All’interno del volume indicato, il presente saggio analizza il secondo volume chassidico di Martin Buber, “La leggenda del Baalschem” (1908). Ne ricostruisce la genesi, ripercorre il lavoro filologico e traduttivo condotto da Buber sui numerosissimi e spesso difficilmente decifrabili testimoni dell’originale ebraico e yiddish, esamina i risultati linguistici e narrativi in tedesco, osserva che il rapporto con l’originale è talmente complesso – le differenze sono enormi – da non consentire di parlare di una traduzione/edizione, ma di una vera e propria riscrittura. Gli intenti letterari e politico-culturali di Buber nel pubblicare questo libro sono gli stessi che hanno guidato la precedente edizione delle storie di Nachman, solo – visto l’intensificarsi e il radicalizzarsi dell’impegno cultursionista di Buber – più marcati, più espliciti, davvero militanti. L’universo ebraico-orientale che emerge da questo secondo volume – l’universo del Baalschem, il fondatore del movimento chassidico – è infinitamente più ricco, complesso, variegato e concreto del mondo fiabesco di Rabbi Nachman: è una vera fenomenologia della spiritualità “ostjüdisch” fra Settecento e Ottocento. Nella sua ricaduta politica, il “Baalschem” è molto più significativo del suo predecessore: con questo volume del 1908, alla cultura ebraica si aprono definitivamente le porte all’interlocuzione con la cultura tedesca. Sulla scorta del successo e della risonanza di questo libro (che Buber ripubblicherà in successive rielaborazioni fino alla sua morte) Buber diventerà, a partire dal 1909 (primo “Discorso sull’ebraismo” a Praga) l’intellettuale più noto e influente dell’ebraismo mitteleuropeo, e il vero costruttore della rinascenza ebraica e della nuova identità postassimilatoria.

La leggenda del Baalschem.Prefazione

LAVAGETTO, Andreina
2008-01-01

Abstract

All’interno del volume indicato, il presente saggio analizza il secondo volume chassidico di Martin Buber, “La leggenda del Baalschem” (1908). Ne ricostruisce la genesi, ripercorre il lavoro filologico e traduttivo condotto da Buber sui numerosissimi e spesso difficilmente decifrabili testimoni dell’originale ebraico e yiddish, esamina i risultati linguistici e narrativi in tedesco, osserva che il rapporto con l’originale è talmente complesso – le differenze sono enormi – da non consentire di parlare di una traduzione/edizione, ma di una vera e propria riscrittura. Gli intenti letterari e politico-culturali di Buber nel pubblicare questo libro sono gli stessi che hanno guidato la precedente edizione delle storie di Nachman, solo – visto l’intensificarsi e il radicalizzarsi dell’impegno cultursionista di Buber – più marcati, più espliciti, davvero militanti. L’universo ebraico-orientale che emerge da questo secondo volume – l’universo del Baalschem, il fondatore del movimento chassidico – è infinitamente più ricco, complesso, variegato e concreto del mondo fiabesco di Rabbi Nachman: è una vera fenomenologia della spiritualità “ostjüdisch” fra Settecento e Ottocento. Nella sua ricaduta politica, il “Baalschem” è molto più significativo del suo predecessore: con questo volume del 1908, alla cultura ebraica si aprono definitivamente le porte all’interlocuzione con la cultura tedesca. Sulla scorta del successo e della risonanza di questo libro (che Buber ripubblicherà in successive rielaborazioni fino alla sua morte) Buber diventerà, a partire dal 1909 (primo “Discorso sull’ebraismo” a Praga) l’intellettuale più noto e influente dell’ebraismo mitteleuropeo, e il vero costruttore della rinascenza ebraica e della nuova identità postassimilatoria.
2008
Martin Buber. Storie e leggende chassidiche
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