Nell’ultimo decennio la vicenda storica okinawana è andata assumendo una posizione centrale nei discorsi politici formulati dentro e fuori la provincia, attirando una crescente attenzione da parte di studiosi di vari Paesi. Tale interesse è collegato, in buona misura, all’attivismo politico che si batte contro la massiccia presenza delle basi militari statunitensi a Okinawa, il quale ha assunto un rinnovato vigore a seguito dell’ennesimo atto di violenza compiuto, nel settembre 1995, da tre Marines contro una giovane dodicenne. Oltre a riproporre il tema della sicurezza nella regione dell’Asia e del Pacifico (che, in base agli accordi nippo-statunitensi, grava prevalentemente su Okinawa) e ad alimentare le rivendicazioni della popolazione locale per la riduzione dell’arsenale militare in loco, l’episodio ha indotto studiosi di varie discipline a riconsiderare la posizione di questa regione come una realtà subordinata all’ordine nazionale e regionale. In effetti, sin dall’incorporazione dell’ex regno delle Ryūkyū da parte dello Stato Meiji nel 1879, Okinawa ha svolto un ruolo subalterno rispetto alle priorità politiche, economiche e strategiche del Giappone. Pur asserendo che questo territorio era parte integrante della nazione, la nuova amministrazione contribuì a consolidare - attraverso l’impiego di misure politiche, discorsi ufficiali e pratiche sociali - una visione di arretratezza e di inadeguatezza della popolazione locale a causa delle condizioni economiche, sociali e culturali qui prevalenti. Sino al periodo bellico, inoltre, Okinawa costituì una zona intermedia tra madrepatria e colonie, in particolare Taiwan, acquisita dal Giappone al termine del conflitto nippo-cinese nel 1895, e fu sottoposta a uno sfruttamento economico che ha indotto alcuni studiosi a includerla negli studi del colonialismo giapponese. Negli ultimi, drammatici mesi del conflitto, quando la minaccia di un’invasione del Giappone da parte degli Alleati si fece sempre più consistente, Okinawa divenne una zona di frontiera ove confinare l’estremo tentativo di tenere il nemico lontano dal cuore dell’Impero sino a quando non si fosse giunti a trattare la resa. La successiva occupazione statunitense e la requisizione di ampie aree ove installare basi militari trasformò la regione nel principale baluardo anticomunista in Asia; e né la riunificazione al Giappone, avvenuta nel 1972, né la fine della guerra fredda hanno mutato la funzione di Okinawa nella strategia degli accordi sulla sicurezza stipulati tra Tokyo e Washington. Questi brevi cenni contribuiscono a chiarire la ragione per cui la vicenda storica okinawana si presta a essere assunta nei discorsi politici di movimenti che si battono per la riduzione delle basi i quali, nel ribadire il ruolo subalterno assegnato alla regione sin dal suo ingresso nello Stato giapponese, tendono spesso a rimarcarne gli elementi di tragicità anche con toni vittimistici. Una retorica, questa che, oltre a svolgere un ruolo di catalizzatore in termini strettamente politici, sembra svolgere una funzione essenziale nella (ri)definizione dell’identità okinawana.

L'identità okinawana tra invenzione, percezione e memoria

CAROLI, Rosa
2005-01-01

Abstract

Nell’ultimo decennio la vicenda storica okinawana è andata assumendo una posizione centrale nei discorsi politici formulati dentro e fuori la provincia, attirando una crescente attenzione da parte di studiosi di vari Paesi. Tale interesse è collegato, in buona misura, all’attivismo politico che si batte contro la massiccia presenza delle basi militari statunitensi a Okinawa, il quale ha assunto un rinnovato vigore a seguito dell’ennesimo atto di violenza compiuto, nel settembre 1995, da tre Marines contro una giovane dodicenne. Oltre a riproporre il tema della sicurezza nella regione dell’Asia e del Pacifico (che, in base agli accordi nippo-statunitensi, grava prevalentemente su Okinawa) e ad alimentare le rivendicazioni della popolazione locale per la riduzione dell’arsenale militare in loco, l’episodio ha indotto studiosi di varie discipline a riconsiderare la posizione di questa regione come una realtà subordinata all’ordine nazionale e regionale. In effetti, sin dall’incorporazione dell’ex regno delle Ryūkyū da parte dello Stato Meiji nel 1879, Okinawa ha svolto un ruolo subalterno rispetto alle priorità politiche, economiche e strategiche del Giappone. Pur asserendo che questo territorio era parte integrante della nazione, la nuova amministrazione contribuì a consolidare - attraverso l’impiego di misure politiche, discorsi ufficiali e pratiche sociali - una visione di arretratezza e di inadeguatezza della popolazione locale a causa delle condizioni economiche, sociali e culturali qui prevalenti. Sino al periodo bellico, inoltre, Okinawa costituì una zona intermedia tra madrepatria e colonie, in particolare Taiwan, acquisita dal Giappone al termine del conflitto nippo-cinese nel 1895, e fu sottoposta a uno sfruttamento economico che ha indotto alcuni studiosi a includerla negli studi del colonialismo giapponese. Negli ultimi, drammatici mesi del conflitto, quando la minaccia di un’invasione del Giappone da parte degli Alleati si fece sempre più consistente, Okinawa divenne una zona di frontiera ove confinare l’estremo tentativo di tenere il nemico lontano dal cuore dell’Impero sino a quando non si fosse giunti a trattare la resa. La successiva occupazione statunitense e la requisizione di ampie aree ove installare basi militari trasformò la regione nel principale baluardo anticomunista in Asia; e né la riunificazione al Giappone, avvenuta nel 1972, né la fine della guerra fredda hanno mutato la funzione di Okinawa nella strategia degli accordi sulla sicurezza stipulati tra Tokyo e Washington. Questi brevi cenni contribuiscono a chiarire la ragione per cui la vicenda storica okinawana si presta a essere assunta nei discorsi politici di movimenti che si battono per la riduzione delle basi i quali, nel ribadire il ruolo subalterno assegnato alla regione sin dal suo ingresso nello Stato giapponese, tendono spesso a rimarcarne gli elementi di tragicità anche con toni vittimistici. Una retorica, questa che, oltre a svolgere un ruolo di catalizzatore in termini strettamente politici, sembra svolgere una funzione essenziale nella (ri)definizione dell’identità okinawana.
2005
Quaderni di Asiatica Venetiana, vol. I, "Identità e alterità: tra Oriente e Occidente e tra Oriente e altri Orienti"
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/16742
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