale Zeim, re de’ geni, il conte Carlo Gozzi evidenzia la natura rivelatrice di uno specchio magico, utile per verificare la tenuta della moralità sulla scena delle maschere: il riferimento alla specularità mette in relazione la sfera dell’immaginazione con quella della quotidianità. Nella produzione successiva, definita “spagnolesca” in base alla prevalenza delle fonti drammatiche spagnole, lo scrittore accentua l’invenzione di una lingua teatrale che, simile a un mosaico di varianti letterarie e idiomatiche, guarda sempre più alla realtà contemporanea. Gli esiti del teatro di Carlo Gozzi, dalla stagione 1767-1768 in poi, si muovono lungo due direttrici opposte: da un lato, controlla la ricomposizione letteraria dei suoi copioni; dall’altro, invece, dedica una cura “segreta” alle modalità del rappresentare, sino a forzare il ruolo delle singole maschere oltre i limiti già formulati sulla scena veneziana di metà Settecento. L’esito dell’attività drammatica del conte Gozzi si accredita, dunque, come una tendenza contraria ai criteri che sperimentano le generazioni dei commediografi di fine Settecento. Anche nella sua produzione d’ispirazione spagnola trionfa il principio di contraddizione che, al di là dell’apporto delle sue maschere, investe improbabili caratteri e vicende “flebili”. L’arte rappresentativa di Carlo Gozzi incontrerà una fortuna duratura nei secoli successivi, dopo che sarà sottoposta integralmente all’attenzione di altri scrittori moderni e, soprattutto, al vaglio degli uomini di scena.

Riflessi opachi sulla scena delle maschere di Carlo Gozzi

ALBERTI, Carmelo
2008-01-01

Abstract

Nell’ultima fiaba teatrale Zeim, re de’ geni, il conte Carlo Gozzi evidenzia la natura rivelatrice di uno specchio magico, utile per verificare la tenuta della moralità sulla scena delle maschere: il riferimento alla specularità mette in relazione la sfera dell’immaginazione con quella della quotidianità. Nella produzione successiva, definita “spagnolesca” in base alla prevalenza delle fonti drammatiche spagnole, lo scrittore accentua l’invenzione di una lingua teatrale che, simile a un mosaico di varianti letterarie e idiomatiche, guarda sempre più alla realtà contemporanea. Gli esiti del teatro di Carlo Gozzi, dalla stagione 1767-1768 in poi, si muovono lungo due direttrici opposte: da un lato, controlla la ricomposizione letteraria dei suoi copioni; dall’altro, invece, dedica una cura “segreta” alle modalità del rappresentare, sino a forzare il ruolo delle singole maschere oltre i limiti già formulati sulla scena veneziana di metà Settecento. L’esito dell’attività drammatica del conte Gozzi si accredita, dunque, come una tendenza contraria ai criteri che sperimentano le generazioni dei commediografi di fine Settecento. Anche nella sua produzione d’ispirazione spagnola trionfa il principio di contraddizione che, al di là dell’apporto delle sue maschere, investe improbabili caratteri e vicende “flebili”. L’arte rappresentativa di Carlo Gozzi incontrerà una fortuna duratura nei secoli successivi, dopo che sarà sottoposta integralmente all’attenzione di altri scrittori moderni e, soprattutto, al vaglio degli uomini di scena.
2008
Carlo Gozzi. I drammi ‘spagnoleschi’
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